giovedì 30 dicembre 2010

URBANISTICA : CERTIFICATO DI AGIBILITA'

TAR Umbria Sez. I n. 512 del 18 novembre 2010
Urbanistica. Certificato di agibilità
Il certificato di agibilità, a differenza del titolo edilizio, che amplia la sfera giuridica dell’intestatario, che deve dunque essere ben determinato se non altro in ragione del rapporto di esclusività che si crea con il bene oggetto del provvedimento abilitativo, si limita ad attestare una situazione oggettiva (ed in particolare la corrispondenza dell’opera realizzata al progetto assentito, dal punto di vista dimensionale, della destinazione d’uso e delle eventuali prescrizioni contenute nel titolo, nonché attesta la sussistenza delle condizioni di sicurezza, igiene, salubrità degli edifici, di risparmio energetico e di sicurezza degli impianti negli stessi installati, alla stregua della normativa vigente). Che sia una certificazione in senso stretto (cioè una dichiarazione di scienza riproduttiva di una certezza giuridica), ovvero, al di là del nomen iuris, un atto di accertamento, il certificato di agibilità non ha un unico intestatario, e dunque un solo soggetto legittimato ad avvalersene. Ciò significa che deve essere rilasciato a chiunque abbia un interesse giuridicamente apprezzabile ad utilizzare l’edificio al quale si riferisce.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
N. 00512/2010 REG.SEN.
N. 00248/2010 REG.RIC.
Il Tribunale Amministrativo Regionale per l'Umbria

(Sezione Prima)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 248 del 2010, proposto da:
Antonucci Marco e Medusa Vincenza, rappresentati e difesi dagli avv.ti Stefano Bagianti e Mario Cartasegna, presso i quali sono elettivamente domiciliati in Perugia, viale Centova,6;
contro
Comune di Magione, in persona del Sindaco pro tempore, rappresentato e difeso dall'avv. Mario Busiri Vici, presso il quale è elettivamente domiciliato in Perugia, via Cesarei, 4;
nei confronti di
Bussolini Emma, rappresentata e difesa dall'avv. Paola Fraschetti, presso la quale è elettivamente domiciliata in Perugia, via A. Vecchi, 193;
per l'annullamento
del provvedimento 0011198 del 21/4/2010 con il quale il responsabile dell’area urbanistica ed assetto del territorio del Comune di Magione ha revocato (rectius, annullato) il certificato di agibilità già assentito dallo stesso Comune in data 15/2/2008 a favore dei ricorrenti e relativo ad

una porzione di immobile sito in Magione, frazione Agello, già Via Cordero Lanza di Montezemolo, ora Via Trieste n. 25.
Visti il ricorso e i relativi allegati;
Visti gli atti di costituzione in giudizio del Comune di Magione e di Bussolini Emma;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 3 novembre 2010 il Cons. Stefano Fantini e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO
I ricorrenti hanno impugnato il provvedimento in data 21 aprile 2010 con il quale il responsabile dell’Area urbanistica ed assetto del territorio del Comune di Magione ha revocato il certificato di agibilità precedentemente assentito, relativo ad una porzione di immobile sito in Magione, frazione Agello, alla via Trieste n. 25, già via Cordero Lanza di Montezemolo.
Premettono di avere stipulato, in data 10 ottobre 1990, un contratto preliminare con il sig. Liborio Moretti, in forza del quale quest’ultimo si impegnava a realizzare e poi cedere in proprietà un appartamento con garage; essendo sopraggiunte varie difficoltà, le parti convenivano, informalmente, che il Moretti avrebbe consegnato l’immobile nella sua struttura non completata al sig. Antonucci, che poi avrebbe completato i lavori a sua cura e spese.

E così in data 2 gennaio 1992 il sig. Antonucci entrava in possesso del manufatto, lo completava, rendendolo abitabile ed agibile.

A distanza di circa un mese dall’immissione nel possesso l’imprenditore-promittente venditore decedeva a causa di un incidente stradale.

Nel frattempo, con l’assenso di uno degli eredi Moretti, l’Antonucci chiedeva ed otteneva (in data 5 giugno 1992) l’attestato di residenza nell’immobile in questione; non riuscendo, però, ad ottenere il consenso al trasferimento del diritto di proprietà (con la riduzione del prezzo a suo tempo pattuita) il promittente acquirente proponeva azione di esecuzione forzata in forma specifica dell’obbligo di concludere un contratto ai sensi dell’art. 2932 del c.c. dinanzi al Tribunale di Perugia.

Con sentenza 14 marzo 1994, n. 67 l’adito Tribunale disponeva, per quanto ivi rileva, il trasferimento dagli eredi del defunto sig. Liborio Moretti ad Antonucci Marco dell’erigendo fabbricato; detta sentenza veniva parzialmente riformata dalla sentenza della Corte di Appello di Perugia 21 marzo 2002, n. 90, che condizionava l’efficacia costitutiva della pronuncia ex art. 2932 del c.c. al versamento, da parte degli odierni ricorrenti, di una somma di denaro.

Quindi, con successiva pronuncia 26 aprile 2007, n. 9976 la Corte di Cassazione, Sez. II, cassava la sentenza, rinviando la causa alla Corte di Appello di Roma, affermando, tra l’altro, il principio di diritto per cui fra i documenti necessari che devono essere posti a disposizione ai sensi dell’art. 1477, comma 3, del c.c., vi è il certificato di abitabilità, documento indispensabile ai fini della piena realizzazione della funzione socio-economica del contratto.

Le controparti del giudizio civile riassumevano la causa dinanzi alla Corte di Appello di Roma con atto di citazione del 14 febbraio 2008; nelle more i sigg.ri Antonucci e Medusa conseguivano, in data 15 febbraio 2008, il certificato di agibilità relativo all’immobile oggetto del contenzioso civile, che attesta la conformità dell’immobile stesso al progetto approvato con concessione in sanatoria n. 145 del 2 settembre 1999, la conformità al progetto di smaltimento liquami, l’avvenuta prosciugatura dei muri e la salubrità degli ambienti, la conformità dell’impianto elettrico, di riscaldamento e condizionamento, dell’impianto idrosanitario e di quello a gas.

Espongono come con nota del 16 febbraio 2009 il Comune di Magione, sollecitato dagli attuali controinteressati, abbia comunicato l’avvio del procedimento di revoca proprio in considerazione della sentenza della Corte Suprema; nonostante le precisazioni fornite dai ricorrenti, è intervenuto il provvedimento, oggetto del presente gravame, con cui l’Amministrazione comunale ha annullato il certificato di agibilità rilasciato in data 15 febbraio 2008, nell’assunto che i ricorrenti, a seguito della sentenza della Corte di Cassazione suindicata, non risultano possessori del titolo previsto dall’art. 29, comma 4, della l.r. n. 1 del 2004.

Deducono a sostegno del gravame i seguenti motivi di diritto :

1) Il provvedimento impugnato si fonda sull’argomento secondo cui i ricorrenti non rientrerebbero nel novero dei soggetti abilitati ad ottenere il certificato di agibilità, tali dovendosi ritenere solamente quelli indicati dall’art. 29, comma 4, della l.r. n. 1 del 2004. Nel certificato di agibilità annullato il richiedente ha dato atto della conformità dell’immobile al progetto approvato con concessione in sanatoria n. 145 del 2 settembre 1999, a suo tempo assentita al sig. Liborio Moretti.

Ciò equivale ad affermare che l’istanza del certificato di agibilità presuppone anche la volontà dell’Antonucci di volturare la concessione edilizia a proprio nome. 2) In ogni modo, mentre il titolo abilitativo è personale, il certificato di agibilità è impersonale, limitandosi ad attestare una situazione oggettiva, e dunque dello stesso può avvalersi chiunque, a qualsiasi titolo, intenda utilizzare l’edificio. I ricorrenti hanno un interesse giuridicamente apprezzabile ad utilizzare il certificato, in quanto residenti nell’immobile sin dal 1992, e da tale data possessori del medesimo.

3) I ricorrenti hanno rappresentato, sin dal 22 gennaio 2008, di avere il possesso dell’immobile dal 1992; di ciò il provvedimento gravato non ha tenuto conto, incorrendo in vizio della motivazione e difetto di istruttoria (artt. 3 e 10, lett. b, della legge n. 241 del 1990). E’ chiaro infatti che la residenza può essere consentita se l’immobile è rispondente a tutti i requisiti di legge; dunque consentire la residenza, escludendo però l’agibilità, è intrinsecamente contraddittorio.

Si aggiunga che l’interesse pubblico concreto ed attuale all’annullamento del provvedimento, specie allorché intervenga a distanza di tempo dal provvedimento di primo grado, deve essere adeguatamente motivato.

Il provvedimento gravato incorre altresì nello sviamento di potere, in quanto, lungi dal perseguire un interesse pubblico concreto ed attuale, si è indebitamente ingerito in una controversia tra privati, prendendo posizione a favore di una delle parti processuali, come dimostra il fatto che, senza il certificato di agibilità, la domanda esperita in sede civile dai ricorrenti non potrebbe trovare accoglimento.

Si sono costituiti in giudizio la sig.ra Bussolini Emma ed il Comune di Magione argomentatamente chiedendo la reiezione del ricorso.

All’udienza del 3 novembre 2010 la causa è stata trattenuta in decisione.


DIRITTO
1. - Con i primi due motivi, che possono essere trattati congiuntamente, in quanto complementari, i ricorrenti contestano il provvedimento di revoca del certificato di agibilità, in loro favore rilasciato il 15 febbraio 2008, assumendo di rientrare nel novero dei soggetti legittimati a chiederne il rilascio, in quanto possessori dell’immobile (a cui si riferisce il certificato) e nello stesso residenti, e dovendosi comunque intendere la richiesta di agibilità di un immobile anche come richiesta di voltura del titolo abilitativo a proprio nome; del resto, sempre ad avviso dei ricorrenti, il certificato di agibilità è impersonale, limitandosi ad attestare una situazione oggettiva, e può dunque essere richiesto da chiunque ne abbia un interesse giuridicamente apprezzabile.

Le censure sono fondate nei limiti di cui alla seguente motivazione.

Occorre, per chiarezza, premettere come sebbene l’art. 6 n. 3 del r.d. 17 agosto 1907, n. 642, applicabile ai ricorsi dinanzi ai Tribunali Amministrativi Regionali per effetto dell’art. 19, comma 1, della legge n. 1034 del 1971, richiedesse, ai fini dell’ammissibilità del ricorso, l’indicazione degli articoli di legge o di regolamento che si ritengono violati, adempimento nel caso di specie non assolto, purtuttavia risulta possibile interpretare il gravame ed esaminare le censure, ricavandole dal contesto del ricorso e dalle conclusioni svolte.

Con questa precisazione, ritiene il Collegio che, a prescindere dalla tesi, un po’ ardita, sul piano logico e giuridico, secondo cui la richiesta di rilascio del certificato di agibilità includerebbe la richiesta di volturazione della concessione in sanatoria, e cioè di novazione soggettiva del rapporto, il certificato di agibilità potesse effettivamente essere richiesto dai ricorrenti.

Come già affermato da questo Tribunale Amministrativo con la sentenza 9 ottobre 2008, n. 594, invocata da parte ricorrente, la disposizione di cui all’art. 29, comma 4, della l.r. n. 1 del 2004, sulla quale si fonda l’impugnato provvedimento di revoca, al pari dell’analoga disposizione dell’art. 24, comma 3, del t.u. edilizia (d.P.R. 6 giugno 2001, n. 380), nel disporre che «l’intestatario del titolo abilitativo, o i suoi successori o aventi causa, sono tenuti a comunicare al Comune l’avvenuta ultimazione dei lavori e a chiedere il rilascio del certificato di agibilità», non equivale infatti ad escludere che anche altri soggetti possano richiedere detto certificato.

E’ comprensibile come quella in esame sia una norma che impone un obbligo (la cui mancata osservanza comporta l’irrogazione di una sanzione amministrativa pecuniaria) in capo ad alcuni soggetti, ma non esclude la legittimazione di altri (ulteriori) soggetti a chiedere il certificato di agibilità.

Quest’ultimo, a differenza del titolo edilizio, che amplia la sfera giuridica dell’intestatario, che deve dunque essere ben determinato se non altro in ragione del rapporto di esclusività che si crea con il bene oggetto del provvedimento abilitativo, si limita ad attestare una situazione oggettiva (ed in particolare la corrispondenza dell’opera realizzata al progetto assentito, dal punto di vista dimensionale, della destinazione d’uso e delle eventuali prescrizioni contenute nel titolo, nonché attesta la sussistenza delle condizioni di sicurezza, igiene, salubrità degli edifici, di risparmio energetico e di sicurezza degli impianti negli stessi installati, alla stregua della normativa vigente).

