domenica 10 agosto 2008

Il Cavaliere Nero


Si ringraziano i cortesi "anonimi" (anonimi? Si fa per dire...) per l'attività di volantinaggio messa gratuitamente in atto sul territorio, a favore dei successi e delle tante attività promosse da La Destra a beneficio della legalità, della sicurezza, del lavoro, dell'ambiente e contro gli sprechi e l'inefficienza di alcuni servizi pubblici nell'ambito del Comune di Zagarolo.

Cons. Cav. Mario Procaccini

8 commenti:

Anonimo ha detto...

AVV. ROSA FRANCAVIGLIA
MAGISTRATO DELLA CORTE DEI CONTI
IL SISTEMA DEI CONTROLLI NEGLI ENTI LOCALI ED I
RAPPORTI CON LA CORTE DEI CONTI – DOCUMENTO ANCI –
AREA ISTITUZIONI – 13 APRILE 2005 – CRITICITA’ E
SPUNTI DI RIFLESSIONE -
L’ ANCI con il documento del 13 aprile 2005 ha analizzato il
sistema dei controlli interni ed esterni sugli enti locali con
particolare riferimento ai rapporti con la Corte dei Conti.
Detto documento assume notevole rilevanza in relazione alla
natura collaborativa del controllo di cui è attributaria la
Corte in sede di indagini sulla gestione ( cosiddetti controlli
esterni ) ed alla importanza sempre crescente dell’ area dei
controlli interni nell’ ambito degli Enti Locali di cui al
D.Leg.vo n° 286/1999. Correttamente l’ Anci sottolinea il
graduale superamento dei controlli preventivi di legittimità,
scaturito dalla Riforma di cui alle L. nn° 19 e 20/1994 in
favore della sempre maggiore estensione dei controlli sulla
gestione. In tale ottica, il rafforzamento del ruolo dei
controlli interni assolve precipue finalità di autotutela e di
correzione dell’ agire dell’ amministrazione locale.
In siffatto contesto la L. Cost. n° 3/2001 e l’ eliminazione
dei CO.RE.CO. hanno contribuito in modo determinante al
superamento di un modello statuale connotato da controlli di
tipo gerarchico e preventivo ad un modello imperniato su
criteri gestionali e flessibili, sull’ importanza indefettibile
della realtà delle autonomie locali e su canoni di efficienza,
efficacia ed economicità.
La Riforma Costituzionale ha, peraltro, imposto di fornire
una corretta interpretazione alla locuzione “ Coordinamento
della finanza pubblica”, materia rientrante nella legislazione
a competenza concorrente e per la quale è evidente che la
Corte assolva un ruolo primario. Ciò anche allo scopo di
evitare un’ indebita proliferazione di controlli, inutile e
farraginosa, e soprattutto al fine di un riassetto e di una
razionalizzazione del sistema onde fronteggiare le criticità
normative ed istituzionali che ridondano a danno dell’
effettività dei controlli, del coordinamento della finanza
pubblica e che, in ultima analisi, si traducono nel
depotenziamento delle autonomie locali sia in termini
economico-finanziari che politici. Lo strumento per ovviare a
talune delle anomalie – secondo l’ Anci – è dato dalla stessa
legge n° 231/2003. Ulteriori problematiche vengono
ravvisate nella insufficienza delle direttive fornite dalla
Sezione Autonomie, quale espressione delle sezioni
periferiche di controllo contabili, di cui l’ Anci auspica una
maggiore integrazione con le autonomie locali a fini
collaborativi e nelle disposizioni di cui alla Legge Finanziaria
2005 in materia di incarichi e di consulenze.
Il documento dell’ Anci – pertanto – dovrebbe indurre ad
una rimeditazione anche da parte del legislatore in ordine
alla conseguenze ed alla portata di norme che non si
caratterizzano certo per chiarezza di intenti e di
formulazione comportando inevitabilmente questioni di non
agevole soluzione sia per le autonomie locali che per la
Corte stessa, la quale, ha comunque già dettato criteri
interpretativi con la Del. del 15 febbraio 2005 a Sezioni
Riunite .
Conclusivamente, un’ attenta disamina di quanto
prospettato dall’ Anci dovrebbe altresì implicare che da
mere dichiarazioni di intenti alquanto retoriche e populiste
si pervenga alla eliminazione delle storture segnalate
ridelineando rispettivi ruoli e funzioni istituzionali e
rendendole scevre dalle tante ambiguità che sinora si sono
sovrapposte in ragione di una tecnica normativa alquanto
discutibile con forti connotazioni di inserzione surrettizia di
tipologie di controllo che oramai si ritenevano espunte dall’
ordinamento giuridico.
Documento su “Il sistema dei controlli negli Enti locali e i
rapporti con la Corte dei Conti”
Area Istituzioni
13 aprile 2005
Il dato di partenza, pacificamente acquisito e tradotto nel
tempo in passaggi normativi, è il graduale superamento dei
controlli preventivi di legittimità sugli atti sia dello Stato che
delle Autonomie territoriali.
Parallelamente e di conseguenza è cresciuta l’enfasi sulla
centralità e sull’importanza dei controlli interni, con
l’assegnazione della relativa attività alla sfera
dell’organizzazione e dell’azione amministrativa degli enti;
esaltazione del ruolo dei controlli interni, anche in chiave di
autocorrezione e di autotutela dell’ente.
In questa fase è anche emerso un ruolo precipuo della Corte
dei Conti nella sfera del controllo successivo (così la
l.n.20/94). Forma di controllo esercitata da un organo
ausiliario sia dello Stato, che delle regioni e degli enti locali
e finalizzato esclusivamente ad un attività di referto agli
organi assembleari.
Ricordiamo che tale funzione di controllo, come precisò la
famosa sent. n.29/95 della Corte costituzionale, deve
atteggiarsi quale attività di carattere eminentemente
collaborativo e ausiliario, non atta a vincolare l’autonomia
degli enti locali.
In quella pronuncia, peraltro, rilevava una fisionomia della
Corte dei Conti abbastanza limpida, secondo cui tale organo
in quanto espressione dello Stato-Comunità, oggi si
potrebbe dire della Repubblica, per la sua neutralità,
indipendenza e terzietà è il garante degli equilibri
economico-finanziari e della corretta gestione delle risorse
collettive, sotto il profilo dell’efficienza, dell’economicità e
dell’efficacia dell’agire amministrativo statale, regionale e
locale.
In tale linea evolutiva dell’assetto dei controlli pubblici, si
colloca l’abrogazione, con la riforma del 2001, degli articoli
125 e 130 della Costituzione, abrogazione che recide
l’aggancio costituzionale con un modello, seppur in stato di
irreversibile obsolescenza, di controllo di tipo gerarchico e
preventivo.
All’indomani della riforma costituzionale, si è aperto un
dibattito in ordine alle tipologie di controllo sugli enti locali
costituzionalmente ammissibili, posto che la Costituzione
contempla espressamente il solo controllo sostitutivo del
Governo, nelle fattispecie e secondo i princìpi enunciati
dall’art. 120, secondo comma, nonché, implicitamente il
controllo sugli “organi di governo” attribuito alla
legislazione esclusiva dello Stato dall’art. 117, secondo
comma, lett. p).
La Costituzione non prevede nient’altro.
In base a tale considerazione, alcuni (vd Cammelli)
sostengono la tassatività delle tipologie di controllo, che
trova ubi consistam nei principi contenuti nell’art. 114 Cost.,
per cui“l’amministrazione italiana è ormai in gran parte una
amministrazione autonoma”, per cui i condizionamenti
esterni all’esercizio delle funzioni degli enti costitutivi della
Repubblica sarebbero da “riconoscere solo se, e nei limiti in
cui, la stessa Costituzione ne operi un esplicito richiamo”.
Altri (vd. Bin, Corpaci) hanno invece ribadito come
l’abrogazione delle disposizioni costituzionali in materia di
controllo non abbia scalfito l’orientamento della
giurisprudenza costituzionale, teso ad ammettere forme di
controllo sulle autonomie territoriali ultronee rispetto a
quelle testualmente previste dalla Costituzione, purché “sia
rintracciabile in Costituzione un adeguato fondamento
normativo o un sicuro ancoraggio a interessi
costituzionalmente tutelati”.
Come spesso accade, in medio stat virtus , e la lettura del
diritto positivo nella prospettiva di una sua ulteriore
sistematizzazione, deve tener conto e bilanciare entrambe le
interpretazioni: da un lato il potenziamento, la
valorizzazione delle autonomie territoriali, che trova una sua
estrinsecazione nell’autonoma regolazione dei controlli
interni e dall’altro la sopravvivenza o la revisione di un
sistema dei controlli, in particolare esterni, che hanno
ancora oggi ratio in princìpi costituzionali il cui vigore è
rimasto immutato, a partire da quelli fondati sugli artt. 97 e
81, fino a giungere alla cornice costituzionale in materia di
finanza degli enti autonomi tracciata dall’art. 119.
Quindi, abbiamo ora e in prospettiva un robusto sistema di
controlli interni, ove si esplica l’autonomia dell’ente, e una
tipologia di controllo esterno e successivo sugli equilibri
finanziari e sulla gestione finanziaria e il funzionamento dei
controlli interni esercitato in chiave collaborativa e ausiliaria
dalla Corte dei conti.
Va a questo punto fatto un inciso e operata una
puntualizzazione.
Nel ricercare i necessari riferimenti costituzionali da porre a
fondamento di una funzione di controllo di carattere
finanziario della Corte, si è convenuto che nella declinazione
della nozione e della materia “coordinamento della finanza
pubblica”, rientrante nella legislazione a competenza
concorrente, possa inscriversi un ruolo proprio della Corte.
Si può, infatti, ritenere che nell’ambito dei processi di
coordinamento della finanza pubblica, intesa come
coordinamento statico ossia normativo e coordinamento
dinamico ossia procedurale, possa assolvere un ruolo
incisivo la Corte dei Conti. L’assunzione di questo compito da
parte dell’organo non dovrebbe però comportare una
duplicazione o triplicazione di controlli da parte di soggetti
