sabato 20 ottobre 2012

La destinazione d’uso di un immobile non si identifica con l’impiego che in concreto ne fa il soggetto che lo utilizza, ma con la destinazione impressa dal titolo abilitativo, e ciò in quanto la nozione di “uso” urbanisticamente rilevante è ancorata alla tipologia strutturale dell’immobile – quale individuata nel titolo edilizio –, senza che essa possa essere influenzata da utilizzazioni difformi rispetto al contenuto degli atti autorizzatori e/o pianificatori

TAR Emilia Romagna (BO) Sez.I n.566 del 17 settembre 2012


Urbanistica. Destinazione d'uso di immobile

La destinazione d’uso di un immobile non si identifica con l’impiego che in concreto ne fa il soggetto che lo utilizza, ma con la destinazione impressa dal titolo abilitativo, e ciò in quanto la nozione di “uso” urbanisticamente rilevante è ancorata alla tipologia strutturale dell’immobile – quale individuata nel titolo edilizio –, senza che essa possa essere influenzata da utilizzazioni difformi rispetto al contenuto degli atti autorizzatori e/o pianificatori
N. 00566/2012 REG.PROV.COLL.
N. 00160/2012 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Emilia Romagna
(Sezione Prima)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 160 del 2012, proposto da:
Salvatore Dargenio e Angela Fiorella, rappresentati e difesi dagli avv. Maria Paola Marani, Alberto Della Fontana, con domicilio eletto presso Segreteria Tar in Bologna, Strada Maggiore 53;,
contro
Comune di Modena, rappresentato e difeso dagli avv. Stefano Maini, Vincenzo Villani, Raffaella Maritan, con domicilio eletto presso Raffaella Maritan in Bologna, via Larga 22/2;
e con l'intervento di
ad adiuvandum:

Cesa Costruzioni S.p.A., rappresentata e difesa dagli avv. Corrado Orienti, Maria Elena Maratia, con domicilio eletto presso Francesca Minotti in Bologna, Galleria Marconi N.2;
per l'annullamentodel provvedimento prot. n. 143975/11 in data 5 dicembre 2011 del Dirigente Responsabile del Settore Trasformazione Urbana e Qualità Edilizia del Comune di Modena, nonchè, in quanto occorrer possa, dell'allegata lettera di motivazioni prot. n. 133386 in data 14.11.2011 a firma del medesimo Dirigente, notificati il 13.12.2011, con il quale è stato ingiunto ai ricorrenti, ai sensi dell'art. 9 comma 1 L.R. 23/2004, di demolire nel termine di novanta giorni le pannellature ed i portoni basculanti installati a chiusura di due posti auto ubicati nell'interrato dell'immobile sito in Modena, Via Cattaneo 30/a, identificato catastalmente al foglio 154 mappali 206-207, al fine di ripristinare la destinazione delle relative aree a "spazi per sosta e parcheggi pubblici in interrato".
Visti il ricorso e i relativi allegati;
Visto l'atto di costituzione in giudizio di Comune di Modena;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell'udienza pubblica del giorno 12 luglio 2012 il dott. Ugo Di Benedetto e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO e DIRITTO
Proprietari pro indiviso di due posti-auto ubicati nel piano interrato dell’immobile di via Cattaneo n. 30/A del Comune di Modena, i ricorrenti si vedevano ingiunta dall’Amministrazione comunale, ai sensi dell’art. 9, comma 1, della legge reg. n. 23 del 2004, la demolizione delle pannellature e dei portoni basculanti in acciaio ivi installati, al fine di rimuovere i “…box auto chiusi destinati al solo utilizzo privato …” e ripristinarne la destinazione a “spazi per sosta e parcheggi pubblici in interrato” (v. provvedimento prot. n. 143975/11 del 5 dicembre 2011, a firma del Dirigente responsabile del Settore Trasformazione urbana e Qualità edilizia - Unità Abusivismo e Condono edilizio).
Avverso tale provvedimento hanno proposto impugnativa gli interessati. Assumono erroneo il presupposto secondo cui tutti i posti auto del piano interrato di quell’immobile costituirebbero, sebbene privati, parcheggi funzionali alle attività terziarie e direzionali insediate negli edifici del comparto realizzato con il piano particolareggiato del 1991, e quindi rappresenterebbero “spazi per sosta e parcheggi pubblici in interrato”, ai sensi dell’art. 81.2 delle n.t.a. del piano regolatore dell’epoca, ovvero spazi destinati ad operare come strutture aperte non suddivise in box; adduce che, in realtà, la concessione edilizia rilasciata nel 1993 riguardava l’esecuzione di lavori di “interrato sottopiazza ad uso parcheggi di pertinenza” e che le convenzioni urbanistiche a suo tempo stipulate tra il Comune di Modena e la Agoracinque S.c.a.r.l. – soggetto attuatore del piano particolareggiato – non contemplavano il diritto di uso pubblico dei posti-auto, tanto che nessuna servitù pubblica o altro similare onere di carattere reale è stato mai trascritto per gli effetti di cui agli artt. 2643 e 2644 cod.civ.; insistono, quindi, per la qualificazione di detti posti-auto come ordinari parcheggi di pertinenza ex art. 41-sexies della legge urbanistica, anche per non potersi opporre un eventuale vincolo di destinazione pubblica – non trascritto – ai terzi acquirenti degli stessi e per non risultare neppure applicabile lo ius superveniens di cui alle nuove norme di PSC-POC-RUE; invoca, infine, il principio, codificato nell’art. 26, comma 3, della legge reg. n. 31 del 2002, secondo cui la destinazione d’uso dell’immobile è quella stabilita dal titolo abilitativo che ne ha autorizzato la costruzione. Di qui la richiesta di annullamento dell’atto impugnato, previa accertamento incidenter tantum (art. 8 cod.proc.amm.) dell’inesistenza di qualsivoglia diritto o servitù di uso pubblico sui posti-auto di proprietà del ricorrente.
Si è costituito in giudizio il Comune di Modena, resistendo al gravame.
Ha spiegato atto di intervento ad adiuvandum la CESA Costruzioni S.p.A., che aveva illo tempore venduto al ricorrente i posti-auto oggetto della controversia.
All’udienza del 12 luglio 2012, ascoltati i rappresentanti delle parti, la causa è passata in decisione.
Il ricorso è infondato.
Va premesso che, secondo un costante orientamento giurisprudenziale, la destinazione d’uso di un immobile non si identifica con l’impiego che in concreto ne fa il soggetto che lo utilizza, ma con la destinazione impressa dal titolo abilitativo (v., ex multis, Cons. Stato, Sez. V, 9 febbraio 2001 n. 583; TAR Liguria, Sez. I, 25 gennaio 2005 n. 85), e ciò in quanto la nozione di “uso” urbanisticamente rilevante è ancorata alla tipologia strutturale dell’immobile – quale individuata nel titolo edilizio –, senza che essa possa essere influenzata da utilizzazioni difformi rispetto al contenuto degli atti autorizzatori e/o pianificatori (v., tra le altre, TAR Lombardia, Milano, Sez. II, 7 maggio 1992 n. 219). Tale principio, d’altra parte, risulta codificato anche nella legislazione della Regione Emilia-Romagna, laddove è previsto che la “destinazione d’uso in atto dell’immobile o dell’unità immobiliare è quella stabilita dal titolo abilitativo che ne ha previsto la costruzione o l’ultimo intervento e recupero o, in assenza o indeterminatezza del titolo, dalla classificazione catastale attribuita in sede di primo accatastamento ovvero da altri documenti probanti” (art. 26, comma 3, legge reg. n. 31/2002).