Che sia una certificazione in senso stretto (cioè una dichiarazione di scienza riproduttiva di una certezza giuridica), ovvero, al di là del nomen iuris, un atto di accertamento, il certificato di agibilità non ha un unico intestatario, e dunque un solo soggetto legittimato ad avvalersene.

Ciò significa che deve essere rilasciato a chiunque abbia un interesse giuridicamente apprezzabile ad utilizzare l’edificio al quale si riferisce.

2. - Si tratta ora di verificare se un siffatto interesse sussista in capo ai ricorrenti.
Sembra al Collegio che la legittimazione a richiedere il certificato di agibilità in capo ai ricorrenti sia configurabile, in quanto essi risiedono da molto tempo nell’immobile per il quale è stato richiesto il certificato e sono parti di una controversia civile avente ad oggetto l’asserito inadempimento del contratto preliminare di compravendita del 10 ottobre 1990, da parte (degli eredi) del promittente venditore, avente ad oggetto l’immobile in questione.

Obiettano le parti resistenti che il certificato di agibilità è stato, a suo tempo, conseguito invocando la sentenza del Tribunale di Perugia n. 67 del 1994, disponente il trasferimento del bene, che, però, all’epoca di adozione del provvedimento (15 febbraio 2008), era già stata superata dalla sentenza di parziale riforma della Corte di Appello, a sua volta addirittura annullata con rinvio dalla Corte di Cassazione.
A questo riguardo, parte ricorrente, anche nella “memoria conclusionale”, assume che il Comune di Magione era a conoscenza di quest’ultima sentenza, e produce a dimostrazione di ciò una lettera datata 22 gennaio 2008 (doc. 7 di parte ricorrente) del legale del sig. Antonucci, sottoscritta anche da quest’ultimo, in risposta alla richiesta di chiarimenti proveniente dalla stessa Amministrazione, e nella quale si dà atto della pronuncia della Corte Suprema.

Al contrario, l’Amministrazione deduce che nella missiva del 22 gennaio 2008 sia richiamata solamente la sentenza del Tribunale di Perugia, e manchi qualsivoglia riferimento alla sentenza della Cassazione.

Effettivamente, la copia della lettera in data 22 gennaio 2008 del legale del sig. Antonucci versata in atti dall’Amministrazione comunale (doc. n. 6 dell’Amministrazione resistente), e dunque (da ritenersi) alla stessa inviata, ha un contenuto parzialmente differente da quella prodotta in giudizio dai ricorrenti.

Il contenuto della lettera pervenuta al Comune di Magione, a prescindere da ogni altra considerazione in ordine alle ragioni di detta duplicazione documentale, non può escludersi che abbia determinato l’Amministrazione ad autorizzare l’agibilità della porzione di fabbricato destinato a civile abitazione, anche se (nella lettera) la legittimazione del sig. Antonucci è invero principalmente motivata con riferimento al “possesso” dell’immobile conseguente al contratto preliminare (ciò può spiegare il perché l’Amministrazione sia poi tornata sulla propria decisione, adottando il provvedimento di revoca a seguito della lettera dell’avv. Fraschetti in data 25 settembre 2008, come del resto si evince dal provvedimento impugnato, ove peraltro quest’ultima nota è fatta erroneamente risalire al 29 settembre 2007) .

In ogni caso, secondo quanto si è in precedenza esposto, la situazione di detenzione qualificata del bene (conseguente alla consegna della res da parte del promissorio venditore : così Cass., Sez. Un., 27 marzo 2008, n. 7930) ove è stata fissata la residenza, appare elemento sufficiente ad enucleare un interesse giuridicamente apprezzabile ad ottenere il certificato.

Non può, in aggiunta a quanto detto, trascurarsi di considerare che, escludendo la legittimazione dei ricorrenti, si determinerebbe nei loro confronti, con evidente vulnus della tutela giurisdizionale dei diritti, una preclusione ad esperire l’azione di cui all’art. 2932 del c.c., alla stregua del costante indirizzo giurisprudenziale secondo cui senza il certificato di abitabilità (od agibilità) l’immobile è incommerciabile (Cass., Sez. III, 23 gennaio 2009, n. 1701; Cass., Sez. III, 18 novembre 2008, n. 27398), principio ribadito anche dalla sentenza n. 9976/07 della Cassazione, intervenuta nella controversia civile intercedente tra i ricorrenti e la controinteressata.
3. - L’accoglimento delle esaminate censure, nei termini suindicati, determinando l’annullamento dell’impugnato provvedimento di revoca, esime il Collegio dalla disamina del terzo mezzo, peraltro svolto in via subordinata, prevalentemente con la riproposizione, sotto profili formali, degli argomenti precedentemente sviluppati, che può dunque essere dichiarato assorbito.
Sussistono, tenendo conto di tutte le circostanze (in fatto ed in diritto) prima evidenziate, giusti motivi per compensare tra le parti le spese di giudizio.
P.Q.M.
definitivamente pronunciando, accoglie il ricorso, con conseguente annullamento del provvedimento impugnato.

Compensa tra le parti le spese di giudizio.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.

Così deciso in Perugia nella camera di consiglio del giorno 3 novembre 2010 con l'intervento dei magistrati:

Carlo Luigi Cardoni, Presidente FF
Pierfrancesco Ungari, Consigliere
Stefano Fantini, Consigliere, Estensore

L'ESTENSORE
IL PRESIDENTE
DEPOSITATA IN SEGRETERIA
Il 18/11/2010

mercoledì 22 dicembre 2010

PERGOLATO :UNA COPERTURA IN P.C.V. DETERMINA LA TRASFORMAZIONE DI UN PERGOLATO!

TAR Umbria Sez. I n. 499 del 28 ottobre 2010
Urbanistica. Pergolato
Una copertura in PVC determina la trasformazione di un pergolato, che rimane tale sino a quando si caratterizza come manufatto in struttura leggera di legno che funge da sostegno per piante rampicanti o per teli, senza comportare un aumento di volumetria, e senza determinare trasformazione edilizia ed urbanistica

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
N. 00499/2010 REG.SEN.
N. 00264/2008 REG.RIC.
Il Tribunale Amministrativo Regionale per l'Umbria

(Sezione Prima)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 264 del 2008, proposto da:
Trinchese Alessia, rappresentata e difesa dall'avv. Fabio Catterini, con domicilio eletto presso l’avv. Marco Baldassarri in Perugia, via Danzetta, 7;


contro
Comune di Perugia, in persona del Sindaco pro tempore, rappresentato e difeso dagli avv.ti Mario Cartasegna e Luca Zetti, con i quali è elettivamente domiciliato in Perugia, corso Vannucci 39, Ufficio Legale del Comune di Perugia;

nei confronti di
Cortona Simona, non costituita in giudizio;
per l'annullamento
dell’ordinanza di rimozione del 24.4.08, n. 19 riguardante una struttura in pali di legno con copertura in materiale plastico realizzata senza permesso di costruire, nonché una variazione di destinazione d’uso di un locale ripostiglio senza denuncia di inizio attività (D.I.A.) sull’immobile sito in Perugia, località Vestricciano, Strada Vestricciano-Genna n. 6, nonché di ogni altro atto presupposto, connesso e/o consequenziale.
Visti il ricorso e i relativi allegati;
Visto l'atto di costituzione in giudizio del Comune di Perugia;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 6 ottobre 2010 il Cons. Stefano Fantini e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO
La ricorrente ha impugnato l’ordinanza n. 19 del 24 aprile 2008 con la quale il Comune di Perugia ha disposto la rimozione, ai sensi degli artt. 6 e 9 della l.r. Umbria n. 21 del 2004, di opere realizzate in assenza del prescritto titolo edilizio sull’immobile sito in Perugia, località Vestricciano-Genna n. 6.

L’ordinanza concerne, in particolare, una struttura in legno ancorata alla facciata principale dell’edificio (con lunghezza di m. 15 e larghezza di m. 4), con copertura in materiale plastico, richiedente il permesso di costruire, ed il mutamento di destinazione d’uso del locale ripostiglio in vano cucina con realizzazone delle opere funzionali e la posa in opera dei tubi di areazione e di scarico del gas, implicante denuncia di inizio attività.

Deduce a sostegno del ricorso i seguenti motivi di diritto :

1) Violazione degli artt. 7 e 10 della legge n. 241 del 1990; violazione dell’art. 3, commi 2 e 3, della l.r. n. 21 del 2004.

L’ordine di rimozione è illegittimo, in quanto non preceduto dalla comunicazione di avvio del relativo procedimento; inoltre la rimozione del pergolato è stata disposta senza previo provvedimento di sospensione dei lavori. Il contraddittorio nel caso di specie appariva tanto più necessario perché i fatti che costituiscono il presupposto dell’atto impugnato sono contestati, e quindi la loro conoscenza, specie con riguardo all’individuazione e qualificazione del pergolato, avrebbe potuto portare all’adozione di un diverso provvedimento da parte dell’Amministrazione.
2) Violazione dell’art. 3, all. A, del regolamento edilizio del Comune di Perugia; violazione dell’art. 3, comma 1, della legge n. 241 del 1990; eccesso di potere, difetto di istruttoria, carenza e/o illogicità della motivazione, travisamento ed erronea valutazone dei fatti, contraddittorietà tra più atti successivi.
Con riguardo all’ordine di demolizione del pergolato, il provvedimento è illegittimo per violazione dell’art. 3 all. A del regolamento edilizio del Comune, in base al quale i pergolati costituiscono opere libere. La norma ammette infatti la posa in opera di pergolati od analoghi, in legno o metallo, con rampicanti o velari.

Nel caso di specie si è al cospetto di una struttura semplice in legno, senza pareti chiuse od opere murarie, su cui è apposto un telo o velario in PVC.

Il travisamento dei fatti consiste dunque nella qualifica attribuita alla tenda, in termini di “copertura in plastica”, come ad equipararla ad un tetto. Peraltro detto velario, che il provvedimento qualifica come saldamente ancorato alle pareti dell’edificio e della struttura, è invece collegato solamente alla struttura lignea (e non anche alle pareti dell’edificio) mediante semplici viti.
L’art. 3, all. A, del regolamento edilizio sancisce l’indifferenza del materiale utilizzato per le tende o velari, come pure l’irrilevanza del fatto che siano fisse o mobili; ne consegue l’impossibilità di ammettere le sole tende mobili o retrattili.
In subordine, l’atto appare anche viziato da illogicità e contraddittorietà rispetto agli atti istruttori e/o determinazioni precedenti, imponendo la rimozione dell’intero pergolato, anziché della sola tenda, mentre in precedenza (come risulta dal primo sopralluogo e dalla nota del 3 luglio 2007) l’Amministrazione aveva ritenuto il pergolato come opera libera ex art. 3 all. A del regolamento edilizio.
3) In relazione all’ordine di ripristino dell’uso del locale ripostiglio con rimozione delle tubature, identificate come opere eseguite in assenza di dichiarazione di inizio attività, la ricorrente ha già provveduto al ripristino del primitivo uso del locale mediante lo smontaggio della cucina ben prima della notifica dell’ordinanza.
In ogni caso, giova precisare che ai sensi dell’art. 33, comma 7, della l.r. n. 1 del 2004, dal punto di vista edilizio ed urbanistico, non costituisce mutamento d’uso ed è attuabile liberamente il cambio d’uso entro il limite del 30% della superficie utile dell’unità immobiliare, e comunque sino a 30 mq.; nel caso di specie il locale è di circa 4-5 mq., e quindi rientra ampiamente nella norma.
Si è costituito in giudizio il Comune di Perugia chiedendo la reiezione del ricorso; con successiva memoria ha eccepito il sopravvenuto difetto di interesse limitatamente agli impianti tecnologici realizzati nel locale adibito a cucina, essendo gli stessi stati regolarizzati con denuncia di inizio di attività del 7 agosto 2008.
All’udienza del 6 ottobre 2010 la causa è stata trattenuta in decisione.
DIRITTO
1. - Occorre anzitutto premettere che la materia del contendere riguarda l’ordine di rimozione del pergolato in legno e della copertura in PVC, atteso che sulle opere di mutamento della destinazione d’uso del locale ripostiglio in vano cucina e sulla realizzazione delle opere impiantistiche a ciò funzionali, oggetto del secondo punto dell’ordinanza gravata, è sopravvenuto il difetto di interesse, sia per la presentazione, in data 7 agosto 2009, della D.I.A. per l’installazione della caldaia nel locale ripostiglio, sia in ragione del ripristino dell’uso originario del locale (a ripostiglio).
Non vi è dunque titolo ad esaminare il terzo motivo di ricorso, che, altrimenti, si tradurrebbe in una pronuncia di mero accertamento, non contemplata dall’ordinamento processuale.
Non sembra invece che possa condividersi l’assunto del Comune resistente in ordine all’improcedibilità relativa anche alla prima statuizione (di rimozione del pergolato e della copertura) motivata nella considerazione della sopravvenuta nota prot. n. 2010/0017347 in data 27 gennaio 2010 dell’Unità Operativa Edilizia Privata-Sportello Unico, in quanto questa costituisce un mero “parere di massima”, reso su istanza della ricorrente (al pari del successivo atto prot. 2010/0068409 del 12 aprile 2010), non avente dunque contenuto provvedimentale.