diversi, in alcuni casi aventi la medesima finalità e
riguardanti gli stessi atti. Il coordinamento finanziario. sotto
tale profilo, dovrebbe esaurirsi in controlli di limite o di
chiusura del sistema.
S’impone, pertanto, da subito una razionalizzazione delle
discipline, una riduzione ad unità che porti, in particolare, ad
una unificazione delle procedure di trasmissione dei dati e
delle modalità nello svolgimento delle verifiche, in modo da
semplificare la vita amministrativa e contabile degli enti che,
alla luce delle recenti disposizioni, appare gravata da
incombenze eccessive. Peraltro, un applicazione intelligente
dell’idea di ‘coordinamento’ implica una riassetto efficiente e
coerente del sistema, che investa sia i rapporti fra i livelli di
governo sia i rapporti fra i soggetti deputati a garantire
l’equilibrio dei flussi finanziari. Indubbiamente, in una
prospettiva, che pare molto di là da venire, di attuazione
dell’art.119 della Costituzione, e in un’ opera obbligata di
institution building, volta alla individuazione di luoghi di
cooperazione in materia di programmazione economica e
finanziaria, la Corte potrebbe assumere un ruolo inedito che
oggi, per certi aspetti, appare anticipato da una tendenza
normativa e istituzionale confusa, approssimativa e
contraddittoria.
Alla luce di ciò, va valutato se e quando l’attribuzione alla
Corte dei Conti della funzione di controllo successivo sugli
enti locali, che sempre più la legge ha sostanziato quale
organo della Repubblica, depurandolo dai caratteri di
organo ausiliario dell’Amministrazione centrale, appare in
linea e in sintonia con il nuovo assetto costituzionale.
Fuor di dubbio, la legge 131/2003 fornisce precise
indicazioni e in due distinte disposizioni affronta e detta
regole riguardanti la materia generale dei controlli sugli enti
locali.
L’art. 2, contenente la delega per l’adeguamento della
normativa statale alla Costituzione riformata, elenca tra i
principi e criteri direttivi “ l’attribuire agli statuti dei comuni
e delle province la potestà di individuare i sistemi di
controllo interno (lett. e); l’individuare i principi
fondamentali dell’ordinamento finanziario e contabile degli
enti locali ai fini dell’attivazione degli interventi previsti
dall’art. 119, 3° e 5° co., Cost. (lett. f); mantenere fermo il
sistema di controllo sugli organi degli enti locali (lett. m)”.
Il legislatore riconosce così la centralità della potestà
statutaria e, quindi, del potere normativo degli enti locali,
attestandosi sulla prevalente linea di tendenza che riserva
all’autonomia organizzativa e normativa dell’ente locale la
materia dei controlli interni.
Invece, l’articolo 7, commi 7, 8 e 9 regola direttamente i
controlli intestati alla Corte dei conti, e assai più
ampiamente della scarna disposizione dell’art. 148 T.U.E.L.
(“La Corte dei conti esercita il controllo sulla gestione degli
enti locali, ai sensi delle disposizioni di cui alla legge 14
gennaio 1994, n. 20, e successive modificazioni ed
integrazioni”).
Alla Corte dei conti è assegnato il compito di effettuare le
verifiche relative al rispetto degli equilibri di bilancio da
parte di Comuni, Province, Città metropolitane e Regioni, in
relazione al Patto di stabilità interno ed ai vincoli di
appartenenza all’Unione europea; tale verifica, avente per
oggetto gli andamenti generali del sistema di finanza
territoriale, sfocia in una funzione di referto al Parlamento.
Alle sezioni regionali, invece, è assegnato il compito di
verificare il perseguimento degli obiettivi posti da leggi
statali o regionali di principio e di programma e la sana
gestione finanziaria e il funzionamento dei controlli interni.
Le verifiche sul controllo di gestione hanno come esito una
relazione all’organo assembleare dell’ente. Questa seconda
funzione, ma si deve ritenere anche la prima, ha come
essenza fondamentale l’attuazione del principio di
collaborazione, richiamato espressamente nella legge
131/03 e, come sappiamo, ormai scritto con inchiostro
indelebile dalla stessa Corte Costituzionale
Inoltre, sotto il profilo organizzativo, la previsione
dell’integrazione delle sezioni regionali di controllo della
Corte con due componenti designati rispettivamente dal
consiglio regionale e dal Consiglio delle autonomie locali,
componenti che assumono lo status magistratuale, conferma
l’intento di realizzare un rapporto di stretta collaborazione
con le autonomie territoriali.
Va aggiunto, in quanto integrante la previsione suindicata,
che all’indomani dell’approvazione della legge 131/03, con
deliberazione del 3 luglio 2003, la Corte dei Conti a sezioni
riunite ha proceduto a modificare il regolamento
disciplinante la “sezione autonomie”, così altrimenti
denominata “Sezione delle autonomie”.
Nella suddetta deliberazione alla “Sezione delle
autonomie”, diretta espressione delle sezioni regionali di
controllo, è assegnato proprio il compito di effettuare le
verifiche, ai fini del coordinamento della finanza pubblica
sugli andamenti complessivi della finanza regionale e locale
per la verifica del rispetto degli equilibri di bilancio da parte
di comuni, province, città metropolitane e regioni, in
relazione al patto di stabilità interno e ai vincoli che
derivano dall’appartenenza dell’Italia all’Unione europea,
anche sulla base dell’attività svolta dalle sezioni regionali.
Gli esiti della verifica confluiscono in un referto annuale al
Parlamento.
Pertanto, appare chiaro che nella Sezione delle autonomie
trova strutturazione un legame soggettivo, e si vuole
funzionale, della Corte con le sue sezioni regionali,
dipendenza che trova espressione principale nell’ attività di
indirizzo e di coordinamento.
Va anche riconosciuto che in questi ultimi due anni la
Sezione delle autonomie ha tempestivamente elaborato
indirizzi, criteri e obiettivi, ai quali la stessa Sezione o le
sue articolazioni regionali devono improntare l’esercizio
della duplice funzione di verifica successiva sull’attività degli
enti locali.
Le deliberazioni adottate rappresentano indubbiamente una
fonte imprescindibile per comprendere la lettura, come dire
teleologica, che la Corte dà della sua funzione, del modo di
relazionarla con l’autonomia degli enti su cui insiste e con lo
stesso principio regolativo generale di collaborazione.
Con la deliberazione n. 1 del 2004 “ Indirizzi e criteri
generali per le attività di controllo sulla gestione, comuni a
più sezioni regionali” si assegna alla Sezione delle
autonomie il compito di programmare, dare impulso e
coordinare analisi comuni fra le sezioni, affermando che la
comparazione tra l’agire di diverse amministrazioni nello
svolgimento di una medesima funzione è strumento
essenziale del controllo sulla gestione. “Attraverso detto
sistema, consistente, appunto, nel raffrontare su base
omogenea le opzioni e gli effetti di identiche gestioni in
realtà territoriali diverse, la Corte dei conti rafforza la sua
funzione ausiliaria nei confronti delle assemblee elettive e
dei governi locali”. “E la collaborazione della Sezione potrà
non esaurirsi nella mera esposizione dei dati, ma estendersi
anche a prospettare nei modi dovuti – e nel pieno rispetto
della discrezionalità politica- anche soluzioni alternative a
quelle adottate e rivelatesi non soddisfacenti”. Ancora “il
ruolo intestato alla sezione delle autonomie che, se da una
parte, è chiamata ad individuare quei settori nevralgici che
meritino di essere esaminati attraverso analisi “ a rete”,
dall’altra, ponendosi al servizio delle sezioni regionali, deve
costituire la sede presso la quale raccogliere ed elaborare,
con il sussidio anche delle tecniche specialistiche e la
collaborazione eventuale di esperti esterni, le informazioni e
i dati da queste provenienti, effettuando le necessarie
comparazioni, individuando gli standards, i parametri, le
medie nazionali o infraregionali così da fornire alle sezioni
regionali utili spunti di riflessioni per valutare, in un
contesto più generale, le performances delle singole
amministrazioni.”
Quindi, si espande e in qualche modo sembra deviare dal
tracciato originario, fissato dalla legge n.20/94, la funzione
di verifica avente come esito un resoconto sul controllo di
gestione e sul funzionamento dei controlli interni da
sottoporre alla libera valutazione dell’organo consiliare, sino
a prospettare l’utilizzo di metodi comparativi per operare
raffronti, arrivando ad ipotizzare una sorta di bench
marking, per capire a quali criteri ciascun Comune si è
attenuto, con quali conseguenze, etcc.
A tal proposito, si possono fare alcune succinte
considerazioni.
E’ di tutta evidenza il rapporto ‘organico’ sussistente fra la
Sezione delle autonomie e le sezioni regionali che si declina
nell’attività di coordinamento, di indirizzo sulle articolazioni
regionali, che potrebbe limitarne l’autonomia e, per ciò che
ci interessa, condizionare e ostacolare l’emersione degli
interessi territoriali e lo stesso rapporto con le autonomie
locali, stigmatizzato dall’integrazione delle sezioni regionali
con rappresentanti espressione delle stesse. Il rapporto
‘organico’ crea nei fatti una circolarità nell’espletamento
delle due funzioni, previste dalla legge n.131/03 e
soggettivamente e oggettivamente distinte. Va, inoltre,
detto che né nelle deliberazioni della Sezione delle
autonomie né nei modelli relazionali posti in essere
dall’organo di controllo contabile trova puntuale e
necessaria regolazione il principio di collaborazione. Tale
principio ha avuto un riconoscimento importante
nell’integrazione delle sezioni regionali con i rappresentanti