Ciò posto, emerge dagli atti di causa che, allorquando la Agoracinque S.c.a.r.l. chiese in data 29 aprile 1992 il rilascio della concessione edilizia per i lavori di «interrato sottopiazza ad uso parcheggi di pertinenza», l’Amministrazione comunale istruiva la pratica e acquisiva l’avviso positivo del Settore Gestione controlli trasformazioni urbanistiche (con la precisazione: “…Il Planivolumetrico prevedeva la realizzazione nell’interrato di posti auto da utilizzarsi come parcheggi di pertinenza al servizio delle attività direzionali dei fabbricati limitrofi. Parere favorevole a condizione che siano ricavati parcheggi di pertinenza anziché box chiusi. 16-7-92 …”) e il parere favorevole della Commissione edilizia (con la motivazione: “…a condizione … che venga rispettato il P.P. e vengano ricavati nell’interrato parcheggi di pertinenza di uso pubblico e non garages o box chiusi …”), atti istruttori che, per venire in modo esplicito richiamati nella concessione edilizia del 18 febbraio 1993, non impugnata, rappresentano evidentemente elementi costitutivi della volontà ivi espressa dall’Amministrazione comunale e quindi indici essenziali per definire la reale portata del provvedimento. Ben si comprende, allora, come il titolo abilitativo, nel quadro del piano particolareggiato c.d. “zona Corassori” e delle relative dotazioni di standard, intendesse destinare quei posti-auto al soddisfacimento delle necessità di parcheggio degli utenti della attività direzionali insediate nel comparto, vincolo di destinazione che – come si è detto – viene a connotare in modo stabile le relative opere, indipendentemente dall’uso che se ne è poi in concreto fatto nel periodo successivo da parte degli interessati, e che resta quindi ancora rilevante quando, pur a distanza di un considerevole arco di tempo, le caratteristiche strutturali di quelle aree sono state modificate in termini tali (trasformazione in veri e propri “box auto” chiusi) da renderle oggettivamente inidonee all’uso a suo tempo autorizzato, giustificando l’intervento repressivo dell’Amministrazione comunale, ai sensi dell’art. 9, comma 1, della legge reg. n. 23 del 2004 (“Lo Sportello unico per l’edilizia, quando accerti l’inizio o l’esecuzione di opere, realizzate senza titolo o in difformità dallo stesso, su aree assoggettate, da leggi statali, regionali o da altre norme urbanistiche vigenti, a vincolo di inedificabilità o destinate ad opere e spazi pubblici … ordina l’immediata sospensione dei lavori e ingiunge al proprietario e al responsabile dell’abuso di provvedere entro novanta giorni alla demolizione delle opere e al ripristino dello stato dei luoghi …”). Resta naturalmente estranea al presente giudizio, in assenza di una domanda giudiziale in tal senso, ogni verifica circa la conformità della concessione edilizia del 1993, non impugnata, rispetto alla disciplina di piano dell’area allora vigente, primaria o attuativa.
Né contrasta la suindicata conclusione la circostanza, addotta dal ricorrente, che l’omessa trascrizione del vincolo nei registri immobiliari si tradurrebbe nella inopponibilità dello stesso ai terzi acquirenti del bene. In realtà, essendo il vincolo di destinazione d’uso il risultato dell’efficacia costitutiva del rilascio della concessione edilizia, le limitazioni connesse a tale destinazione si risolvono in una qualità obiettiva del fondo che, proprio perché formata da un provvedimento amministrativo, si presenta opponibile anche ai terzi acquirenti, fatti salvi i rimedi giurisdizionali e amministrativi azionabili nei confronti del titolo abilitativo eventualmente illegittimo; d’altra parte, come è noto, la tutela dei terzi è assicurata in materia con la pacifica accessibilità agli atti urbanistico/edilizi del comune e con la conseguente possibilità di conoscenza della destinazione d’uso impressa ad ogni singolo immobile oggetto di interesse dei consociati, secondo modalità che garantiscono un’adeguata pubblicità e quindi una sufficiente circolazione delle informazioni. Quanto, poi, all’obiezione secondo cui dall’art. 81.2 delle n.t.a. del piano regolatore dell’epoca si evincerebbe un vero e proprio “obbligo di trascrizione” della convenzione da redigere per la costituzione della servitù di pubblico passaggio relativa ai parcheggi, osserva il Collegio che, quale che sia l’effettivo àmbito di operatività della norma di piano invocata, una sua eventuale disapplicazione non pregiudicherebbe in ogni caso l’efficacia della concessione edilizia allora rilasciata e il conseguente vincolo di destinazione ivi previsto, a fronte – come si è detto – dell’autonoma capacità del medesimo vincolo ad esplicare effetti verso gli aventi causa dell’originario richiedente.
In conclusione, per risultare sufficientemente legittimato l’ordine di demolizione dalla destinazione d’uso impressa dalla concessione edilizia del 1993, si può prescindere dalle questioni che investono direttamente il piano particolareggiato c.d. “zona Corassori”. Di qui il rigetto del ricorso.
Attesa la peculiarità della controversia, si ravvisa la sussistenza di giusti motivi per disporre la compensazione delle spese di lite.
P.Q.M.
Il Tribunale Amministrativo Regionale per l'Emilia Romagna (Sezione Prima)
definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo respinge.
Spese compensate.

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