2. - Ciò posto, occorre anzitutto disattendere la prima censura, con cui si deduce l’omessa comunicazione di avvio del procedimento che ha portato all’adozione dell’ordinanza gravata.

Ed infatti, secondo il prevalente indirizzo giurisprudenziale, in caso di ordine di demolizione delle opere abusive, non è necessaria la comunicazione di avvio del procedimento ai sensi dell’art. 7 della legge generale sul procedimento amministrativo; si tratta infatti di un atto dovuto e rigorosamente vincolato, sicchè non sono richiesti apporti partecipativi del soggetto destinatario (tra le tante, T.A.R. Campania, Napoli, Sez. VII, 5 maggio 2010, n. 2667; T.A.R. Campania, Napoli, Sez. III, 13 luglio 2010, n. 16683; T.A.R. Lombardia, Milano, Sez. IV, 6 luglio 2010, n. 2778; T.A.R. Puglia, Lecce, Sez. III, 14 gennaio 2010, n. 141).

Le stesse considerazioni svolte dalla ricorrente circa la portata dell’art. 3, all. A, del regolamento edilizio ed il signifato da attribuire all’espressione “velario” denotano, a tutto concedere, un problema interpretativo, e non un’esigenza di chiarimento delle circostanze di fatto concernenti le opere eseguite in assenza di idoneo titolo edilizio, peraltro fatte oggetto di sopralluogo, con conseguente inutilità, anche nella prospettiva dell’art. 21 octies, comma 2, della legge n. 241 del 1990, di un contraddittorio procedimentale.
3. - Con il secondo mezzo di gravame si deduce poi, con argomentazioni poste in via gradata, la violazione dell’art. 3 dell’Allegato A) del regolamento edilizio comunale, nell’assunto dell’illegittimità dell’ordine di demolizione del pergolato, costituendo lo stesso opera libera, trattandosi di struttura semplice in legno, priva di pareti chiuse od opere murarie, e coperta da un telo o velario in PVC infisso alla struttura con viti.
La censura appare solamente in parte meritevole di positiva valutazione.
Giova muovere dalla disposizione regolamentare invocata, alla cui stregua costituisce attività edilizia libera, tra l’altro, la realizzazione di «strutture semplici, quali pergolati ed analoghi, in metallo o in legno di limitata sezione, prive di opere murarie e di pareti chiuse, atte ad ombreggiare con rampicanti o con velari spazi aperti di pertinenza di edifici esistenti (quali giardini, cortili, balconi), come individuati catastalmente».
Può, come del resto riconosciuto dalla stessa Amministrazione comunale nei propri scritti difensivi ed anche in sede amministrativa (si veda, in particolare, la nota del 3 luglio 2007, indirizzata ai proprietari confinanti, che diffidavano l’Amministrazione a concludere il procedimento di verifica degli abusi edilizi asseritamente commessi dalla sig.ra Trinchese), qualificarsi come attività edilizia “libera” (non richiedente, cioè, un titolo abilitativo) la realizzazione del pergolato, inteso come struttura in legno, priva di opere murarie, ed aperta sia lateralmente, che nella parte superiore.
L’abuso edilizio concerne invece la copertura, fissa e trasparente, in PVC.

Una siffatta copertura non appare infatti al Collegio riconducibile nell’ambito della nozione di velario, idoneo ad ombreggiare spazi aperti di pertinenza di edifici esistenti; il velario, che le fonti descrivono come steso sull’anfiteatro per proteggere gli spettatori dal sole, anche etimologicamente, richiama il concetto di velo, di tenda.

Rispetto a tale accezione di velario vi è una diversità strutturale e funzionale della copertura in plastica, seppure di minimo spessore, e fissa, realizzata dalla ricorrente, la quale viene a costituire una vera e propria tettoia, richiedente, in quanto tale, il rilascio del prescritto titolo edilizio.

E’, d’altro canto, evidente come la copertura in PVC determini una trasformazione dello stesso pergolato, che rimane tale sino a quando si caratterizza come manufatto in struttura leggera di legno che funge da sostegno per piante rampicanti o per teli, senza comportare un aumento di volumetria, e senza determinare trasformazione edilizia ed urbanistica (in termini T.A.R. Puglia, Lecce, Sez. III, 6 febbraio 2009, n. 222; Cons. Stato, Sez. IV, 2 ottobre 2008, n. 4793; Cons. Stato, Sez. V, 7 novembre 2005, n. 6193; T.A.R. Toscana, Sez. III, 6 dicembre 2001, n. 1816).

Appare dunque legittima l’ordinanza gravata, nella parte in cui dispone la rimozione della copertura in materiale plastico, realizzata in assenza di permesso di costruire; sotto altro angolo prospettuale, la stessa Amministrazione comunale ha dato atto che la rimozione della copertura costituisce ottemperanza al provvedimento di rimozione dell’opera abusiva (cfr. la già citata nota prot. n. 2010/0017347 del 27 gennaio 2010).

4. - Alla stregua di quanto esposto, il ricorso deve essere in parte dichiarato improcedibile ed in parte accolto, nei limiti di cui alla presente motivazione, con conseguente annullamento parziale del provvedimento impugnato, e circoscrivendosi la portata della demolizione alla copertura del pergolato.

Sussistono giusti motivi, stante la reciproca soccombenza, per compensare tra le parti le spese di giudizio.
P.Q.M.
Il Tribunale Amministrativo Regionale per l' Umbria (Sezione Prima)
definitivamente pronunciando sul ricorso in epigrafe, lo accoglie in parte, nei limiti di cui in motivazione, con conseguente annullamento parziale del provvedimento impugnato.
Compensa tra le parti le spese di giudizio.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.
Così deciso in Perugia nella camera di consiglio del giorno 6 ottobre 2010 con l'intervento dei magistrati:
Carlo Luigi Cardoni, Presidente FF
Pierfrancesco Ungari, Consigliere
Stefano Fantini, Consigliere, Estensore
L'ESTENSORE
IL PRESIDENTE
DEPOSITATA IN SEGRETERIA
Il 28/10/2010

martedì 21 dicembre 2010

LA LEGGE E' UGUALE X TUTTI ?


sabato 11 dicembre 2010

DANNO AMBIENTALE: PRETESA RISARCITORIA :-SPETTA ESCLUSIVAMENTE ALLO STATO RICHIEDERE IL DANNO AMBIENTALE!

Cass. Sez. III n. 41015 del 22 novembre 2010
Danno Ambientale. Legittimazione al risarcimento

Il risarcimento del danno ambientale di natura pubblica, in sé considerato come lesione dell'interesse pubblico e generale all'ambiente, è ora previsto e disciplinato soltanto dall'art. 311 cit., con la conseguenza che il titolare della pretesa risarcitoria per tale danno ambientale è esclusivamente lo Stato, in persona del ministro dell'ambiente. Tutti gli altri soggetti, singoli o associati, ivi compresi gli enti pubblici territoriali e le regioni, possono invece agire, in forza dell'art. 2043 cod. civ., per ottenere il risarcimento di qualsiasi danno patrimoniale, ulteriore e concreto, che abbiano dato prova di aver subito dalla medesima condotta lesiva dell'ambiente in relazione alla lesione di altri loro diritti patrimoniali, diversi dall'interesse pubblico e generale alla tutela dell'ambiente come diritto fondamentale e valore a rilevanza costituzionale.

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TERZA PENALE

ha pronunciato la seguente



SENTENZA

sul ricorso proposto da M. G., nato a S. M. in L. il (...);

avverso la sentenza emessa il 22 giugno 2009 dal giudice del tribunale di Foggia;

udita nella pubblica udienza del 21 ottobre 2010 la relazione fatta dal Consigliere Amedeo Franco;

udito il Pubblico Ministero in persona Sostituto Procuratore Generale dott.ssa Maria Giuseppina Fodaroni, che ha concluso per il rigetto del ricorso;