delle Autonomie territoriali; però, considerata la saldatura
fra Sezione delle autonomie e sezioni territoriali, dovrebbero
trovare ulteriore specificazione, ipotizzando, secondo
opportune forme e modalità, un integrazione anche della
Sezione delle autonomie con le sensibilità delle autonomie
territoriali.
Un altro aspetto fortemente critico, connesso con lo
svolgimento della funzione di verifica sul controllo di
gestione, deriva dall’orientamento normativo, contrastato
dalle Autonomie territoriali, che introduce sia la saldatura di
uno stretto raccordo fra l’organo deputato al controllo di
regolarità contabile e la Corte, sia l’assoggettamento ad una
valutazione delle sezioni regionali dei referti redatti dalle
strutture preposte al controllo di gestione.
Si tende così a strutturare in modo più o meno palese un
legame, un nesso funzionale tra attività di controllo interno
e controllo esterno successivo. Le forme e i meccanismi che
regolano e scandiscono tale legame hanno trovato
formalizzazione in interventi normativi, succedutisi negli
ultimi anni, che hanno previsto momenti di scambio fra gli
enti locali, i suoi organi deputati al controllo interno, e la
Corte.
Tale raccordo informativo, formativo, etcc viene costruito e
ammesso nella misura in cui si muova nell’alveo del
principio di collaborazione.
Su questo bisogna fare una ulteriore considerazione.
Primo. Sembra così scardinarsi l’assunto teorico, confermato
da ultimo dalla stessa legge n.131/03, secondo cui il
sistema dei controlli interni rientra nella sfera organizzativa
dell’ente, sicché ogni sottrazione di autonomia potrebbe
profilare vizi di incostituzionalità.
Secondo. Posto che si possa ammettere una sorta di
sovraordinazione della Corte sui controlli interni, una sorta
di controllo di secondo grado, questa dovrebbe comunque
esplicarsi secondo il principio di collaborazione, che non è,
come tutti sappiamo, un principio astratto, ma tutt’altro un
principio che presenta una sua puntuale formalizzazione in
regole, parametri, comportamenti, passaggi che allo stato
non sembrano trovare rispondenza nella disciplina non
organica prodotta in materia.
E veniamo, a questo punto, ad una riflessione conclusiva sul
de jure condendo, e in particolare sulla proposta normativa
di disciplina del sistema di garanzie negli enti locali,
contenuta nella bozza di schema di decreto legislativo
attuativo della delega ex art.2 l.n.131/03. Tale proposta
presenta, a nostro avviso, taluni profili di illegittimità
derivanti dall’inosservanza dei principi direttivi contenuti
nell’atto di delega e gravi ragioni di dissenso nel merito
delle soluzioni adottate.
In estrema sintesi ed evidenziando i profili critici più vistosi,
non è condivisibile, anche tenendo conto della fisionomia
generale della Corte, la previsione secondo cui
nell’organizzazione del sistema di controlli interni l’ente
locale“tiene conto dei parametri e degli indirizzi
metodologici formulati dalla Corte dei conti in armonia con
quelli adottati in ambito europeo e sulla base degli studi
condotti in materia dal Ministero dell’Interno e dei contributi
forniti dai consigli delle Autonomie locali o, se non istituiti
dalle associazioni rappresentative degli enti locali”. La
saldatura del legame, alla cui pericolosità abbiamo già fatto
cenno, fra controllo interno e controllo della Corte dei conti
di fatto mette in crisi la stessa concezione e natura del
controllo interno, autonomo e dispiegato esclusivamente in
base a principi e regole generali e uniformi contenute nella
normativa di riferimento.
L’assoggettamento agli indirizzi della Corte dei Conti
condurrebbe, peraltro, ad una attribuzione di prerogative
rilevanti nell’ambito della strutturazione organizzativa
dell’ente non compatibile con l’autonomia dello stesso.
Ad una sovraordinazione sulle diverse tipologie di controllo
interno, si somma un raccordo più stretto con l’organo di
revisione economico-finanziaria che ne lede autonomia,
indipendenza e neutralità. Tale previsione determinerebbe
una rigidità operativa non sostenibile ed una stretta
correlazione organo di revisione – Corte dei Conti, che non
può essere considerata corretta. Vanno evidenziate, inoltre,
le perplessità sulla previsione relativa alle categorie di
soggetti tra cui si può attingere per la costituzione
dell’organo di revisione: superare il riferimento agli ordini
professionali, soggetti alla vigilanza del Ministero della
Giustizia, come considerato anche dalla disciplina delle
società commerciali recentemente riformata, e, più in
generale, dalla riforma delle professioni in fieri, con la
previsione dell’ingresso di magistrati della Corte dei Conti in
quiescenza, direttori generali e segretari generali sempre in
quiescenza, può compromettere le caratteristiche di
indipendenza e le garanzie che soltanto – al di là di ogni
considerazione sulle competenze tecniche – gli iscritti negli
ordini professionali possono assicurare; inoltre, appare
inopportuna la possibilità di nomina di soggetti in
quiescenza che, nel corso della loro attività lavorativa,
possano aver avuto rapporti d’ufficio con lo stesso ente
soggetto a controllo, ovvero nel quale possano aver svolto il
loro rapporto d’impiego.
Alla luce di quanto detto, e manifestata ancora una volta
una certa preoccupazione sulla lentezza con cui il Ministero
dell’Interno sta procedendo, che non fa ben sperare in
ordine ad un esito utile e positivo della delega, si possono
fare alcune considerazioni.
In primo luogo, va ribadito con forza che l’affermazione
secondo cui l’attività degli enti locali è fuori da ogni
controllo è falsa: va ricordato che, oltre al controllo del
giudice e al vaglio democratico, oltre ai controlli e agli
obblighi esogeni sempre maggiori sulla gestione finanziaria
e amministrativa, si aggiungono i controlli interni all’ente
che si imperniano sostanzialmente su organi, quali il collegio
dei revisori dei conti, il nucleo di valutazione, l’ufficio del
controllo di gestione e, per certi aspetti peculiari, il
difensore civico; a questi si sommano, e spesso lo si
dimentica, i controlli interni di legittimità, che si articolano
attraverso il visto di legittimità contabile e il visto di
regolarità tecnica, forieri, qualora essi siano stati
determinanti nell’approvazione dell’atto, di responsabilità
diretta da parte dei dirigenti che li appongono.
Si tratta, quindi, di un sistema che non ha affatto abolito i
controlli; semmai li ha aumentati. In passato, non esisteva
alcun controllo interno, salvo quello del segretario comunale
e un solo effettivo controllo esterno, quello del Comitato
regionale di controllo, che pratiche poco trasparenti e legami
politici, consentivano, spesso, di vanificare.
A tutto questo, si tenta di aggiungere dell’altro, secondo una
logica di mera sovrapposizione all’esistente. Invece si
dovrebbe avviare un processo teso al riassetto normativo
del sistema con una visione chiara e lucida dello scenario
finale verso cui tendere.
In particolare, sulla posizione delle Autonomie locali rispetto
al ruolo della Corte dei Conti, si possono abbozzare alcuni
scenari che riflettono diverse soluzioni del problema.
Una prima ipotesi: il ruolo e le funzioni della Corte si
ritraggono, tornando al quadro di competenze, come definite
dalla legge n.131/03, intese e applicate in senso letterale,
cancellando altri obblighi, vincoli e legami fra gli apparati
interni all’ente locale e la Corte, rigettando il modello di
controlli, interni e esterni, come delineato dalla bozza di
schema di decreto legislativo.
Una seconda ipotesi: nella prospettiva di una coerente
attuazione dell’art.119 della Costituzione, relativamente alla
fase del coordinamento dinamico, la Corte dei Conti
dovrebbe farsi promotrice di un ripensamento della propria
fisionomia attuale, nell’ottica di un superamento in una
unicità strutturale della funzione giurisdizionale con la
funzione di controllo, separazione tale da condurre ad una
trasformazione della funzione di controllo in funzione di
garanzia. Infatti, la titolarità in capo alla Corte delle due
funzioni, giurisdizionale e di controllo, che insistono sui
medesimi soggetti determina problemi di ordine teorico
generale e di concreta applicazione. Non possono e non
devono sussistere interferenze fra il controllo successivo di
gestione e l’accertamento giurisdizionale di responsabilità; il
controllo esterno dà collaborativo, non può in alcun modo
trasformarsi in una fase istruttoria per l’avvio di giudizi di
responsabilità.
Che una seria riflessione sia necessaria lo dimostra da
ultimo l’incertezza emersa all’indomani dell’approvazione
della Legge finanziaria 2005, incertezza, peraltro, riassunta
nella stessa deliberazione delle Sezioni riunite in sede ci
controllo del 15 febbraio 2005 contenente “Linee di indirizzo
e criteri interpretativi sulle disposizioni della legge 30
dicembre 2004, n.311 in materia di affidamento d’incarichi
di studio o di ricerca ovvero di consulenza (art.1 , commi 11
e 42)”.
Nel documento si legge “i commi 11 e 42 stabiliscono la
trasmissione alla Corte dei conti degli atti di conferimento
degli incarichi e prevedono che l’affidamento dei medesimi,
senza il rispetto delle previsioni della legge, costituisce
illecito disciplinare e determina responsabilità erariale. La
legge impone l’invio degli atti alla Corte senza altra
specificazione. Poiché la Corte svolge funzioni di controllo e
giurisdizionali, è necessario individuare se gli atti debbano
essere trasmessi alle Sezioni centrali e regionali di controllo
o alle Procure regionali…”.

Anonimo ha detto...

Se l'aministrazione è costretta a fare diversi passi indietro è palese che Mario non è nero ma BIANCO puro è duro con chi pensa di gestire la cosa pubblica a proprio piacimento.

Anonimo ha detto...

Sei un poveraccio

Anonimo ha detto...

Tra i cittadini di zagarolo,in questi giorni gira una barzeletta, che racconta di una disaventura di un ciclista ,sei informato ?

Anonimo ha detto...

Sentenza n. 283/2008 del 2 luglio 2008 - Sezione Prima centrale di Appello - In tema di responsabilità per tangenti percepite da amministratori comunali


SEZIONE PRIMA GIURISDIZIONALE CENTRALE

Composta dai seguenti magistrati:

Dott. VITO MINERVA Presidente

Dott. Davide MORGANTE Consigliere

D.ssa Maria FRATOCCHI Consigliere

D.ssa Rita LORETO Consigliere relatore

Dott. Piergiorgio DELLA VENTURA Consigliere

Ha pronunziato la seguente

SENTENZA

Nel giudizio di appello iscritto al n. 27176 del Registro di Segreteria, proposto dal signor G. B., rappresentato e difeso dagli Avv.ti Proff. Piergiorgio Alberti e Andrea D’Angelo, elettivamente domiciliato presso lo studio del primo in Roma, Via Carducci n. 4,

avverso la sentenza n. x pronunciata in data 15.07.2005-23.05.2006 dalla Sezione Giurisdizionale per la Regione Liguria e

nei confronti del Procuratore regionale presso la Sezione Giur.le della Liguria nonchè del Procuratore Generale della Corte dei conti;

Visti gli atti e documenti della causa;

Udito, nella pubblica udienza del 17 giugno 2007, il Consigliere dott.ssa Rita Loreto, l’Avv. Piergiorgio Alberti per l’appellante ed il Pubblico Ministero nella persona del Vice Procuratore Generale dott.ssa Emma Rosati;

Ritenuto in

FATTO

Con atto di citazione depositato in data 10 novembre 2004 il Procuratore Regionale presso la Sezione Giurisdizionale della Corte dei conti per la Regione Liguria conveniva in giudizio il signor G. B. per sentirlo condannare alla somma di Euro 563.041,31 per danno patrimoniale, oltre ad Euro 154.937,07 per danno all’immagine, in conseguenza di comportamenti delittuosi, dei quali era stato riconosciuto colpevole in sede penale, in qualità di Assessore alle strade e successivamente di Consigliere comunale del comune di Omissi, in relazione all’affidamento in concessione della costruzione e gestione di autoparcheggi a favore del raggruppamento Omissis s.p.a. – Omissis (in seguito trasformatosi in Omissis s.r.l.).

La vicenda, articolata e complessa, viene in dettaglio descritta nell’atto introduttivo del giudizio e nella sentenza impugnata.

In sintesi, emerge dagli atti di causa che l’Amministrazione comunale, essendo pervenuta alla determinazione di realizzare vari luoghi di sosta nel sottosuolo con funzioni di interscambio ai margini della città e a corona del centro cittadino, con delibera consiliare n. 1379 del 23 luglio 1987 approvava, tra l’altro, uno schema di convenzione tipo per la costruzione e gestione, a cura e spese di privati, di autoparcheggi ad uso pubblico, stabilendo la durata massima della concessione in anni 60, la predeterminazione delle tariffe e, limitatamente ai parcheggi ubicati in zone aventi carattere residenziale, la facoltà di subconcessione a residenti ed operatori.

Venivano altresì individuati i criteri oggettivi per la scelta del contraente.

Con delibera n. 1220 in data 25 luglio 1988 si prevedeva di affidare in concessione ad un unico contraente, da scegliersi a trattativa privata, per la realizzazione e gestione di cinque autoparcheggi pubblici nei siti di Piazza della Vittoria, Spianata Acquasola, Largo S. Maria dei Servi, Piazza Paolo da Novi e Piazza Palermo.

Tali parcheggi dovevano formare un sistema unitario, sia sotto l’aspetto dell’offerta complessiva, sia sotto quello della gestione, anche per superare il problema della presumibile diversa redditività di ciascuno di essi.

Con successiva delibera n. 1577 del 21 novembre 1988 veniva inserito nell’oggetto della concessione anche Piazzale Kennedy, ove era prevista la realizzazione di un parcheggio pubblico di interscambio per 1000 posti, salva la necessità di verificare la disponibilità del CAP (Consorzio Autonomo del Porto di Genova) titolare della proprietà demaniale dell’area e interessato alla costruzione di una base nautica nella parte a levante dell’area.

Una Commissione composta di amministratori e tecnici, istituita per valutare le offerte, e di cui faceva parte anche il B. (cfr. richiesta di rinvio a giudizio, capo b) e interrogatorio del B. in data 18.6.1993) diramava gli inviti per la gara informale, ai quali rispondevano quattro imprese: Omissis s.p.a. (insieme a Omissis), Omissis, Omissis s.p.a. e Omissis s.p.a..

All’apertura delle buste, risultava che Omissis aveva offerto un canone annuo di L. 10.000.000 per la durata di 60 anni; Omissis un canone annuo di L. 25.000.000 per la durata di 29 anni; Omissis un canone annuo di L. 500.000.000 per la durata di 50 anni; Omissis un canone attualizzato una tantum di L. 1.522.500.000 e una durata di 87 anni.

In seguito l’ing. V., Amministratore di Omissis s.p.a. presentava per il raggruppamento Omissis una proposta integrativa ampiamente migliorativa, riducendo la durata della concessione da 60 a 30 anni e portando il canone a L. 125.000 annuo a posto auto, cosicché la Commissione indirizzava la propria scelta sulla proposta di Omissis.

Successivamente il Consiglio Comunale, con delibera n. 1366 del 21 settembre 1989, individuava in Omissis (in seguito trasformatosi in Omissis s.r.l.) il possibile soggetto attuatore, approvando all’uopo il disciplinare redatto in conformità con lo schema n. 1 di convenzione di cui alla citata delibera n. 1379 del 23 luglio 1987 e stabilendo un canone annuo di L. 125.000 a posto auto per tutta la durata della concessione, che veniva prevista in 30 anni.

La Conferenza dei Servizi approvava il 5.02.1990 solo i progetti di P.zza Vittoria e P. Paolo da Novi e quello di P. Kennedy con condizioni e prescrizioni riferite all’esigenza di sistemazione complessiva dell’area circostante; rinviava a successiva eventuale approvazione quello di Acquasola, previe opportune modifiche al progetto, mentre per P. Kennedy mancava peraltro la disponibilità del sito dato il regime di appartenenza a ente diverso dal Comune.

Nondimeno l’Assessore B. proponeva al Consiglio Comunale di approvare l’affidamento della concessione alla Omissis s.r.l., con il relativo disciplinare.

Con delibera n. 201 del 12 marzo 1990 il Consiglio comunale approvava l’affidamento in concessione di costruzione e gestione alla Omissis s.r.l. del sistema di autoparcheggi a corona, approvando i progetti esecutivi per Piazza della Vittoria e Piazza Paolo da Novi e delegando alla Giunta gli incombenti per il perfezionamento dei progetti esecutivi di Piazzale Kennedy e spianata Acquasola.

Nella relativa convenzione, all’art. 1 comma 5, veniva inserita una specifica clausola di rinegoziazione, secondo la quale, premesso che la fattibilità economico-finanziaria dell’operazione era fondata tra le parti sulla base di una realizzazione minima di almeno quattro parcheggi tra quelli originariamente indicati dal Comune, nel caso di mancata approvazione entro il 31 luglio 1990 di uno o entrambi i progetti relativi a piazzale Kennedy e spianata Acquasola o di mancata acquisizione della disponibilità di Piazzale Kennedy da parte della competente autorità demaniale marittima entro la stessa data, le parti avrebbero rinegoziato i termini economici della convenzione. Nell’ambito della rinegoziazione, da esercitare entro il 31.12.1990, era prevista in particolare la facoltà di concordare una proroga del periodo di gestione degli autoparcheggi o di concordare la realizzazione e gestione di altri autoparcheggi.

Il 9 maggio 1990 il dott. G. B., Assessore alle strade, sottoscriveva con il legale rappresentante della Omissis s.p.a., ing. V. V., il negozio attuativo della convenzione.

Con il rinnovo dell’Amministrazione comunale si verificavano le condizioni per l’applicabilità della clausola di rinegoziazione, in quanto alla data del 31 luglio 1990 non risultavano approvati dalla Conferenza dei Servizi i progetti per Piazza Acquasola e per Piazzale Kennedy, né il CAP aveva concesso la disponibilità di quest’ultima area.

A questo punto la società Omissis non iniziava i lavori per il parcheggio di Piazza della Vittoria, pretendendo la rinegoziazione delle condizioni economico-finanziarie, come previsto dall’art. 1, comma 5, della Convenzione.

Il Consiglio comunale neoeletto, dopo lunghe e complesse trattative, approvava l’atto integrativo alla convenzione.

Quest’ultimo prevedeva rilevanti modifiche alla convenzione originaria, le più significative delle quali erano lo stralcio dal programma di interventi dell’autoparcheggio di Piazza Paolo da Novi; la realizzazione del solo blocco Nord del parcheggio di Piazza della Vittoria (circa 800 posti auto); la rideterminazione della durata della concessione in 60 anni in luogo dei 30 inizialmente previsti; la facoltà per il Concessionario di cedere in subconcessione fino ad un terzo dei posti auto del parcheggio di Piazza della Vittoria, quantificati in numero di 267; la previsione che il 70 per cento del corrispettivo di subconcessione eventualmente eccedente il valore pattuito di L. 26.900.000 a posto auto doveva essere versato al Comune, mentre il restante 30 per cento sarebbe stato riconosciuto alla Società a titolo di compensazione degli oneri sostenuti per la progettazione del parcheggio di Piazza Paolo da Novi, successivamente stralciato.

I lavori di scavo, iniziati nella zona nord di Piazza della Vittoria, venivano poco dopo sospesi per ordine della locale Soprintendeza, a causa del rinvenimento di reperti archeologici; venivano pertanto approvate varianti progettuali, anche al fine di modificare le opere interne, che riducevano la capienza dell’autoparcheggio dagli 800 posti iniziali a 761 + 2 finali.

La fine dei lavori veniva dichiarata con verbale del Direttore dei Lavori ing. M. T. in data 1° agosto 1994, ma rimaneva aperto un vasto contenzioso tra il Comune di Omissis e la Omissis s.r.l., che nel frattempo aveva presentato ricorso al TAR Liguria, lamentando la violazione dell’atto integrativo e chiedendo il riconoscimento della gestione gratuita dei 1000 posti auto in superficie.

Le controversie venivano in un primo tempo regolate con Delibera della Giunta comunale n. x del 19 dicembre 1994, con la quale veniva approvato un accordo transitorio, che disponeva l’affidamento alla Concessionaria di n. 633 posti in superficie contro il canone annuo di L. 328.720.000. La pendenza veniva poi definita con Delibera n. 1608 del 30 dicembre 2002, con la quale veniva approvato apposito atto di transazione, ove in sintesi si confermava l’affidamento delle soste in superficie nell’ambito di Piazza della Vittoria per n. 633 posti auto, di cui n. 344 senza canone fino a tutta la durata della concessione e i restanti n. 289 dietro il pagamento del canone annuo di Euro 122,92 ognuno fino al 2007 e dal 2008 al 2054 al canone di Euro 222,37; si confermava altresì l’affidamento in concessione di costruzione e gestione del parcheggio nel sottosuolo di Spianata Acquasola e la scadenza della concessione veniva fissata al 17.12.2054.