Svolgimento del processo
Con la sentenza in epigrafe il giudice del tribunale di Foggia dichiarò M. G., colpevole del reato di cui all'art. 256 comma 2, d.lgs. 3 aprile 2006, n. 152, per avere effettuato un deposito incontrollato di rifiuti speciali non pericolosi provenienti dalla attività di costruzione e demolizione, su area di proprietà del comune di S. M. in L. in mancanza della prescritta autorizzazione, iscrizione e comunicazione, condannandolo alla pena di Euro 3.000,00 di ammenda, oltre al risarcimento del danno in favore della costituita parte civile Provincia di F.
L'imputato propone ricorso per cassazione deducendo:
1) violazione degli artt. 309 e 311 d.lgs. 11 maggio 1999, n. 152, in relazione all'art. 185 cod. pen. Osserva che il nuovo testo unico ambientale riserva esclusivamente allo Stato la legittimazione ad agire per il risarcimento del danno ambientale, escludendo quindi la legittimazione degli enti territoriali.
2) violazione dell'art. 256, in relazione all'art. 183, comma 1, lett. a) e p), d lgs. 4/2008. Osserva che i residui da demolizione in questione dovevano essere considerati sottoprodotti, sussistendo i requisiti di legge ed in particolare essendo stata fornita la prova della loro destinazione con certezza ad un utilizzo ulteriore.
3) mancanza di motivazione e violazione dell'art. 192 cod. proc. pen.; omessa valutazione delle deposizioni dei testi della difesa G. G. e B. P., i quali avevano dichiarato che il materiale era depositato solo quando era buono, che aveva un valor di mercato e che non doveva subire un trattamento preliminare, mentre quando il materiale non era buono veniva trasportato in discarica.
Motivi della decisione
Il secondo ed il terzo motivo sono infondati. Il giudice ha invero fatto corretta applicazione dei principi di diritto affermati dalla giurisprudenza di questa Corte, secondo cui "In tema di gestione dei rifiuti, ai fini dell'applicabilità del regime in deroga previsto dall'art. 186, D.Lgs. 3 aprile 2006, n. 152, le terre e rocce da scavo devono essere distinte dai materiali di risulta da demolizione, in quanto mentre lo scavo ha per oggetto il terreno, la demolizione ha per oggetto un edificio o, comunque, un manufatto costruito dall'uomo" (Sez. III, 12.6.2008, n. 37280, m. 241088); "I materiali residuanti dalla attività di demolizione edilizia conservano la natura di rifiuti sino al completamento delle attività di separazione e cernita, in quanto la disciplina in materia di gestione dei rifiuti si applica sino al completamento delle operazioni di recupero, tra le quali l'art. 183 lett. h) D.Lgs. 3 aprile 2006 n. 152 indica la cernita o la selezione" (Sez. III 15.6.2006, n. 33882, Barbati, m. 235114); "In tema di attività di gestione di rifiuti non autorizzata, i residui di attività di demolizione di edifici, annoverati tra i rifiuti speciali dall'art. 7, comma terzo, D.Lgs. n. 22 del 1997, ora art. 184, comma terzo, D.Lgs. n. 152 del 2006, sono sottratti, in quanto rappresentati da una congerie di materiali di vario tipo necessitanti, prima del loro nuovo uso, di preventivi trattamenti e operazioni di recupero previste negli allegati al D.Lgs. n. 22 del 1997, all'ambito di applicabilità delle deroghe di cui all'art. 14 D.L. n. 138 del 2002, conv. con L. n. 178 del 2002" (Sez. III, 15.1.2008, n. 7465, Baruzzi, m. 239012); "In tema di gestione dei rifiuti, tra le condizioni previste ai fini dell'applicabilità del regime autorizzatorio in deroga alla disciplina dei rifiuti contemplato per i sottoprodotti, è richiesto che le sostanze o i materiali non siano sottoposti ad operazioni di trasformazione preliminare (art. 183, comma primo, lett. p), D.Lgs. 3 aprile 2006, n. 152, come mod. dal D.Lgs. 16 gennaio 2008, n. 4), in quanto tali operazioni fanno perdere al sottoprodotto la sua identità e sono necessarie per il successivo impiego in un processo produttivo o per il consumo" (Sez. III, 4.12.2007, n. 14323, Coppa, m. 239657).
Esattamente quindi il giudice non ha applicato la disciplina relativa alle rocce e terre da scavo e quella relativa ai sottoprodotti. E difatti, ai sensi dell'art. 183, comma 1, lett. p), d.lgs. 3 aprile 2006, n. 152, per aversi sottoprodotto occorre che i materiali di cui il produttore non intende disfarsi soddisfino tutti i requisiti e condizioni ivi previsti, ossia che "1) siano originati da un processo non direttamente destinato alla loro produzione; 2) il loro impiego sia certo, sin dalla fase della produzione, integrale e avvenga direttamente nel corso del processo di produzione o di utilizzazione preventivamente individuato e definito; 3) soddisfino requisiti merceologici e di qualità ambientale idonei a garantire che il loro impiego non dia luogo ad emissioni e ad impatti ambientali qualitativamente e quantitativamente diversi da quelli autorizzati per l'impianto dove sono destinati ad essere utilizzati; 4) non debbano essere sottoposti a trattamenti preventivi o a trasformazioni preliminari per soddisfare i requisiti merceologici e di qualità ambientale di cui al punto 3), ma posseggano tali requisiti sin dalla fase della produzione; 5) abbiano un valore economico di mercato". Tutte queste condizioni devono sussistere contestualmente (Sez. III, 28.1.2009, n. 19711, Precetti, m. 243107) e la prova della loro presenza deve essere fornita dall'imputato.
Nella specie, si trattava di residui di demolizione, rappresentati da una congerie di materiali di vario tipo che necessitavano, prima del loro novo uso, di preventivi trattamenti ed operazioni di recupero quali la cernita e la separazione. Dalla sentenza impugnata si ricava infatti che gli stessi testi della difesa avevano dichiarato che il materiale era costituito da pietrami grezzi, semi-lavorati derivanti dalle cave dismesse, calcinacci, mattoni, blocchi e tegole, e che mentre i cotti e le tegole venivano separati per essere riutilizzati nel ciclo produttivo, tutti gli altri materiali erano stoccati sul terreno per poi venire in parte inviati alla discarica ed in parte utilizzati per riempimenti. Il materiale depositato necessitava quindi, per essere riutilizzato, di una attività di cernita e di separazione, sicché non ricorreva la condizione, necessaria per aversi sottoprodotto, che il materiale non sia sottoposto a trattamenti preventivi per il riutilizzo.
Inoltre, il giudice del merito, con un apprezzamento di fatto adeguatamente e congruamente motivato, e quindi non censurabile in questa sede, ha anche ritenuto che non era stata fornita una prova sufficiente per poter affermare che il reimpiego del materiale fosse certo, sin dalla fase della produzione, integrale e avvenisse direttamente nel corso del processo di produzione o di utilizzazione preventivamente individuato e definito. Del resto, lo stesso ricorrente ammette che il reimpiego in ogni caso non era integrale, ma parziale, perché solo alcuni materiali (come i cotti) potevano essere riutilizzati, mentre altri materiali che, a seguito di una cernita, venivano ritenuti non riutilizzabili, erano inviati alla discarica.
Deriva da quanto osservato anche l'infondatezza del reclamo sulla omessa valutazione delle dichiarazioni dei testi della difesa, perché proprio da tali dichiarazioni, per come riportate nello stesso ricorso, emerge che non sussistevano le condizioni per potersi parlare di sottoprodotto.
E' invece fondato il primo motivo. L'art. 18 della legge 8 luglio 1986, n. 349, al comma 3 attribuiva allo Stato e agli enti territoriali sui quali incidono i beni oggetto del fatto lesivo la legittimazione a promuovere la relativa azione per il risarcimento del danno, anche se esercitata in sede penale. Il suddetto art. 18 è stato però abrogato dall'art. 318, comma 2, lett. a), del d.lgs. 3 aprile 2006, n. 152 (ad eccezione del comma 5, che riconosce alle associazioni ambientaliste il diritto di intervenire nei giudizi per danno ambientale). Ora, l'art. 311 del d.lgs. 3 aprile 2006, n. 152, riserva allo Stato, ed in particolare al ministro dell'ambiente e della tutela del territorio, il potere di agire per il risarcimento del danno ambientale in forma specifica e, se necessario, per equivalente patrimoniale, anche esercitando l'azione civile in sede penale. Le regioni e gli enti territoriali minori, in forza dell'art. 309, comma 1, possono ora presentare denunce ed osservazioni nell'ambito di procedimenti finalizzati all'adozione di misure di prevenzione, precauzione e ripristino oppure possono sollecitare l'intervento statale a tutela dell'ambiente, mentre non hanno più il potere di agire iure proprio per il risarcimento del danno ambientale.
La giurisprudenza di questa Corte, successiva all'appena ricordato mutamento legislativo, ha rilevato che la legittimazione a costituirsi parte civile nei processi per reati ambientali spetta non soltanto al ministro dell'ambiente, ai sensi dell'art. 311, comma 1, d.lgs. 3 aprile 2006, n. 152, ma anche all'ente pubblico territoriale (come la provincia) che per effetto della condotta illecita abbia subito un danno patrimoniale risarcibile ai sensi dell'art. 2043 cod. civ. (Sez. III, 28.10.2009, n. 755/10, Ciarloni, m. 246015). La sentenza della Sez. III, 3.10.2006, n. 36514, Censi, n. 235059, ha più dettagliatamente precisato che, a seguito della abrogazione dell'art. 18 della legge 349/1986 ed ai sensi dell'art. 311 d.lgs. 152/2006, "titolare esclusivo della pretesa risarcitoria in materia di danno ambientale è lo Stato nella persona del Ministro dell'ambiente" (punto 3 della motivazione) relativamente al danno all'ambiente come interesse pubblico, anche se ad ogni persona singola od associata spetta il diritto di costituirsi parte civile per il risarcimento degli ulteriori danni subiti. Anche la più recente sentenza della Sez. III, 11.2.2010, n. 14828, De Flammineis, m. 246812, ha affermato che il d.lgs. 3 aprile 2006, n. 152 "ha attribuito in via esclusiva la richiesta risarcitoria per danno ambientale al Ministero dell'Ambiente" (sicché le associazioni ecologiste sono legittimate a costituirsi parte civile al solo fine di ottenere il risarcimento dei danni patrimoniali patiti a causa del degrado ambientale, "mentre non possono agire in giudizio per il risarcimento del danno ambientale di natura pubblica").
Questo orientamento merita di essere seguito, con le precisazioni che seguono. Non sussiste innanzitutto alcuna antinomia reale fra la norma generale di cui all'art. 2043 cod. civ. (che attribuisce a tutti il diritto di ottenere il risarcimento del danno per la lesione di un diritto) e la norma speciale di cui all'art. 311, comma 1, d.lgs. 3 aprile 2006, n. 152 (che riserva esclusivamente allo Stato la legittimazione ad agire per il risarcimento del danno da lesione all'ambiente, inteso come diritto pubblico generale a fondamento costituzionale). E difatti, come sempre accade nei rapporti tra norma generale e norma speciale, l'entrata in vigore di quest'ultima ha determinato che la precedente norma generale deve essere ora interpretata nel senso che l'estensione della norma generale stessa si è ristretta, perché il suo ambito di applicazione non comprende più la fattispecie ora disciplinata dalla norma speciale. In altri termini, il risarcimento del danno ambientale di natura pubblica, in sé considerato come lesione dell'interesse pubblico e generale all'ambiente, è ora previsto e disciplinato soltanto dall'art. 311 cit., con la conseguenza che il titolare della pretesa risarcitoria per tale danno ambientale è esclusivamente lo Stato, in persona del ministro dell'ambiente. Tutti gli altri soggetti, singoli o associati, ivi compresi gli enti pubblici territoriali e le regioni, possono invece agire, in forza dell'art. 2043 cod. civ., per ottenere il risarcimento di qualsiasi danno patrimoniale, ulteriore e concreto, che abbiano dato prova di aver subito dalla medesima condotta lesiva dell'ambiente in relazione alla lesione di altri loro diritti patrimoniali, diversi dall'interesse pubblico e generale alla tutela dell'ambiente come diritto fondamentale e valore a rilevanza costituzionale.
Nella specie, quindi, la provincia di F. era legittimata a chiedere il risarcimento del danno, anche sotto forma di una condanna generica, qualora avesse allegato che la condotta dell'imputato le aveva arrecato un danno patrimoniale diretto e specifico, ulteriore e diverso rispetto a quello, generico di natura pubblica, della lesione dell'ambiente come bene pubblico e diritto fondamentale di rilievo costituzionale. Risulta invece dalla stessa sentenza impugnata che la provincia si era limitata a chiedere il generico danno ambientale quale lesione del bene pubblico, tanto che il giudice ha erroneamente ammesso la costituzione di parte civile non già perché la provincia avesse allegato di aver subito in via diretta un proprio ulteriore danno patrimoniale, bensì perché la provincia stessa era indicata come parte offesa nel capo di imputazione e perché regione e provincia sono individuate nel testo unico ambientale quali titolari dell'amministrazione e della tutela del territorio. Si tratta di considerazioni entrambe erronee perché l'indicazione nel capo di imputazione della provincia come persona offesa è irrilevante al fine del riconoscimento della legittimazione a costituirsi parte civile e comunque si spiega col fatto che la provincia avrebbe potuto eventualmente assumere tale qualità qualora avesse in concreto subito in via diretta un danno patrimoniale diverso dal danno ambientale di natura pubblica. Il fatto poi che il testo unico dell'ambiente attribuisce a regioni e province l'amministrazione e la tutela del territorio non fa venir meno l'efficacia dell'art. 311 dello stesso testo unico che affida unicamente allo Stato l'azione per il risarcimento del danno ambientale.
La costituzione della provincia di F. quale parte civile è dunque, nella specie, nulla per carenza di legittimazione della provincia stessa a chiedere il risarcimento del danno ambientale. Di conseguenza, la sentenza impugnata deve essere annullata senza rinvio limitatamente alle statuizioni civili. Nel resto il ricorso deve essere rigettato.
Per questi motivi
La Corte Suprema di Cassazione
annulla senza rinvio la sentenza impugnata limitatamente alle statuizioni civili.
Rigetta il ricorso nel resto.
Deposita in cancelleria
Il 22 novembre 2010

Ristrutturazione su immobili abusivi!

TAR Lombardia (MI) Sez. IV n. 7206 8 novembre 2010
Urbanistica. Ristrutturazione su immobili abusivi

Non possano svolgersi opere di ristrutturazione o di manutenzione straordinaria su un manufatto abusivo e mai oggetto di sanatoria edilizia e che tale ulteriore attività costruttiva non possa spiegare alcun effetto preclusivo sulla potestà di reprimere l'opera abusiva nella sua interezza. Ne consegue che non può invocare il regime sanzionatorio più favorevole previsto per il recupero del patrimonio edilizio esistente legittimamente realizzato, colui che ha svolto opere edilizie su immobili abusivi, le quali assumono la stessa qualificazione giuridica dell’immobile abusivamente realizzato. In caso contrario, infatti, l’abuso minore successivo in sostanza giustificherebbe l’applicazione di una sanzione minore, addirittura non demolitoria, estinguendo la potestà sanzionatoria nei confronti dell’abuso maggiore precedente.


REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO



N. 07206/2010 REG.SEN.
N. 01070/1999 REG.RIC.


Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Lombardia

(Sezione Quarta)


ha pronunciato la presente


SENTENZA


sul ricorso numero di registro generale 1070 del 1999, proposto da:
Leccese Domenico, rappresentato e difeso dall'avv. Riccardo Villata, con domicilio eletto presso il suo studio in Milano, via S. Barnaba, 30;


contro


Comune di Segrate, rappresentato e difeso dall'avv. Mario Viviani, con domicilio eletto presso il suo studio in Milano, piazza San Babila, 4/A;

per l'annullamento

del provvedimento 7 gennaio 1997 prot. 1825 con il quale il Direttore del servizio tecnico del Comune ordina all’attuale ricorrente di provvedere alla demolizione di opere edilizie supposamente abusive, salva altrimenti l’acquisizione a titolo gratuito al patrimonio dell’Amministrazione.