La società rinunciava, fra l’altro, alla concessione per la costruzione e gestione dei parcheggi di Piazzale Kennedy, Largo Santa Maria dei Servi, Piazza Palermo e Piazza della Vittoria-lato sud

e ad ogni risarcimento conseguente ai danni derivanti dalla riduzione dei posti auto interrati del parcheggio. Il Comune per parte sua rinunciava ai canoni concessori sui parcheggi in superficie gestiti in forza dell’accordo transitorio; ai canoni concessori sui parcheggi nel sottosuolo a tutto il 31.12.2002; alle penali da ritardo nella realizzazione del parcheggio.

La vicenda aveva formato oggetto di indagini da parte della Procura della Repubblica di Genova, che aveva accertato illeciti risalenti fin dal momento di affidamento della concessione alla società Omissis s.r.l. e, a chiusura indagini, in data 28 marzo 1994 chiedeva il rinvio a giudizio, fra gli altri, di B. G., già assessore alle strade e poi consigliere comunale, per i reati di concussione e abuso d’ufficio in concorso e violazione della legge sul finanziamento pubblico dei partiti. Al B. veniva contestato: di avere abusato dei suoi poteri sin dallo svolgimento della gara di preselezione, per farsi promettere e quindi consegnare, da parte di Omissis s.p.a., la somma di lire 150 milioni, dei quali la metà per sé e l’altra metà per il proprio partito politico, prospettando che, in caso di mancato pagamento, il cartello di società composto da Omissis s.p.a. e Omissis sarebbe stato escluso dalla pre-gara bandita dal Comune; di avere quindi, dopo che le società di cui sopra avevano vinto congiuntamente la pre-gara, indotto M. B., intermediario consulente di Omissis, a operare pressioni nei confronti di V. V. (direttore generale dell’Omissis s.p.a., socia della Omissis s.r.l.) onde ottenere il suddetto pagamento, prospettando che, altrimenti, la Omissis non avrebbe ottenuto l’assegnazione della concessione e gestione del sistema di parcheggi a corona del centro cittadino, minacciando lentezze e difficoltà negli atti di affidamento della concessione; di avere effettivamente percepito la somma di cui sopra; di avere, inoltre, concordato l’introduzione nella convenzione dell’art. 1 comma 5, cioè della clausola di rinegoziazione, e questo ben conoscendo l’indisponibilità del concessionario dell’area di Piazzale Kennedy a concedere la stessa a tale scopo, nonché l’indisponibilità dell’area di Piazza Acquasola, per la presenza di attività commerciale di terzi nel sito; di avere, in tal modo, realizzato i presupposti per modificare le condizioni dell’offerta originaria e ciò al fine di procurare un ingiusto vantaggio alla Concessionaria.

Con sentenza n. 107 del 15 marzo 1995, emessa a seguito di giudizio abbreviato, il GIP del Tribunale di Genova riteneva responsabile B. G. dei reati ascrittigli, ad eccezione della imputazione per abuso d’ufficio in relazione alla condotta tenuta nel corso della selezione informale, e lo condannava alla pena di anni tre e mesi otto di reclusione e L. 100.000.000 di multa, nonchè al risarcimento del danno da liquidarsi in separato giudizio, in favore del Comune di Omissis costituitosi parte civile.

Con decisione n. 394 del 26 gennaio 2001 la Corte di Appello di Genova confermava la sentenza di primo grado per quanto riguarda la condanna per i reati di concussione e di corruzione, assolvendo il B. per il reato di abuso d’ufficio in relazione all’introduzione della clausola di rinegoziazione(capo d), in quanto il fatto non era più previsto come reato; rideterminava la pena in anni due di reclusione, confermando le statuizioni civili della sentenza di primo grado.

La pronuncia, non impugnata, passava in giudicato.

I fatti materiali accertati in sede penale, ritenuti produttivi di danno erariale dalla Procura Regionale, venivano valutati dalla Corte territoriale che, seguendo l’impostazione della Procura, li considerava casualmente ricollegati all’operato del B. il quale, minacciando l’esclusione di Omissis dalla gara in caso di mancato pagamento, otteneva il versamento della tangente in cambio dell’assegnazione della concessione alla Omissis.

Per tali motivi, secondo i primi giudici, venne concesso alla ditta offerente di ridefinire l’offerta, chiaramente antieconomica, presentata durante la trattativa, al solo scopo di vincere la gara, offerta che risultava tuttavia di molto inferiore alle aspettative minime di rendimento. In seguito, il B. concordava con i vertici della Omissis l’introduzione della clausola di rinegoziazione, pattuita esclusivamente nell’interesse della Concessionaria, onde consentirle di mutare, a proprio esclusivo vantaggio, le condizioni contrattuali originarie, con corrispondente mancato introito per le finanze comunali.

Allo scopo di quantificare il danno erariale la Procura Regionale nominava il consulente tecnico, ing. P., che valutava comparativamente le varie offerte e quantificava in L. 10.902.000.000 l’ammontare dei minori introiti per il Comune, distribuiti durante tutto l’arco di durata della concessione.

Tuttavia il pregiudizio non si attualizzava integralmente, poiché interveniva la stipula di un “atto di transazione” a chiudere il rilevante contenzioso amministrativo nel frattempo sorto tra il Comune e la Omissis.

Seguiva pertanto la sentenza n. x, con cui i primi giudici condannavano il B. al risarcimento dell’importo, determinato equitativamente, di Euro 300.000,00 a titolo di danno patrimoniale e di Euro 100.000,00 a titolo di ristoro del danno all’immagine.

La decisione di primo grado veniva gravata dal dr. B. con appello ritualmente proposto, con il quale era in sintesi dedotto:

1.– La mancata integrazione del contraddittorio con litisconsorzi necessari;

2.– La prescrizione del diritto al risarcimento del danno;

3._ La mancanza di illiceità nella condotta, con riferimento a :

a) la selezione del concessionario;

b) l’inserimento della clausola di rinegoziazione;

c) la rinegoziazione ed il nesso causale;

4. _ La mancanza dell’elemento soggettivo del dolo e della colpa grave;

5. _ La erronea quantificazione del danno patrimoniale;
6. _ La prescrizione del danno all’immagine, del quale si lamenta anche l’insufficienza dell’impianto probatorio.

Il B. concludeva pertanto chiedendo l’annullamento della sentenza impugnata con rimessione della causa al primo giudice per mancata integrazione del contraddittorio e, in subordine, il proscioglimento per prescrizione o infondatezza delle domande formulate dalla Procura Regionale e, comunque, la riduzione dell’addebito.

Contestualmente all’atto di appello era anche proposta istanza di definizione agevolata ai sensi dell’art. 1, commi 231-233 della legge n. 266/2005, che veniva respinta da questa Sezione Giurisdizionale con decreto n. 3/2008 depositato il 24 gennaio 2008.

Con successiva memoria in data 26 maggio 2008 l’appellante ha ribadito le eccezioni difensive già formulate con il gravame, in particolare sottolineando che l’affidamento della concessione in favore di Omissis non è riconducibile a decisioni assunte dal solo assessore B.; che non è stato dimostrato dalla Procura Regionale che la procedura selettiva sia stata influenzata illecitamente dal medesimo e, soprattutto, che la presunta scorrettezza del suo operato abbia arrecato un pregiudizio economico al Comune; che l’appellante è stato anzi prosciolto in sede penale dall’imputazione di abuso d’ufficio e, in ogni caso, che il requirente non ha dato alcuna prova dell’effettiva incidenza delle tangenti percepite sul prezzo complessivo dell’appalto. Ha pure contestato l’idoneità della perizia dell’ing. Patrone ad accertare l’esatto ammontare del danno erariale.

Con atto depositato il 21 maggio 2008 il Procuratore Generale ha rassegnato le proprie conclusioni scritte, rappresentando l’infondatezza di tutte le argomentazioni difensive formulate dall’appellante.

Alla pubblica udienza del 17 giugno 2008 l’Avvocato Prof. Piergiorgio Alberti, in rappresentanza dell’ appellante, si è riportato all’atto scritto, puntualizzando alcuni aspetti di maggior rilievo, e precisando in particolare che la sentenza di primo grado si è incentrata tutta sulla vicenda penale, mentre in realtà occorreva distinguere le vicende relative ai rapporti del B. con l’Omissis da quelle relative ai suoi rapporti con il Comune di Omissis: tale ultima condotta non ha causato alcun danno al Comune, in quanto la rinegoziazione delle condizioni economiche della concessione è stata effettuata dal successore del B.. Quanto al danno, la difesa afferma che la perizia dell’ing. Patrone è del tutto astratta, mentre avrebbe dovuto valutare quali potevano essere le condizioni economiche proposte dalle ditte tenendo presente la sola offerta di realizzazione del parcheggio di Piazza Kennedy.

Il Pubblico Ministero, nella persona del Vice Procuratore Generale dott.ssa Emma Rosati, ha confermato le considerazioni e le richieste conclusionali rese nell’ atto scritto, precisando che il B. ha sottoscritto il 9 maggio 1990 con l’Ing. V. il contratto attuativo della convenzione, comprendente la clausola di rinegoziazione, da cui è poi scaturito un ingente danno per il Comune. Rappresenta inoltre che la perizia Patrone è valida, a differenza di quella di parte, che si limita solo a criticare la perizia del P.M. In ogni caso, i fatti materiali risultano acclarati nel processo penale, che si è concluso per il B. con condanna irrevocabile per corruzione e concussione.

Considerato in

D I R I T T O

1. Va esaminata in primo luogo la richiesta di integrazione del contraddittorio avanzata dall’appellante con litisconsorzi ritenuti necessari, e cioè tutti i consiglieri comunali che hanno espresso voto favorevole alla scelta del concessionario e all’approvazione del disciplinare della concessione relativo al parcheggio di Piazza della Vittoria, esprimendo voto favorevole alla Deliberazione del Consiglio Comunale n. 201 del 12 marzo 1990; o all’atto integrativo contenente la rinegoziazione delle condizioni contrattuali (Deliberazione C.C. n. 938 del 31 luglio 1991); nonchè di tutti gli amministratori ed i funzionari che hanno a vario titolo seguito la pratica (Assessore all’attuazione dei piani regolatori, funzionario redattore della relazione tecnica, segretario generale, dirigenti, componenti del Collegio regionale di controllo).

In proposito occorre rammentare che i primi giudici hanno respinto l’analoga eccezione formulata in primo grado, nella considerazione che, se pure altri soggetti sono intervenuti nella vicenda con efficienza concausale, il loro apporto non ha mai travalicato la mera colpa per integrare quella colpa grave che costituisce il requisito imprescindibile per l’assoggettamento all’azione di responsabilità amministrativa. Né sono stati rappresentati dalla difesa del B. elementi di colpevolezza che potessero giustificare una loro chiamata in causa, al di là della loro partecipazione al procedimento amministrativo che, peraltro, risultava già gravemente condizionato e compromesso dagli illeciti interventi del B. stesso.

Deve peraltro affermarsi che nella specie non ricorre alcuna delle ipotesi di litisconsorzio necessario, né sostanziale né processuale.

Giova, al riguardo, osservare che secondo la prevalente giurisprudenza, di regola nei giudizi di responsabilità amministrativa la unicità del processo discende non dalla unicità sostanziale del rapporto giuridico dedotto in giudizio, ma dalla opportunità di valutare unitariamente la pluralità di condotte che si assumono causative di danno, oltre che dalla obbligatorietà della azione pubblica rimessa al Procuratore Regionale: tali principi conducono, in sostanza, a ritenere che la posizione di ciascun presunto compartecipe alla produzione del danno sia autonoma (Sez. II Centrale, 12 marzo 2008 n. 96).

Circa il litisconsorzio processuale, non può neppure dirsi che si verta in fattispecie di cause tra loro dipendenti, posto che la dipendenza di cause ricorre quando la decisione di una controversia si estenda in via logica e necessaria anche all’altra, ovvero ne costituisca presupposto logico-giuridico imprescindibile, nel senso che uno dei rapporti di cui si discute in un unico processo abbia carattere condizionante o pregiudiziale rispetto all’altro (Cass. civ., Sez. I, n. 5215 del 2001).

Per contro, il Collegio ritiene che, in via generale, il giudice contabile possa e debba, nel decidere sulla responsabilità dei soggetti convenuti in giudizio, tenere conto del possibile coinvolgimento nella produzione dell’evento dannoso anche di altri soggetti, pur se non direttamente evocati in giudizio, a tal fine provvedendo alla eventuale riduzione dell’addebito in favore delle parti in causa, nei limiti delle quote corrispondenti all’effettiva rilevanza causale della loro condotta singolarmente considerata (Sez. Riunite, 20 giugno 2001, n. 5/QM).

E, venendo al caso di specie, vanno messe in risalto due circostanze: in primo luogo, gli apporti comportamentali eziologicamente provenienti da soggetti non citati sono avvenuti ad autonomi e distinti titoli e senza alcun vincolo derivante da concorso doloso; in secondo luogo, i contributi causali sono stati dal primo giudice valutati incidenter, fino al punto di ridurre, in misura più che consistente, l’ammontare del risarcimento messo a carico del B..

Come pure rilevato dal Procuratore Generale nelle proprie conclusioni scritte, gli eventuali concorsi causali nella produzione del danno patrimoniale, non azionabili nella fattispecie, vuoi per mancanza di colpa grave, vuoi per prescrizione, sono stati tutti considerati nella determinazione del danno ascrivibile all’appellante, che è stato ridotto equitativamente dai primi giudici a meno del 10% dell’intero pregiudizio economico patito dall’ente locale (euro 300.000,00), proprio al fine di escludervi concause a lui non imputabili, in ossequio al principio della personalità della responsabilità amministrativa.

Pertanto la chiamata iussu iudicis, nella fattispecie, neppure avrebbe avuto l’effetto di aprire la strada ad ulteriori riduzioni del danno imputabile all’appellante, sicchè nessun diritto, interesse sostanziale o di difesa, risulta essere stato per quest’ultimo leso in conseguenza della mancata estensione del contraddittorio.

Per quanto innanzi esposto, la richiesta di integrazione del contraddittorio deve essere respinta.

2. Prescrizione – L’appellante ha eccepito la prescrizione del diritto al risarcimento del danno subito dall’Amministrazione comunale in relazione ai fatti di cui si discute, asserendo che la costituzione di parte civile dell’ente danneggiato nel procedimento penale a carico di un amministratore o funzionario pubblico e relativo agli stessi fatti oggetto del giudizio contabile non comporta l’interruzione del termine di prescrizione per l’esercizio dell’azione di responsabilità erariale, in quanto l’unico soggetto titolare del diritto all’accertamento della responsabilità stessa è il Procuratore presso la Corte dei conti e, dunque, solo agli atti posti in essere dal medesimo può essere riconosciuto l’effetto interruttivo della prescrizione. In ogni caso, l’appellante ritiene che, anche a voler attribuire valore interruttivo alla costituzione di parte civile, essa produrrerebbe effetto interruttivo solo istantaneo e non permanente, per cui l’azione proposta dalla Procura risulta comunque tardiva, dal momento che sia l’invito a dedurre (25.03.2004) sia l’atto di citazione (9.11.2004) sono stati notificati a distanza di oltre un quinquennio dalla costituzione di parte civile del Comune.

Reputa il Collegio che l’eccezione di prescrizione sia da respingersi, anche alla luce dei più recenti orientamenti giurisprudenziali in tema di danno occulto.

Questo organo giudicante rileva infatti che nella specie il B. è stato condannato per fatti dolosi, quali i reati di concussione e/o corruzione, come tali ritenuti naturalmente occulti, cioè volti a sottrarre alla consapevolezza e conoscenza altrui il reale stato delle cose, e pertanto per essi la prescrizione comincia a decorrere, ai sensi dell'art. 1, comma 2°, della legge n. 20/1994, dalla data della scoperta del fatto dannoso occultato. In ragione dell’intenzionale occultamento della situazione lesiva per l’Erario da parte dello appellante il dies a quo della prescrizione, per l’esercizio del diritto risarcitorio dell’Amministrazione danneggiata e per la parallela azione di responsabilità del Procuratore Regionale, va ricondotto al momento in cui si verifica la scoperta del fatto lesivo intenzionalmente occultato, e sul punto la giurisprudenza è ormai costante e condivisa da questo Collegio, cosicché la data che più correttamente deve prendersi a riferimento quale dies a quo della prescrizione deve individuarsi con la data di rinvio a giudizio penale.

Ciò trova puntuale conferma normativa nell'art. 2935 c.c., in base al quale "la prescrizione comincia a decorrere dal giorno in cui il diritto può essere fatto valere".

Con riferimento alla decorrenza del termine prescrizionale per il danno all’immagine, si deve ritenere che, anche per il pregiudizio al prestigio dell’Amministrazione, appare più prudente attendere che il fatto penalmente rilevante che ha dato origine al clamor fori formi oggetto, quanto meno, di decreto di rinvio a giudizio, poiché spesso una iniziativa anticipata del Procuratore Regionale rischia di non sortire utili effetti se, come a volte accade, il presunto responsabile coinvolto nelle indagini penali non venga poi neppure rinviato a giudizio.

Per tali considerazioni reputa questo Giudicante che anche per il danno all’immagine il dies a quo del termine prescrizionale vada ancorato ad un evento certo che conferisca, per così dire, il crisma della attendibilità alla impostazione accusatoria e che, nella fattispecie, è il rinvio a giudizio penale.

In ogni caso l’indicato termine prescrizionale è stato interrotto sia dalla costituzione di parte civile dell’Amministrazione comunale nel processo penale, mantenuta anche in appello, sia dalla notifica dell’ invito a dedurre, emesso in data 25 marzo 2004.

Rileva il Collegio che, relativamente alla fattispecie all’esame, ai sensi del combinato disposto degli artt. 2943 e 2944 c.c. in sede contabile si è determinata l’interruzione della prescrizione dell’azione di responsabilità amministrativa alla data di costituzione di parte civile da parte dell’ente danneggiato, fino al passaggio in cosa giudicata del giudizio penale nei confronti dell’odierno appellante (cfr. Sez. III, n. 672/2005).

In proposito la giurisprudenza della Corte dei conti ha riconosciuto costantemente la descritta valenza interruttiva rispetto all’azione di responsabilità erariale (Sez. Riunite 18 marzo 1996 n. 14/A).

Tale indirizzo risulta ribadito dalle Sezioni Riunite con la pronuncia n. 8/QM del 25 novembre 2004, la quale ha precisato che nel giudizio contabile la disciplina dell’istituto della prescrizione della responsabilità amministrativa è quella generale recata dagli artt. 2943 - 2945 c.c., che fissano, di norma, il principio della permanenza dell’effetto interruttivo per gli atti giudiziali introduttivi di un giudizio, come la costituzione di parte civile nel processo penale.

D’altra parte, anche la Cassazione civile con sentenza n. 5945 del 2000 ha statuito che in materia di risarcimento dei danni causati da fatto integrante reato, la costituzione di parte civile nel processo penale ha un effetto interruttivo della prescrizione per l’intera durata del processo penale (cfr. pure Cass. Penale n. 5816/1998).

Pertanto il Collegio non ha motivo di discostarsi dalle argomentazioni del primo giudice che, conformemente alla giurisprudenza assolutamente prevalente di queste Sezioni, riconosce effetto interruttivo permanente alla costituzione della amministrazione danneggiata come parte civile nel processo penale (Sez. I centrale, 5 novembre 2001, n. 315/A; 6 marzo 2002, n. 69/A; 3 aprile 2002 n. 102/A; Sez. II Centrale, 10 luglio 2002, n. 227/A; Sez. III Centr. n. 383/2003; Sez. Riun. 25 novembre 2004 n. 8/QM).