Visti il ricorso e i relativi allegati;
Visto l'atto di costituzione in giudizio di Comune del Segrate;
Vista l’ordinanza del TAR Lombardia, Milano, sez. II, 15 aprile 1999 n. 1072;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 5 ottobre 2010 il dott. Alberto Di Mario e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.


FATTO e DIRITTO


1. Il ricorrente impugna l’atto con il quale il Comune ha disposto la demolizione di opere abusive per i seguenti motivi.

I) La sostituzione parziale delle pareti perimetrali di un edificio in pendenza di domanda di condono edilizio senza aumento di volumetria e superficie non sarebbe qualificabile come opera realizzata in assenza di concessione edilizia.

II) La vicenda andrebbe qualificata in termini di restauro e risanamento conservativo e quindi assoggettata alla sanzione prevista per la mancanza della d.i.a.

III) Quand’anche fosse qualificabile come ristrutturazione edilizia sarebbe comunque soggetta a mera autorizzazione in quanto vi sarebbe stata la fedele ricostruzione dell’edificio.

IV) Le opere realizzate dal ricorrente non avrebbero potuto essere sanzionate con l’ordinanza di demolizione comminata nel caso concreto dall’amministrazione.

La difesa comunale sostiene che non sarebbero qualificabili come restauro e risanamento conservativo le opere realizzate su immobile abusivo in quanto l’interessato non potrebbe invocare alcuna preesistenza edilizia. In ogni caso nel caso in questione non vi sarebbero i presupposti per l’applicazione della d.i.a. in quanto gli interventi non erano conformi agli strumenti urbanistici vigenti.

2. Il ricorso è infondato.

Risulta dagli atti e non è contestato che le opere sono state realizzate prima del rilascio del titolo edilizio in sanatoria.

Gli interventi di recupero e di trasformazione del patrimonio edilizio esistente, introdotti per la prima volta dall’art. 31 della legge 5 agosto 1978, n. 457, recante «Norme per l’edilizia residenziale», riguardano esclusivamente il patrimonio edilizio realizzato legalmente.

Infatti costituisce un principio pacifico in giurisprudenza che non possano svolgersi opere di ristrutturazione o di manutenzione straordinaria su un manufatto abusivo e mai oggetto di sanatoria edilizia e che tale ulteriore attività costruttiva non possa spiegare alcun effetto preclusivo sulla potestà di reprimere l'opera abusiva nella sua interezza (Cons. St., sez. V. 29 ottobre 1991 n. 1279).

Ne consegue che non può invocare il regime sanzionatorio più favorevole previsto per il recupero del patrimonio edilizio esistente legittimamente realizzato, colui che ha svolto opere edilizie su immobili abusivi, le quali assumono la stessa qualificazione giuridica dell’immobile abusivamente realizzato. In caso contrario, infatti, l’abuso minore successivo in sostanza giustificherebbe l’applicazione di una sanzione minore, addirittura non demolitoria, estinguendo la potestà sanzionatoria nei confronti dell’abuso maggiore precedente.

In secondo luogo la modifica apportata all’immobile oggetto della domanda di condono, rendendo tale bene diverso da quello realizzato originariamente nei termini previsti per il condono, impedisce l’accoglimento della relativa domanda.

In definitiva il ricorso va respinto.

Le spese seguono la soccombenza e sono liquidate come in dispositivo.

P.Q.M.


definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo rigetta.

Condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali a favore del Comune che liquida in euro millecinquecento/00 (1500,00) oltre IVA e CPA come per legge.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.

Così deciso in Milano nella camera di consiglio del giorno 5 ottobre 2010 con l'intervento dei magistrati:

Adriano Leo, Presidente
Concetta Plantamura, Referendario
Alberto Di Mario, Referendario, Estensore

L'ESTENSORE

IL PRESIDENTE


DEPOSITATA IN SEGRETERIA
Il 08/11/2010

COMUNE DI ZAGAROLO:Ordinanza di demolizione ed acquisizione al patrimonio comunale

Cass. Sez. III n. 40924 del 19 novembre 2010 (Ud. 22 ott. 2010)
Pres. Teresi Est. Rosi Ric. PM in proc. Sebastiani
Urbanistica. Ordinanza di demolizione ed acquisizione al patrimonio comunale

L’ingiustificata inottemperanza, nel termine di legge, all’ordine di demolizione di una costruzione abusiva emesso dall’autorità comunale comporta l’automatica acquisizione gratuita dell’immobile al patrimonio disponibile del Comune alla scadenza di detto termine, Indipendentemente dalla notifica all’interessato dell’accertamento formale dell’inottemperanza che ha solo funzione certificativa dell’avvenuto trasferimento del diritto di proprietà poiché la notifica all’interessato dell’accertamento formale dell’inottemperanza è unicamente il titolo necessario per l’immissione in possesso dell’ente e per la trascrizione nei registri immobiliari dell’atto di acquisizione


UDIENZA del 22.10.2010

SENTENZA N.1019

REG. GENERALE N. 6758/2010

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
Sez. III Penale

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. ALFREDO TERESI - Presidente
Dott. MARIO GENTILE - Consigliere
Dott. ALDO FIALE - Consigliere
Dott. SILVIO AMORESANO - Consigliere
Dott. ELISABETTA ROSI - Rel. Consigliere

ha pronunciato la seguente

SENTENZA
sul ricorso proposto da:
PMT PRESSO TRIBUNALE DI TIVOLI nei confronti di:
1) SEBASTIANI MATILDE N. IL xz/zx/adxx
avverso la sentenza n. 454/2006 TRIB.SEZ.DIST. di PALESTRINA, del 27/11/2009
- visti gli atti, la sentenza e il ricorso
- udita in PUBBLICA UDIENZA del 22/10/2010 la relazione fatta dal
Consigliere Dott. ELISABETTA ROSI
- Udito il Procuratore Generale in persona del Dott. Mario fraticelli
che ha concluso per l'annullamento senza rinvio limitatamente al dissequestro del bene in favore dell'imputata, cui va sostituito il Comune di Zagarolo;
- Udito, per la parte civile, l'Avv. //
- Udito il difensore Avv. Ernesto Fiasco che ha concluso per il rigetto del ricorso.


RITENUTO IN FATTO
Con sentenza del 27/11/2009 il Tribunale di Tivoli in composizione monocratica, Sezione di Palestrina ha dichiarato non doversi procedere per intervenuta prescrizione e ha disposto la restituzione del bene in sequestro, nei confronti dell'imputata per i reati:
a) articolo 44 lettera c) d.P.R. 380/2001 per avere eseguito in zona sottoposta a vincolo paesaggistico, senza essere in possesso della prescritta concessione edilizia, lavori di costruzione di manufatto in
blocchetti di tufo, ad uso magazzino (in ampliamento a preesistente manufatto) opera non sanabile per contrasto con lo strumento urbanistico;
b) articolo 181 D.L.vo 22 gennaio 2004, n.41 in relazione all'articolo 20 Lettera c) legge 47/85 (ora 44 lettera c) dpr 380/2001) per modificazione dell'originario assetto dei luoghi sottoposti a vincolo paesaggistico;
c) violazione delle prescrizioni antisismiche, omettendo la prescritta denuncia dei lavori e la presentazione dei progetti con le modalità previste e senza aver richiesto ed ottenuto la preventiva autorizzazione delle autorità competenti;
d) altre contravvenzioni edilizie del citato d.p.r. 380/ 2001, relative al fatto di aver costruito le opere suddette senza che fosse stato redatto da un tecnico abilitato il progetto esecutivo e senza che a tale tecnico ne fosse affidata la direzione e perché aveva omesso o ritardato la denuncia di lavori prevista, fatti accertati in Zagarolo il 4 marzo 2004.

Il Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Tivoli ha proposto ricorso per cassazione chiedendo l'annullamento della sentenza ai sensi e per gli effetti degli articoli 569 e 606 lettera b) c.p.p., per violazione delle norme sostanziali e processuali, in particolare, degli articoli 27 e 31 dpr 380/2001. Egli ritiene che, secondo la ormai prevalente giurisprudenza di questa Corte, che viene richiamata ampiamente nell'atto di ricorso, la scadenza del termine di novanta giorni senza che il contravventore abbia ottemperato all'ordinanza comunale di demolizione delle opere abusive produce ope legis l'acquisizione al patrimonio comunale del manufatto e dell'area di sedime e che non possa aver rilievo l'avvenuto adempimento della notifica all'interessato dell'accertamento formale della inottemperanza, necessaria solo a consentire all'ente comunale l'immissione in possesso nell'immobile e la trascrizione nei registri immobiliari del titolo dell'acquisizione. Nel caso di specie, poiché risultava dagli atti che il Comune di Zagarolo aveva emesso il 21 luglio 2005, l'ordinanza n. 195, con la quale aveva intimato all'imputato la demolizione delle opere, ordinanza della quale era stata accertata l'inottemperanza, in data 27 gennaio 2006, il giudice avrebbe omesso di verificare tale inosservanza, che avrebbe dovuto imporre la restituzione del manufatto all'avente diritto, ossia all'amministrazione comunale, in quanto la procedura di acquisizione automatica dell'immobile al patrimonio comunale doveva ritenersi completata.


CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso è fondato e va pertanto accolto.
L'ingiustificata inottemperanza, nel termine di legge, all'ordine di demolizione di una costruzione abusiva emesso dall'autorità comunale comporta l'automatica acquisizione gratuita dell'immobile al patrimonio disponibile del Comune alla scadenza di detto termine, indipendentemente dalla notifica all'interessato dell'accertamento formale dell'inottemperanza che ha solo funzione certificativa dell'avvenuto trasferimento del diritto di proprietà, (tra le numerose altre, recentemente, Sez. 3, n. 2912 del 22/01/2010, Rv. 246048), poiché la notifica all'interessato dell'accertamento formale dell'inottemperanza è unicamente il titolo necessario per l'immissione in possesso dell'ente e per la trascrizione nei registri immobiliari dell'atto di acquisizione (Sez. 3, n. 1819 del 19/01/2009, Rv. 242254).

La procedura disciplinata dall'art. 31 del D.P.R. 6 giugno 2001, n. 380, Testo unico in materia edilizia (ed ancor prima dall'art. 7 della legge 28 febbraio 1985, n. 47) prevede infatti la seguente sequenza procedimentale:
1) l'ingiunzione dell'autorità comunale che ha accertato l'abuso edilizio di demolizione dell'immobile;
2) l'acquisizione di diritto dell'immobile al patrimonio comunale se il responsabile non provvede alla demolizione nel termine di novanta giorni dall'ingiunzione;
3) l'accertamento formale dell'eventuale inottemperanza all'ordine di demolizione;
4) la notifica di tale accertamento all'interessato, che costituisce titolo per l'immissione nel possesso da parte del comune e per la trascrizione nei registri immobiliari. Dal disposto normativo appare chiaro che l'effetto ablatorio si verifica di diritto alla inutile scadenza del termine fissato per ottemperare all'ingiunzione di demolire, mentre la notifica dell'accertamento formale dell'inottemperanza si configura solo come titolo necessario per l'immissione in possesso e per la trascrizione nei registri immobiliari.
La sanzione amministrativa del trasferimento coattivo del bene è volta a consentire all'ente pubblico di provvedere d'ufficio alla demolizione dell'immobile a spese del responsabile dell'abuso, salvo che si accerti in concreto un prevalente interesse pubblico alla conservazione dell'immobile stesso (art. 31, comma 5). Quindi, in caso di inottemperanza all'ingiunzione di demolizione, il manufatto abusivo non deve essere restituito al privato responsabile dell'abuso, quand'anche in possesso del bene, ma al Comune, divenutone proprietario a seguito dell'inutile decorso del termine di legge previsto dall'art. 31 del D.Lgs. 6 giugno 2001, n. 380 (Sez. 3, n. 48031 del 23/12/2008, Rv. 241768).

Nel caso di specie, risulta dagli atti che la contravventrice Sebastiani Matilde non aveva ottemperato nei termini prescritti alla ordinanza comunale di demolizione n. 195 del 21 luglio 2005, come attestato dal verbale di accertamento redatto dal Comando Polizia municipale il 27 gennaio 2006, pertanto il giudice di merito, nel disporre il dissequestro dell'immobile abusivo, avrebbe dovuto ordinarne la restituzione a favore dell'ente comunale, divenuto legittimamente proprietario del bene.
L'effetto ablatorio così verificatosi non trova smentite nei documenti prodotti in udienza dalla difesa, relativi al ricorso straordinario presentato al Presidente della Repubblica per la declaratoria di annullamento di atti amministrativi emessi dal Comune di Zagarolo, in quanto gli stessi, oltre ad essere successivi al verificarsi dell'effetto ablatorio, sono attinenti all'inclusione della zona interessata all'abuso nell'area soggetta a vincolo paesaggistico e al diniego del permesso in sanatoria e non hanno alcuna rilevanza sull'accertamento dell'inottemperanza all'ingiunzione di demolizione.