Se è vero, quindi, che il Pubblico Ministero contabile è legittimato a porre in essere atti interruttivi della prescrizione, ciò non esclude che l’originario diritto sopravviva in capo all’Amministrazione, con la titolarità all’esercizio dei relativi poteri.

In definitiva, l’eccezione di prescrizione è da respingere poiché l’Amministrazione, costituendosi parte civile nel processo penale di primo grado ed in appello, ha prodotto l’effetto interruttivo permanente di cui all’art. 2945 comma 2° del cod. civ. fino al passaggio in giudicato della sentenza di condanna di secondo grado del 26 gennaio 2001.

3. Mancanza di illiceità nella condotta, mancanza dell’elemento soggettivo del dolo e della colpa grave – Si tratta di doglianze tutte fondate su considerazioni ampiamente contrastate dai primi giudici, con argomentazioni che il Collegio condivide.

In particolare, i primi giudici hanno premesso che, ai fini della configurabilità della responsabilità amministrativa dell’appellante, ciò che conta è l’accertamento del fatto materiale e la sua riconducibilità a livello causale all’evento dannoso, indipendentemente dal fatto che in sede penale il fatto sia stato qualificato come reato, o che tale antigiuridicità non sia stata riconosciuta e sia venuta meno in seguito a revisione legislativa.

Hanno quindi ricordato che il processo penale ha incontestabilmente accertato che, prima ancora che la gara fosse bandita, sia Omissis s.p.a. che Omissis avevano ricevuto sollecitazioni da parte del B. perché presentassero congiuntamente l’offerta; che prima della pre-selezione l’appellante aveva altresì minacciato M. B., collettore di tangenti fra l’Omissis ed il B., di pagare a lui e al proprio partito 300 milioni di lire per vincere la gara, ridotti a 150 a seguito della intermediazione del B.; che il B., a gara conclusa, aveva fatto insistenti pressioni affinché la ditta rispettasse l’impegno; che tali fatti venivano confermati dalle dichiarazioni di B. (“….diventò quasi una persecuzione…”: interrogatorio del 28.5.1993) e di V. (interr. del 26.5.1995); che il denaro fu consegnato dal B. in una busta al B. nel suo negozio in Piccapietra; che quest’ultimo ha ammesso sostanzialmente l’episodio (interrogatorio del 18.06.1993); che le richieste di denaro del B. non cessarono neppure quando passò all’opposizione (interr. del B., del V. e di C. I.); che proprio il versamento di tangenti al B. aveva consentito alla Omissis s.r.l. di reclamare la relativa contropartita, con l’introduzione della clausola di rinegoziazione che permise di ridiscutere, ad esclusivo favore della concessionaria, l’offerta migliorativa, addirittura fuori mercato – come dimostrato dalla consulenza tecnica – che la Società aveva presentato in un secondo momento al solo scopo di prevalere nella selezione.

A fronte di tali fatti materiali, accertati con giudicato penale e liberamente valutati dal giudice contabile, non può non condividersi quanto sostenuto dal collegio di prime cure, e cioè che l’illecita condotta del B. ha costituito un antecedente necessario del danno subito dal Comune, e che la clausola di rinegoziazione, introdotta nella concessione per iniziativa del medesimo quale corrispettivo della tangente ricevuta, unitamente all’offerta formulata ha avuto un effetto distorsivo nello svolgimento del rapporto concessorio.

Rileva questo Giudicante che tale condotta ha costituito innanzitutto una grave violazione dei canoni di correttezza e trasparenza nelle gare, che sempre devono assistere la scelta del contraente pubblico. Non trova alcuna giustificazione, nell’ambito del rapporto contrattuale, l’aver introdotto una clausola di rinegoziazione, che di fatto ha avvantaggato una ditta già aggiudicataria a discapito delle altre ditte, agganciandone l’operatività non ad un evento futuro ed incerto, bensì a fatti e circostanze la cui realizzazione si profilava già probabile al momento della stipula, e tanto ravvicinati nel tempo (a distanza di soli quattro mesi) da apparire ormai già certi.

Si evince infatti dalla sentenza penale di primo grado (pagg. 9 e 10) che “vi era una forte probabilità che la condizione si verificasse, posto che il Comune non aveva la titolarità dell’area e che il C.A.P., che ne era titolare, ne subordinava la disponibilità alla realizzazione della base nautica, realizzazione tutt’altro che pacifica”. E ancora si legge: “B. sostiene di non aver previsto la mancata disponibilità di Piazzale Kennedy. Tale affermazione, del tutto inverosimile dal momento che il CAP subordinava la disponibilità dell’area alla realizzazione (tutt’altro che pacifica) della base nautica, è smentita da A. R. nell’interrogatorio del 28.06.1993: “la clausola venne discussa con .N. e B. prima che venisse approvato il testo della convenzione perché avevamo saputo che il CAP…aveva manifestato difficoltà a dare l’assenso…per Acquasola sapevamo che c’erano resistenze della Soprintendenza”. Anche N. conferma che era nota la difficoltà di ottenere l’assenso del CAP nel termine previsto dalla clausola”.

Quindi la clausola di negoziazione presentava delle caratteri- stiche che sono incompatibili con il fine dichiarato di riequilibrare il rapporto contrattuale in presenza di condizioni di fatto mutate e che sono invece ispirate dall’intento della concessionaria di modificare completamente l’offerta che sin dall’origine era per lei svantaggiosa. E‘ dunque chiaro che soltanto nell’interesse di questa venne inserita la clausola.

Tale comportamento ha sicuramente pregiudicato la par condicio con le altre ditte concorrenti, che avrebbero potuto offrire, se fossero state a conoscenza di tale clausola, dei prezzi senz’altro più vantaggiosi.

Quanto all’aspetto psicologico, deve riconoscersi che anche il dolo che ha connotato la condotta del B. è stato abbondantemente illustrato nella sentenza gravata.

Come ha osservato il Procuratore Generale nelle proprie conclusioni, il Collegio di prime cure ha dimostrato con dettagli minuziosi, e facendo frequenti richiami alle numerose ammissioni tratte dagli interrogatori resi in sede penale, che il B. ha indotto il Comune di Omissis a stipulare con un soggetto (Omissis, poi Omissis) inidoneo quale parte contrattuale, in quanto portatore di un progetto imprenditoriale non concorrenziale; di come si sia reso responsabile della disastrosa scelta della Omissis (società priva di esperienze specifiche nel settore) quale realizzatore e gestore dei parcheggi, turbando la regolarità della trattativa e precludendo al Comune la possibilità di percepire maggiori entrate; abbia assunto tali scelte non in buona fede ma perseguendo illecite finalità di arricchimento personale; abbia fatto approvare la convenzione di concessione pur sapendo della indisponibilità dei siti e sia stato l’artefice dell’introduzione della clausola di rinegoziazione più volte citata, al solo fine di avvantaggiare il contraente privato, esponendo l’Amministrazione ai rischio – puntualmente verificatosi – di pretese risarcitorie della Omissis; di avere comunque concorso – ponendo in essere gli antecedenti causali necessari - all’adozione della delibera del marzo 1991, con la quale venne riconsiderata l’offerta economica della società, al verificarsi degli indicati presupposti, così vicini nel tempo da potersi ritenere già certi al momento della stipula della clausola medesima.

Questi sono fatti che, nella loro definitività, vincolano il Collegio, fermo rimanendo che tutti gli altri elementi documentali, provenienti e raccolti nel processo penale, ben possono essere valutati dal giudice contabile, che può fondare anche su di essi il proprio convincimento quando, riconosciutane la valenza, li ammetta come prove: perciò, con riferimento alla fattispecie di causa, non può affermarsi, come fa l’appellante, che sia mancata la prova dei fatti assunti dal giudice contabile.

4. Erronea quantificazione del danno patrimoniale -L’appellante ha pure sostenuto che la perizia predisposta dall’ing. Patrone per conto della Procura Regionale, su cui la Sezione territoriale si è basata per la determinazione del danno, è del tutto inidonea ad accertare l’ammontare del pregiudizio subito dal Comune, non essendo stata redatta in contraddittorio tra gli interessati. La Sezione ligure avrebbe dovuto, secondo il B., disporre c.t.u. allo scopo di espletare le necessarie verifiche nel rispetto del principio del giusto processo, sancito dall’art. 111 Cost.

Invero non appare indispensabile, ai fini della presente decisione, l’ acquisizione di consulenza tecnica di ufficio, rilevando il Collegio che sia il Pubblico Ministero in citazione che il collegio di prime cure hanno tenuto conto, per la valutazione del danno erariale, della perizia dell’ing. Patrone e che tale perizia è stata autonomamente valutata in sede contabile per la quantificazione dei fatti dannosi da parte dei primi giudici.

Pertanto ogni aspetto controverso appare abbondantemente sceverato, dal momento che sia la parte pubblica che le parti private hanno potuto rappresentare, in primo grado, la questione dal punto di vista tecnico al giudice e formulare le proprie controdeduzioni.

Vi è stato dunque pieno rispetto del dettato dell’art. 111 Cost., che secondo una lettura più avveduta si limita a sancire per le parti l’uguale diritto alla prova, nel senso di garantire che ad esse sia riconosciuto lo stesso diritto ad addurre mezzi di prova giudicati rilevanti e ad ottenerne l’ammissione da parte del giudice, con pari diritto a chiederne la valutazione.

Tale diritto non è stato precluso al B. che, sia nella fase preprocessuale, sia in quella dibattimentale è stato in condizione di poter produrre qualsiasi documentazione e prova ritenuta utile, per cui la causa si presenta, anche sotto tale profilo, ormai matura per la decisione.

L’interessato lamenta poi che le valutazioni operate dall’ing. Patrone sono fuorvianti, posto che viene effettuata una comparazione fra le offerte presentate dalle ditte concorrenti nel corso della gara preliminare e l’offerta della Omissis come riformulata a seguito della rinegoziazione delle condizioni contrattuali della concessione, effettuate dall’Assessore subentrato al B.. In pratica la perizia attuerebbe una comparazione tra il valore dell’offerta di Omissis all’esito della rinegoziazione, relativo perciò alla costruzione e gestione del solo autoparcheggio di Piazza della Vittoria – blocco Nord - e quello delle proposte presentate dalle concorrenti nella pre-gara, relative invece alla costruzione e gestione di un sistema di sei autoparcheggi.