Di conseguenza la sentenza impugnata va annullata senza rinvio, limitatamente alla restituzione del manufatto abusivo alla Sebastiani Matilde, dovendo l'immobile essere restituito al Comune di Zagarolo, ormai titolare dello jus possidendi.


P.Q.M.

annulla senza rinvio limitatamente alle disposizioni restitutorie e dispone la restituzione dell'immobile abusivo al Comune di Zagarolo.

Così deciso in Roma, il 22 ottobre 2010.

DEPOSITATA IN CANCELLERIA Il 19 Nov. 2010

venerdì 10 dicembre 2010

PROCACCINI DIMISSIONI.

SEGUIRANNO NOTIZIE DETTAGLIATE DOPO DEL 15.12.2010.


-----Original Message-----
From: "procmic@tiscali.it"
Date: Thu, 28 Oct 2010 17:32:02
To: ;
Reply-To: "procmic@tiscali.it"
Cc: ; ; ;
Subject: Dimissioni da Segretario Comunale de La Destra di Zagarolo (RM)

Al Segretario Federazione Romana La Destra
On. BUONASORTE Roberto
p.c. Segretario Nazionale La Destra
On. STORACE Francesco
Presidente Nazionale La Destra
On. BUONTEMPO Teodoro
Segretario Regionale Lazio La Destra
On. MESSA Vittorio
Zagarolo 28 Ottobre 2010
Oggetto: Dimissioni da Segretario Comunale de La Destra di Zagarolo
(RM)
Buongiorno,sono con la presente a comunicarLe, in maniera irrevocabile, quanto
in oggetto.
Tale decisione, molto sofferta, è conseguente al clima di sfiducia
reciproca che si è venuto a creare tra il sottoscritto e la Sua persona
come testimoniato dalla recente richiesta urgente di convocazione del
congresso sezionale di Zagarolo pervenutami da un sedicente (in quanto
come da Sua comunicazione tutte le cariche della Federazione sono
decadute ed al momento non ne risulta ufficializzate di nuove)
“Responsabile della segreteria politica della Federazione Romana” a
firma del sig. Giovanni Brandi.
Ho più volte e da molti mesi richiesto inutilmente un incontro con
Lei per relazionarLa sull’ottimo andamento della sezione di Zagarolo e
sulla necessità di un Suo intervento nei confronti di alcuni soggetti
tesserati, ?????????????????????? , che continuano a portare
discredito al partito nonostante siano già stati invitati a desistere
dal Direttivo locale e dal Comitato Etico Nazionale.
Tale superficialità ed indifferenza verso il mio impegno quotidiano
che con sacrificio mi onoravo di dedicare a La Destra, mi hanno ormai
convinto in modo definitivo che nella Federazione che Lei conduce anche
grazie alla fiducia concessaLe dal sottoscritto al recente congresso
provinciale, non c’è posto per persone oneste e leali come me.
AugurandoLe di trovare a Zagarolo nuovi dirigenti in grado di
confermare e migliorare gli ottimi risultati elettorali e sul
territorio portati in questi tre anni dal sottoscritto al partito, Le
saluto cordialmente.


Cav. Mario Procaccini.

mercoledì 8 dicembre 2010

danno ambientale

Cons. Stato Sez. VI sent. 5453 del 19 ottobre 2007
Danno ambientale. Legittimazione a ricorrere

La generale legittimazione a ricorrere spetta all’associazione Legambiente, nella sua veste di associazione ambientalistica di livello nazionale, riconosciuta con apposito decreto ministeriale; tale non è il Circolo Gaia di Legambiente, che costituisce solo una struttura territoriale facente capo all’associazione nazionale, ma che, in quanto mera associazione d’ambito locale, in se e per se non riconosciuta, non può ritenersi legittimata alla proposizione del gravame; tale potestà spettando solo all’associazione nazionale riconosciuta in quanto tale e non alle sue strutture associative d’ambito locale; donde il difetto di legittimazione a ricorrere di detta associazione locale specie nel caso in cui non abbia dimostrato di patire un danno diretto e concreto a cagione dell’adozione dei provvedimenti impugnati


REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
N.5453/2007
Reg.Dec.
N. 5519-5520-
5521 Reg.Ric.
ANNO 2006
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Sesta) ha pronunciato la seguente
DECISIONE
sui ricorsi riuniti in appello nn. 5519/06, 5520/06 e 5521/06 proposti rispettivamente:
1) ricorso n. 5519/06, da:
A.GE.CO.S. (AZIENDA GENERALE COSTRUZIONI E SERVIZI) S.P.A., in persona del legale rappresentante in carica, rappresentata e difesa dagli avv. Francesco Paparella e Marco Palieri, ed elettivamente domiciliata presso lo studio del dott. Alfredo Placidi in Roma, via Cosseria, n. 2;
contro
PATETTA GIUSEPPE, RIZZO RAFFAELE, RIZZO GENNARO GIUSEPPE, RIZZO LUIGI, RIZZO GENNARO, RIZZO MARCO, RIZZO ADRIANO, RIZZO MARIA ELENA, RIZZO LUCIA ADDOLORATA, MAINARDI FRANCESCA, MAINARDI ANGELO, RIZZO MARIA LUISA, LADOGANA MONICA, DI DEDDA ANTONIO, TARANTINO GERARDO, BOREA PAOLO, STALLONE MICHELE E FARES LORENZO, non costituiti in giudizio;
LEGAMBIENTE CIRCOLO GAIA, in persona del legale rappresentante in carica, rappresentata e difesa dall’avv. Antonio Mescia, ed elettivamente domiciliata presso lo studio dell’avv. Franco Gaetano Scoca in Roma, via Paisiello, n. 55;
e nei confronti di
PROVINCIA DI FOGGIA, COMUNE DI ORTA NOVA E REGIONE PUGLIA, in persona dei rispettivi legali rappresentanti in carica, non costituiti in giudizio;
2) ricorso n. 5520/06, da:
A.GE.CO.S. (AZIENDA GENERALE COSTRUZIONI E SERVIZI) S.P.A., in persona del legale rappresentante in carica, come sopra rappresentata, difesa e domiciliata;
contro
COMUNI DI CARAPELLE, CERIGNOLA, ORDONA, STORNARA E STORNARELLA, in persona dei rispettivi sindaci in carica, rappresentati e difesi dall’avv. Antonio Mescia, ed elettivamente domiciliati presso lo studio dell’avv. Franco Gaetano Scoca in Roma, via Paisiello, n. 55;
e nei confronti di
PROVINCIA DI FOGGIA, COMUNE DI ORTA NOVA E REGIONE PUGLIA, in persona dei rispettivi legali rappresentanti in carica, non costituiti in giudizio;
3) ricorso n. 5521/06, da:
A.GE.CO.S. (AZIENDA GENERALE COSTRUZIONI E SERVIZI) S.P.A., in persona del legale rappresentante in carica, come sopra rappresentata, difesa e domiciliata;
contro
PROVINCIA DI FOGGIA, in persona del presidente in carica, rappresentata e difesa dall’avv. Sergio Delvino, ed elettivamente domiciliata presso lo studio dell’avv. Domenico Ciavarella in Roma, via Giolitti, n. 202;
e nei confronti di
COMUNI DI CARAPELLE, CERIGNOLA, ORDONA, STORNARA E STORNARELLA, in persona dei rispettivi sindaci in carica, come sopra rappresentati, difesi e domiciliati;
COMMISSARIO DELEGATO PER L’EMERGENZA AMBIENTALE NELLA REGIONE PUGLIA, non costituito in giudizio;
PATETTA GIUSEPPE, RIZZO RAFFAELE, RIZZO GENNARO GIUSEPPE, RIZZO LUIGI, RIZZO GENNARO, RIZZO MARCO, RIZZO ADRIANO, RIZZO MARIA ELENA, RIZZO LUCIA ADDOLORATA, MAINARDI FRANCESCA, MAINARDI ANGELO, RIZZO MARIA LUISA, LADOGANA MONICA, DI DEDDA ANTONIO, TARANTINO GERARDO, BOREA PAOLO, STALLONE MICHELE E FARES LORENZO, non costituiti in giudizio;
LEGAMBIENTE CIRCOLO GAIA, COMUNE DI ORTA NOVA E REGIONE PUGLIA, in persona dei rispettivi legali rappresentanti in carica, non costituiti in giudizio;
per la riforma
delle sentenze del Tribunale amministrativo regionale della Puglia, sede di Bari, sezione terza, 10 maggio 2006, rispettivamente, nn. 1639 (appello n. 5519/2006), 1640 (appello n. 5520/2006) e 1638 (appello n. 5521/2006);
visti i ricorsi in appello con i relativi allegati;
visti gli atti di costituzione in giudizio di Legambiente Circolo Gaia nel ricorso in appello n. 5519/2006; dei Comuni di Carapelle, Cerignola, Ordona, Stornara e Stornarella nei ricorsi in appello nn. 5520/2006 e 5521/2006; nonché della Provincia di Foggia e dei predetti Comuni nel ricorso in appello n. 5521/2006;
viste le memorie prodotte dalle parti a sostegno delle rispettive difese;
visti tutti gli atti delle cause;
vista l’ordinanza della Sezione 5 febbraio 2007, n. 466;
relatore, alla pubblica udienza del 26 giugno 2007, il consigliere Paolo BUONVINO;
uditi, per le parti, gli avv.ti. Paparella e Mescia;
Ritenuto e considerato, in fatto e in diritto, quanto segue:
F A T T O e D I R I T T O
1) - Con la prima delle sentenze impugnate (n. 1638/2006, resa sul ricorso di primo grado n. 1414/2005 - appello n. 5521/2006) il TAR ha dichiarato improcedibile (avendo le parti concordemente chiesto – secondo i primi giudici - dichiararsi la sopravvenuta improcedibilità del gravame, essendo esauriti gli effetti giuridici degli atti impugnati) il ricorso proposto dall’odierna appellante AGECOS s.p.a. per l’annullamento della deliberazione n. 48 del 27 luglio 2005 del Consiglio della Provincia di Foggia, avente ad oggetto “Discarica di Orta Nova – discussione ed eventuali determinazioni” - e della relativa nota di trasmissione prot. n. 42445 del 4 agosto 2005 dell’Assessore provinciale all’Ambiente; nonché della deliberazione n. 646 del 18 agosto 2005 della Giunta della Provincia di Foggia, avente ad oggetto “Deliberazione n. 525 del 5 luglio 2005 - progetto discarica rifiuti speciali non pericolosi con recupero ambientale di una cava in località Ferrante – Comune di Orta Nova - ditta AGECOS s.p.a. – determinazioni”, e del relativo telegramma di comunicazione del 19 agosto 2005 dell’Assessore provinciale all’Ambiente; e di ogni altro atto e/o provvedimento presupposto, conseguente ovvero comunque connesso; con il ricorso era anche chiesto il risarcimento di tutti i danni, patiti e patendi, comunque derivanti dall’esecuzione degli atti e provvedimenti impugnati; con motivi aggiunti è stato, poi, chiesto dalla medesima ricorrente l’annullamento della delibera di G.P. di Foggia del 14 dicembre 2005, n. 919, e degli atti connessi, nonché della delibera del Consiglio provinciale di Foggia del 28 dicembre 2005, n. 79.
Con la stessa sentenza il TAR ha dichiarato anche caduta, in via derivata, la domanda risarcitoria attorea, nonché il ricorso proposto in via incidentale dai Comuni resistenti, per effetto del principio accessorium secuitur principale.
Per la società appellante la sentenza sarebbe del tutto erronea in quanto non solo la medesima non avrebbe mai chiesto che si desse atto della sopravvenuta improcedibilità del ricorso per i motivi anzidetti, ma, al contrario, avrebbe insistito, in tutti suoi atti defensionali, per l’accoglimento dello stesso in funzione dell’accoglimento della domanda risarcitoria con il ricorso stesso avanzata, donde, a questi fini, il pieno interesse a vedere annullati gli atti impugnati.
Nel merito, l’appellante ribadisce, poi, tutti i motivi di primo grado, insistendo per la declaratoria di illegittimità e il conseguente annullamento della delibera provinciale di sospensione, fino al 31 dicembre 2005, dell’efficacia della delibera di Giunta Provinciale n. 525/2005 e di quella di reiterazione della sospensione stessa per giorni 90.
Si è costituita in giudizio la sola Legambiente Circolo Gaia che insiste per il rigetto dell’appello e la conferma della gravata sentenza.
2) – Con la seconda delle sentenze impugnate (n. 1639/2006, resa nel ricorso di primo grado n. 1501/2005 – appello n. 5519/2006) e con la terza di esse (n. 1640/2006, resa nel ricorso n. 1500/2005 – appello n. 5520/2006) lo stesso TAR ha accolto (previo assorbimento di tutti i motivi introdotti in via gradata, ivi compreso quello proposto con motivi aggiunti) il primo motivo dei ricorsi svolti dai sigg. Giuseppe Patetta, Raffaele Rizzo e altri e da legambiente Gaia (ricorso n. 1639/2005) e dai Comuni di Ascoli Satriano, di Carapelle, di Cerignola, di Ordona, di Stornara e di Stornarella (ricorso n. 1640/2005) ed ha accolto, per l’effetto, i ricorsi stessi, annullando gli atti con quei ricorsi gravati.
In particolare, con detti ricorsi era stato chiesto, principalmente, l’annullamento della deliberazione della Giunta Provinciale n. 525 del 5 luglio 2005, avente ad oggetto: “Progetto discarica rifiuti speciali non pericolosi con recupero ambientale di una cava in Località Ferrante – Comune di Orta Nova – Ditta A.GE.COS. S.p.A.”, pubblicata all’Albo Pretorio Provinciale dal 20 luglio 2005 al 4 agosto 2005; era anche chiesto l’annullamento di tutti i provvedimenti presupposti e/o connessi alla richiamata deliberazione provinciale e specificatamente:
- della determinazione del Dirigente del Settore Ecologia n. 37 del 27 gennaio 2005, avente ad oggetto: “ Procedura di V.I.A. – Discarica per rifiuti speciali non pericolosi – Comune di Orta Nova (FG) – Prop. A.GE.COS. S.p.A.”;
- di ogni altro atto presupposto, connesso e/o consequenziale, anche se non conosciuto, ivi compreso il parere favorevole di compatibilità ambientale dell’intervento proposto, espresso dal Comitato di V.I.A. nella seduta del 21 dicembre 2004;
- della deliberazione del Consiglio Comunale di Orta Nova (FG) n. 36 del 23 novembre 2004 (doc. 21): “Parere urbanistico relativo alla localizzazione di una discarica di rifiuti speciali non pericolosi in Ditta A.GE.COS. S.p.A. con recupero ambientale di cava dimessa in Località Ferrante”, nonché di ogni altro atto presupposto connesso e/o consequenziale;
- della deliberazione della Giunta Comunale di Orta Nova (FG) n. 255 del 16 dicembre 2004: “Approvazione protocollo d’intesa tra il Comune di Orta Nova e l’A.GE.COS. S.p.A. per la realizzazione di una discarica per rifiuti non pericolosi con recupero di cava dismessa in questo territorio comunale”, nonché di ogni altro atto presupposto, connesso e/o consequenziale, anche se non conosciuto, ivi compreso l’allegato protocollo d’intesa stipulato con l’A.GE.COS. S.p.A.
Il TAR, dopo avere esaminato e respinto le eccezioni spiegate, nei due ricorsi, dalla società controinteressata, d’inammissibilità degli stessi per difetto di legittimazione attiva dei ricorrenti, ha accolto il ricorso nel merito avendo ritenuto, in particolare, la fondatezza del motivo di ricorso con il quale era stata dedotta l’illegittimità della deliberazione di Giunta provinciale n. 525/2005 (principalmente impugnata) avendo ritenuto incompetente, in materia, la Provincia, i relativi poteri dovendo ritenersi, alla stregua della disciplina normativa statale all’epoca vigente, direttamente in capo la Regione Puglia, non più operando la delega alle Province introdotta con legge regionale 3 ottobre 1986, n. 30.
Per l’appellante le sentenze impugnate sarebbero fondate su di un manifesto errore interpretativo e cognitivo della disciplina vigente in materia de qua nella predetta Regione, dal momento che, a parte l’erroneità delle argomentazioni interpretative fatte proprie dai primi giudici, gli stessi, avrebbero, soprattutto trascurato di tenere conto di una specifica norma di legge (l’art. 23 della LR n. 17 del 30 novembre 2000,) che, anche dopo l’entrata in vigore della legge dello Stato n. 22 del 1997, avrebbe riconfermato, nella materia di cui è causa, la delega di esercizio dei relativi poteri alle Province pugliesi.
Resistono, nei due appelli, i Comuni di Carapelle, Cerignola, Ordona, Stornara e Stornarella; nell’appello n. 5520/2006 resiste anche la Provincia di Foggia; dette amministrazioni insistono, nelle proprie difese, per il rigetto degli appelli perché infondati.
I predetti Comuni ribadiscono, ad ogni buon conto, le censure di primo grado che il TAR ha assorbito, insistendo, all’occorrenza, per il loro accoglimento.
3) – Portate le cause alla pubblica udienza del 19 dicembre 2006, la Sezione, con ordinanza n. 466 del 5 febbraio 2007, ha:
a) - riunito i ricorsi in appello nn. 5519/2006, 5520/2006 e 5521/2006;
b) - ordinato all’appellante di notificare il ricorso in appello n. 5520/06 al Comune di Ascoli Satriano (che era uno dei ricorrenti in primo grado).
Adempiuto l’incombente ora detto, gli appelli, come sopra riuniti, tornano all’esame di questo Consiglio.
4) – Ritiene il Collegio di dovere esaminare, in ordine logico, anzitutto gli appelli nn. 5519/2006 e 5520/2006, proposti dalla società AGECOS s.p.a. per la riforma delle sentenze nn. 1639/2006 e 1640/2006, di accoglimento, rispettivamente, dei ricorsi nn. 1501/2005 e 1500/2005, proposti, il primo, dai sigg,ri Patetta, Rizzato e altri (tra cui, Legambiente Gaia) e il secondo dai Comuni di Ascoli Satriano, Carapelle, Cerignola, Ordona, Stornara e Stornarella, per l’annullamento, principalmente, della delibera della Giunta provinciale di Foggia n. 525 del 5 luglio 2005, avente ad oggetto: “Progetto discarica rifiuti speciali non pericolosi con recupero ambientale di una cava in Località Ferrante – Comune di Orta Nova – Ditta A.GE.COS. S.p.A.”, pubblicata all’Albo Pretorio Provinciale dal 20 luglio 2005 al 4 agosto 2005 (nonché degli atti preordinati, consequenziali e connessi sopra elencati).
Preliminarmente va dato atto che l’appellante, in adempimento dell’ordinanza della Sezione n. 466/2007, ha integrato il contraddittorio, per ciò che attiene all’appello n. 5520/2006, anche nei confronti del Comune di Ascoli Satriano, donde la raggiunta completezza del contraddittorio stesso, dovendo condividersi la pacifica giurisprudenza di questo Consiglio secondo cui, in caso di omessa notificazione del ricorso in appello a tutte le parti costituite in primo grado, si deve procedere, in analogia a quanto previsto dall'art. 331 c.p.c., all'integrazione del contraddittorio nei confronti delle altre parti necessarie (cfr. Sezione V, n. 2271/2005; n. 5157/2005; Sezione IV, n. 923/2002; Sezione VI, n. 69/2004).
5) – Con il primo motivo dei detti appelli l’appellante deduce l’erroneità delle sentenze ora dette nella parte in cui hanno rigettato l’eccezione di inammissibilità del ricorso proposto in primo grado dagli anzidetti originari ricorrenti.
Il motivo è fondato.
Legambiente Circolo Gaia, in quanto tale, non è un’associazione ambientalistica riconosciuta a livello nazionale; è pacifico, invero (cfr., in particolare, 5 dicembre 2002, n. 6657) l’interesse a ricorrere in via autonoma delle associazioni ambientalistiche riconosciute ai sensi dell'art. 18, 5 comma, della legge 8 luglio 1986, n. 349; le associazioni ambientalistiche, infatti, se riconosciute da appositi decreti ministeriali, sono legittimate a ricorrere nelle controversie relative a materie corrispondenti alle loro finalità istituzionali (cfr. sul punto, la decisione della Sezione 25 gennaio 1995, n. 77); in base a detta norma, infatti, “le associazioni individuate in base all'articolo 13 della presente legge possono intervenire nei giudizi per danno ambientale e ricorrere in sede di giurisdizione amministrativa per l'annullamento di atti illegittimi”.
Sennonché, tale generale legittimazione a ricorrere spetta all’associazione Legambiente, nella sua veste di associazione ambientalistica di livello nazionale, riconosciuta con apposito decreto ministeriale; tale non è, peraltro, il Circolo Gaia di Legambiente ricorrente in primo grado, che costituisce solo una struttura territoriale facente capo all’associazione nazionale, ma che, in quanto mera associazione d’ambito locale, in se e per se non riconosciuta, non può ritenersi legittimata alla proposizione del gravame; tale potestà spettando solo all’associazione nazionale riconosciuta in quanto tale e non alle sue strutture associative d’ambito locale; donde il difetto di legittimazione a ricorrere di detta originaria ricorrente che, del resto, non ha dimostrato di patire alcun danno diretto e concreto a cagione dell’adozione dei provvedimenti impugnati in primo grado.
Quanto ai sigg.ri Patetta, Rizzo e altri, solo il primo risulta titolare di un terreno agricolo limitrofo al realizzando impianto, mentre gli altri ricorrenti in primo grado hanno attestato la proprietà di fondi nella zona, ma non in diretta prossimità dell’impianto stesso; ad ogni buon conto, nessuno dei ricorrenti stessi, compreso il sig. Patetta, ha dimostrato quale concreto e sicuro pregiudizio la realizzazione della discarica di rifiuti speciali non pericolosi potrebbe produrre al fondo dal medesimo coltivato e ciò anche in considerazione del fatto che la realizzazione della bonifica delle preesistenti discariche appare, se possibile, potenzialmente produttiva di un miglioramento dell’ambiente locale.
Come è noto, del resto, la giurisprudenza ha avuto modo di puntualizzare che la mera circostanza della prossimità all'opera pubblica da realizzare non è idonea a radicare un interesse all'impugnazione in assenza della congrua dimostrazione del danno che deriverebbe dall'impianto (Sez. VI, 18 luglio 1995, n. 754; Sez. V, 13 luglio 1998, n. 1088; 31 gennaio 2001, n. 358; 20 maggio 2002, n. 2714; 16 aprile 2003, n. 1948).
Quanto agli enti locali ricorrenti in primo grado, anche se la legittimazione all'impugnazione del provvedimento di localizzazione di una discarica di rifiuti viene normalmente riconosciuta ai Comuni nel cui territorio l'impianto dovrebbe essere collocato (cfr. Sez. V, 2 ottobre 2006 , n. 5713; Sez. VI, 5 dicembre 2002, n. 6657; Sez. V, 2 aprile 2002, n. 1797), valgono, non di meno, anche per essi, i principi appena enunciati in merito alla necessità che gli enti in parola dimostrino il concreto pregiudizio che la realizzazione dell’impianto sarebbe in grado di produrre negli ambiti territoriali di rispettiva competenza; ciò che i Comuni ricorrenti in primo grado non hanno precisato e comprovato nei puntuali termini ora detti.
Anche nel corso della procedura e, in particolare, in sede di conferenza di servizi, i Comuni ricorrenti in primo grado si sono, del resto, limitati a ventilare pregiudizi legati unicamente ad asseriti danni di immagine per le attività agricole di zona, ovvero per il turismo agro-alimentare o ad un indimostrato aggravamento del traffico locale, o, infine, (Comune di Cerignola) “al fatto che l’intervento potrebbe compromettere la programmazione del Consorzio di igiene Ambientale che sovrintende al Bacino di utenza Fg/4” e, quindi, ad un danno meramente potenziale e indimostrato prodotto, in ipotesi, ad un soggetto terzo (il predetto Consorzio) rispetto allo stesso Comune deducente.
In definitiva, i Comuni ricorrenti in primo grado non si sono dati cura della richiesta dimostrazione e, in particolare di fornire elementi concreti e dimostrabili utili a confortare l’assunto secondo cui la semplice vicinanza dell’impianto ai rispettivi territori comunali avrebbe potuto produrre il pregiudizio genericamente lamentato; donde il difetto di legittimazione attiva a ricorrere anche dei predetti enti locali.
Quanto alla specifica posizione del Comune di Ascoli Satriano, che, almeno fino al momento dell’adozione della delibera di G.P. n. 525/2005, non risulta essere stato invitato alla Conferenza di servizi, va rilevato che tale difetto procedimentale rileva non quale vizio fine a se stesso, ma solo se e nei limiti in cui il Comune medesimo abbia addotto elementi sufficientemente probanti la produzione, a seguito della realizzazione dell’intervento, di significativi pregiudizi per il rispettivo territorio comunale e per le relative popolazioni; sennonché, una dimostrazione in tal senso è del tutto mancata da parte di detto Comune che, del resto, confina con il Comune di Orta Nova solo con una limitata fascia di terreno, sita a non breve distanza dall’area di localizzazione della discarica (stando agli atti depositati, il centro del Comune dista circa quindici chilometri dalla discarica in progetto, mentre il confine del territorio comunale ne dista circa cinque chilometri).
6) – In definitiva, per i motivi che precedono, vanno accolti gli appelli nn. 5519/2006 e 5520/2006, proposti dalla società AGECOS s.p.a. per la riforma delle sentenze nn. 1639/2006 e 1640/2006, di accoglimento, rispettivamente, dei ricorsi di primo grado nn. 1501/2005 e 1500/2005.
7) – La Sezione ritiene, peraltro, opportuno esaminare il secondo motivo degli appelli ora detti con il quale la società appellante deduce l’erroneità delle due predette sentenze perché basate su di un manifesto errore interpretativo e cognitivo della disciplina vigente in materia de qua nella Regione Puglia, dal momento che, a parte l’erroneità delle argomentazioni interpretative fatte proprie dai primi giudici, gli stessi avrebbero, soprattutto, trascurato di tenere conto di una specifica norma di legge regionale - l’art. 23 della LR n. 17 del 30 novembre 2000 - che, anche dopo l’entrata in vigore della legge dello stato n. 22 del 1997, avrebbe riconfermato, nella materia di cui è causa, la delega di esercizio dei relativi poteri alle Province pugliesi.
Il motivo è pure fondato.
Come esattamente dedotto dall’appellante, indipendentemente dalla correttezza o meno dell’esegesi condotta nella sentenza in esame circa il superamento che la legge n. 22 del 1997 avrebbe operato con riguardo alle deleghe, nella materia di cui è causa, operate, a suo tempo, da parte delle regioni a favore delle Province, vi è, invero, da osservare che la Regione Puglia, con la citata L.R. n. 17 del 2000, ha ribadito, all’art. 23, la delega di poteri nella materia in questione a favore delle Province, con la conseguenza che non può, comunque, dubitarsi della competenza della Provincia di Foggia ad adottare la deliberazione di cui è causa.
In particolare, la norma anzidetta ha sostituito i commi 1 e 2 della legge regionale 3 ottobre 1986, n. 30, che in precedenza, aveva delegato alle province le competenze di cui si tratta.
In particolare, con il citato art. 23:
“1. Sono delegate alle province, per il territorio di rispettiva competenza, le funzioni concernenti:
a) l'approvazione dei progetti di nuovi impianti per la gestione dei rifiuti, anche pericolosi, e l'autorizzazione alle modifiche degli impianti esistenti;
b) l'autorizzazione all'esercizio delle operazioni di smaltimento e di recupero dei rifiuti, anche pericolosi;
c) le attività in materia di spedizioni transfrontaliere che il regolamento CEE n. 259/93 attribuisce alle autorità competenti di spedizione e di destinazione;
d) l'elaborazione, l'approvazione e l'aggiornamento dei piani per la bonifica di aree inquinate ricadenti entro i confini di un medesimo territorio provinciale”.
Ne consegue che, al momento dell’adozione della delibera n. 525/2005 la Provincia era certamente delegata all’esercizio delle potestà di cui si tratta (approvazione dei progetti di nuovi impianti per la gestione dei rifiuti ed autorizzazione all’esercizio delle operazioni di smaltimento etc.).
Donde l’erroneità, sul punto, delle appellate sentenze nn. 1639 e 1640 del 2006.
8) – Può passarsi, a questo punto, all’esame dell’appello n. 5521/2006, proposto avverso la sentenza n. 1638/2006 con la quale il TAR ha dichiarato improcedibile per sopravvenuta carenza di interesse il ricorso proposto da AGECOS avverso le delibere con le quali la Provincia ha sospeso, cumulativamente, per circa otto mesi, l’efficacia della citata delibera di Giunta n. 525/2005.
Al riguardo, è vero che, dagli atti versati in giudizio in primo grado, emerge, in tutta chiarezza, l’interesse della ricorrente a conseguire l’annullamento di dette delibere ai fini della condanna dell’amministrazione al risarcimento del danno; non di meno, non essendo il Collegio in possesso del verbale d’udienza (che risulta richiesto dall’appellante al TAR, ma che non risulta agli atti del giudizio) dovrebbe disporsene l’acquisizione ai fini di una completa cognizione degli atti di causa ed ai comportamenti delle parti anche in occasione della trattazione della causa alla pubblica udienza del 13 aprile 2006.
Il Collegio ritiene, peraltro, non utile, nell’economia del giudizio, siffatta acquisizione dal momento che, in ogni caso, l’originario ricorso deve, comunque, essere rigettato perché infondato nel merito.
La sospensione di cui si tratta ha fatto, invero, immediato seguito all’emanazione della delibera n. 525/2005; questa è stata, infatti, pubblicata all’Albo Provinciale dal 20 luglio al 4 agosto 2005, laddove, nelle more dell’assunzione di efficacia della stessa, il Consiglio Provinciale, con delibera in data 27 luglio 2005, n. 48, ha ritenuto di chiedere alla Giunta Provinciale di assumere provvedimento di sospensione fino al 31 dicembre 2005, immediatamente esecutivo, relativamente a detta delibera n. 525, al fine di consentire di mettere in atto tutte le azioni necessarie per raggiungere possibili intese tra le parti, chiedendo alla Giunta stessa di non assumere alcun altro provvedimento fino all’adozione del Piano Regionale e/o Provinciale di smaltimento dei rifiuti; con richiesta, inoltre, di parere alla Regione circa la competenza regionale o provinciale in merito all’approvazione dei progetti per la realizzazione di nuove discariche per lo smaltimento di rifiuti speciali; a tale delibera (pubblicata dal 4 al 19 agosto 2005) ha fatto seguito immediato la delibera di Giunta Provinciale 18 agosto 2005, n. 646 (adottata anche tenuto conto del disposto di cui all’art. 21-quater della legge n. 241/1990) con la quale è stata sospesa fino al 31 dicembre 2005 la ripetuta delibera n. 525/2005, in considerazione di quanto richiesto dal Consiglio provinciale, nonché dell’esistenza di uno stato di agitazione della popolazione interessata e di possibile pericolo per l’ordine pubblico.
Ne consegue che, dato il brevissimo lasso di tempo intercorso tra la delibera n. 525/2005 e la relativa sospensione, deve ritenersi che non possa essersi consolidato alcun concreto affidamento dell’impresa, dal momento che essa è stata portata prontamente al corrente della delibera consiliare n. 47/2005, cha ha anche potuto contestare con nota del 9 agosto 2005.
Quanto alla legittimità delle determinazioni provinciali ora dette, esse appaiono conformi al disposto di cui al citato art. 21 quater, comma 2, della legge n. 241/1990, secondo cui “l'efficacia ovvero l'esecuzione del provvedimento amministrativo può essere sospesa, per gravi ragioni e per il tempo strettamente necessario, dallo stesso organo che lo ha emanato ovvero da altro organo previsto dalla legge. Il termine della sospensione è esplicitamente indicato nell'atto che la dispone e può essere prorogato o differito per una sola volta, nonché ridotto per sopravvenute esigenze”.
In ordine al rispetto dei presupposti di applicabilità della norma, deve ritenersi che le preoccupazioni e la necessità di chiarimenti sollecitati dal Consiglio provinciale non siano del tutto privi di consistenza, dovendosi ritenere ragionevole un comportamento dell’Amministrazione atto a sospendere una propria determinazione che ha sollevato anche problematiche legate all’ordine pubblico allorché si siano manifestati dubbi in merito alla piena legittimità della determinazione stessa.
Può anche notarsi, poi, che, nelle more del predetto periodo di sospensione, è emerso che, in una parte, ancorché marginale, dell’area destinata alla realizzazione della discarica, era presente una condotta acquedottistica dell’Acquedotto Pugliese, destinata a confluire in impianti irrigui; circostanza, questa, in precedenza non portata a conoscenza, da parte di AGECOS, sia del Comune di Orta Nova che della Provincia e che neppure risulta essere stata presa in considerazione in sede di VIA; ciò che evidenziava una oggettiva carenza progettuale e che rendeva necessaria una idonea modificazione del progetto stesso di discarica; ciò ad indicare anche che le preoccupazioni manifestate dalle locali popolazioni e recepite dall’amministrazione in merito alla non del tutto soddisfacente portata della progettazione si sono manifestate, nei fatti, non prive di una certa consistenza, tanto da indurre, nel prosieguo, ad adeguare il progetto stesso.
E del pari legittimo appare, per l’effetto, l’operato della Provincia allorché ha prorogato di altri novanta giorni l’operatività della disposta sospensione giusta la pure impugnata delibera di Giunta n. 919 del 14 dicembre 2005, che ha tenuto conto del predetto intervento dell’Acquedotto Pugliese.
Vero che l’odierna appellante ha sottoposto allo stesso A.Q.P. un’apposita modificazione progettuale e che, di massima lo stesso A.Q.P. ha ritenuto di poter escludere che, a seguito delle modificazioni progettuali sottopostegli dall’impresa, potesse sussistere il rischio di percolato da rifiuti; ma una nota recante tale attestazione è intervenuta solo il 23 dicembre 2005 e, quindi, dopo l’adozione della delibera provinciale stessa.
E ciò non senza considerare che quanto concordato tra AGECOS e A.Q.P. in merito alla necessaria variante progettuale avrebbe dovuto, comunque, essere sottoposto al vaglio dei competenti organi comunali e provinciali ai fini dell’approvazione della stessa; con l’aggiunta che quanto emerso è stato anche sottoposto al vaglio della Regione “per le valutazioni di competenza in ambito di procedura di valutazione di impatto ambientale, considerato che la procedura già espletata si è conclusa antecedentemente alla comunicazione da parte dell’A.Q.P. inerente le condotte idriche”.
In definitiva, gli atti di sospensione procedimentale anzidetti appaiono sufficientemente e coerentemente motivati in rapporto alle emergenze in essi segnalate; con la conseguente legittimità degli atti stessi che porta al rigetto dell’originario ricorso perché infondato.
9) – Per tali motivi appaiono fondati e vanno accolti gli appelli in epigrafe nn. 5519/2006 e 5520/2006 (proposti dalla società AGECOS s.p.a. per la riforma delle sentenze nn. 1639/2006 e 1640/2006) e, per l’effetto, vanno dichiarati inammissibili i ricorsi di primo grado nn. 1501/2005 e 1500/2005.
Pronunciando sull’appello n. 5521/2006 va, invece, respinto il ricorso di primo grado n. 1414/2005.
Le spese del doppio grado dei tre giudizi possono essere integralmente compensate tra le parti.
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale, Sezione sesta, tenuto conto della già disposta riunione dei ricorsi in epigrafe indicati:
accoglie gli appelli nn. 5519/2006 e 5520/2006 e, per l’effetto, respinge i ricorsi di primo grado nn. 1501/2005 e 1500/2005;
pronunciando sull’appello n. 5521/2006, respinge il ricorso di primo grado n. 1414/2005.
Spese del doppio grado, relative ai tre giudizi, integralmente compensate tra le parti.
Ordina che la presente decisione sia eseguita dall’Autorità amministrativa.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del 26 giugno 2007 e in prosieguo, in quella del 13 settembre 2007, con l’intervento dei sigg.ri:
CLAUDIO VARRONE – Presidente
PAOLO BUONVINO – Consigliere est.
DOMENICO CAFINI – Consigliere
ALDO SCOLA – Consigliere
FRANCESCO CARINGELLA - Consigliere

Presidente
Claudio Varrone
Consigliere Segretario
Paolo Buonvino Giovanni Ceci



DEPOSITATA IN SEGRETERIA

il...19/10/2007
(Art. 55, L.27/4/1982, n.186)
Il Direttore della Sezione
Maria Rita Oliva




CONSIGLIO DI STATO
In Sede Giurisdizionale (Sezione Sesta)

Addì...................................copia conforme alla presente è stata trasmessa

al Ministero..............................................................................................

a norma dell'art. 87 del Regolamento di Procedura 17 agosto 1907 n.642

Il Direttore della Segreteria