Tali considerazioni appaiono prive di pregio. Infatti, come ha già avuto modo di chiarire il Pubblico Ministero, deve rammentarsi che la Sezione territoriale ha già abbondantemente motivato (pagg. 45 – 46) in ordine a tale eccezione, già prodotta in quella sede, illustrando tutti i passaggi della perizia del consulente tecnico, e avvertendo che il perito aveva provveduto non solo a riparametrare il canone, inizialmente previsto per circa 4.500 posti auto (in relazione a sei parcheggi) poi ridottisi a 800 e quindi a 500, ma aveva pure preso in considerazione la circostanza che “anche le altre ditte concorrenti dell’Omissis, se fossero state scelte dal Comune, si sarebbero trovate a dover costruire e gestire un solo parcheggio anziché i sei per i quali furono chiamate e sui quali avevano basato la propria offerta”.

Ciò dimostra l’infondatezza della contestazione difensiva.

Sempre con riferimento al danno, i primi giudici hanno tenuto ben presente che la condotta del B. costituisce sicuramente una “concausa” rispetto al danno patrimoniale attualizzatosi attraverso l’accordo integrativo del 1991, l’accordo transitorio del 1994 e la transazione del 2002.

E’ infatti evidente che mai il Comune di Omissis si sarebbe potuto trovare nelle condizioni di stipulare un atto di transazione (soggiacendo quindi alle richieste risarcitorie della concessionaria) se, a monte, non vi fosse stato l’illecito comportamento del B., scientemente finalizzato a favorire l’Omissis con l’introduzione della clausola di rinegoziazione.

Tuttavia, proprio al fine di valutare l’intero complesso delle concause e degli apporti causali ascrivibili ad altri soggetti, il danno posto a carico dell’appellante è stato quantificato dal Procuratore Regionale soltanto un decimo rispetto a quello indicato dal perito ing. Patrone, e i primi giudici hanno ulteriormente ridotto la richiesta risarcitoria : tale circostanza costituisce motivo ulteriore per ritenere non necessaria una nuova acquisizione peritale.

5. Mancata prova del danno all’immagine – L’eccezione non ha pregio, poiché – a prescindere dal clamor fori che la celebrazione di un processo per tangenti, in special modo nel periodo risalente ai primi anni ’90, in cui si sviluppò il fenomeno noto sotto il nome di “Mani Pulite” - provoca sulla collettività amministrata, c’è da dire che la Procura Regionale attrice ha fornito ampia prova della pubblicità data dagli organi di informazione allo specifico processo che ha visto l’attuale appellante in veste di imputato e condannato.

Deve dunque ritenersi che tale episodio abbia contribuito, insieme ad altri, a determinare quel clima generale di sfiducia, se non addirittura di discredito, nei confronti della classe politica, che nei primi anni ’90 investì l’Italia a causa dei numerosi processi che videro condannati per corruzione e concussione diversi esponenti politici e che ebbe molte ripercussioni anche a livello locale.

Per quel che concerne le contestazioni sul danno all’immagine subito dall’Amministrazione di appartenenza, si soggiunge che la natura di questo tipo di danno consente di prescindere sia dalla reale effettuazione di spese per il ripristino del bene immateriale leso o dalla loro programmazione (Sez. Lazio, n. 1723 del 11.4.2001; n. 3945 del 5.11.2001) sia dall’analitica dimostrazione dei costi sopportati o sopportabili per la reintegrazione del bene leso, essendo sufficiente fornire anche solo un principio di prova (Sez. II centr., n. 338/2000) e ben potendo il prudente apprezzamento del giudice fondarsi su circostanze ed elementi disparati (Sez. II, n. 130 del 17.4.2002).

Tale tipo di danno presuppone l’esplicazione di una condotta che abbia causato la reiterata violazione dei doveri di servizio e abbia comportato una lesione all'immagine dell'ente. Nella fattispecie la scoperta del fatto, il risalto dato allo stesso dalla stampa, i procedimenti giudiziari protrattisi per anni nei confronti dell’ appellante hanno determinato, secondo quanto comunemente è percepito, un discredito per l'amministrazione di appartenenza, percepita in una immagine negativa di struttura gestita in maniera inefficiente, non responsabile né responsabilizzata.

Quanto all'affermata necessaria dimostrazione di specifiche spese dirette al ripristino del bene giuridico leso, si osserva che pur non essendo mancata, in passato, una giurisprudenza della Corte dei conti che ha ritenuto "necessaria la specifica dimostrazione di spese per il ripristino del bene immateriale dell'Amministrazione”, quella più recente, oramai consolidata, non ritiene necessaria la suddetta dimostrazione, in maniera più coerente con quanto sostenuto dalla Suprema Corte e dalla stessa giurisprudenza civile di merito che, nel caso di danno all'immagine subito da persone giuridiche, distingue il danno evento, costituito dalla lesione all’'immagine ed alla reputazione, dalle conseguenze patrimoniali negative che, eventualmente, ne sono conseguite.

Per tali ragioni va respinto anche il motivo di appello relativo alla necessità di prova delle spese sostenute, in quanto la lesione della reputazione delle Amministrazioni pubbliche è considerata autonomamente indennizzabile, indipendentemente dagli effetti patrimoniali negativi che ne derivano, risarcibili eventualmente ad altro titolo (Corte dei conti, Sez. riun. n. 10/2003/QM del 12/3/2003; Sez. I n. 82 del 2000; n. 56 del 2003 e n. 94 del 2007; Sez. II n. 298 del 2000; n. 80 del 2003 e n. 27 del 2004; Sez. III n. 242 del 2000 e n. 279 2001;Sez. Lombardia n. 1954 e n. 1696 del 2002, Sez. Lazio n. 2464 del 2002).

Con riferimento, poi, all’entità del danno addebitato al ricorrente, reputa questo Giudicante che, ai fini della sua determinazione la Corte Territoriale abbia fatto pertinente e corretto uso del criterio equitativo previsto dall’art. 1226 cod. civile; di modo che vanno respinte le doglianze della difesa afferenti alla carenza probatoria in ordine al quantum debeatur.

Invero, anche in virtù dei principi espressi dalla sentenza n. 10/QM/2003 delle Sezioni Riunite di questa Corte, ai fini della quantificazione si può fare riferimento, oltre che alle spese di ripristino già sostenute, a quelle ancora da sostenere. Il danno esistenziale è infatti pregiudizio che si proietta nel futuro e, pertanto, è consentito il ricorso a valutazioni prognostiche ed a presunzioni sulla base degli elementi che sarà onere del danneggiato fornire e la relativa liquidazione non potrà che avvenire in via equitativa. In quest'ultimo caso tale valutazione, ex art. 1226 c.c., potrà fondarsi su prove, anche presuntive od indiziarie, tra cui le conseguenze negative che, per dato di comune esperienza e conoscenza, siano riferibili al comportamento lesivo dell'immagine.

Sussiste poi la possibilità di ricorrere, per la quantificazione del danno, a parametri diversi da quelli desumibili dalle spese, sostenute o da sostenere, per il ripristino dell'immagine. In via generale, i parametri da utilizzare in concreto per la quantificazione vanno rimessi alla valutazione che, nella propria discrezionalità, ciascun giudice saprà trarre dalle singole fattispecie (Sez. I Centrale, 11 luglio 2007, n. 194).

Sussistono poi nella fattispecie, come già rappresentato dalla Procura Generale, tutti gli elementi sintomatici elaborati dalla giurisprudenza contabile, per l'individuazione del danno in discussione; sia quelli oggettivi legati alla gravità del fatto ed alla risonanza dello stesso all'esterno ed all'interno dell'Amministrazione, che quelli soggettivi, connessi alle delicate funzioni svolte dagli appellanti.

Pertanto, avendo l'attore pubblico fornito la prova dell'an della lesione all'immagine dell'ente pubblico, il quantum (Euro 100.000,00) è stato correttamente determinato, in via equitativa, dal primo giudice.

Il carattere doloso del comportamento assunto dal B. preclude al Collegio di accedere alla richiesta di contenimento dell’addebito mediante applicazione del potere riduttivo.

In conclusione, l’ appello proposto va rigettato, mentre il danno erariale complessivo va confermato in Euro 400.000,00 di cui Euro 100.000,00 a titolo di ristoro del danno all’immagine, nonché agli interessi legali, maturati dalla data di deposito della presente sentenza fino all’effettivo soddisfo, oltre alle spese del doppio grado di giudizio, che seguono la soccombenza.

P.Q.M.

La Corte dei conti – Sezione Prima Giurisdizionale Centrale – definitivamente pronunciando, ogni contraria domanda ed eccezione reietta:

- RIGETTA l’appello proposto da B. G. nei confronti della sentenza n. x emessa dalla Sezione Giurisdizionale per la Regione Liguria in data 15.07.2005 - 23.05.2006.

CONDANNA l’appellante al pagamento sia delle spese processuali del giudizio di primo grado, liquidate in Euro 397,72 sia delle spese processuali del presente giudizio di appello, liquidate in

Euro 321,96

Anonimo ha detto...

sei informato sulla barzelletta del ciclista.

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Si sono informato !
Pare che un ciclista di Zagarolo,casca dalla bicicletta e perde i sensi lo pportano all'ospedale per fargli una tac alla testa,passano diverse ore e il ciclista non esci dalla stanza tac- dopo di che si vede un medico disperato che dice o dio qua non troviamo il cervello-allora interviene un amico che dice non se preoccupi dott e tutto a posto il cervello non ce mai stato .... alloro il dottore tiro un sospiro di sollievo e dice memale perchè pensavo che lo strumento tac era rotto!
a questo punto sarebbe bello sapere se poi il ciclista ha tyrovato il cervello ma pare proprio di no!
datece notizia...

Anonimo ha detto...

Sono diversi giorni che il mio gatto non fa piu "MIAO"

Si comporta in modo strano e fa un sacco di cavolate ,sapete dirmi dove è stato perso quel cervello ?
attendo con ansia notizie su quasta baccheca ,grazie.

Anonimo ha detto...

Forse il tuo gatto ha mangiato quel cervello !

Ti consiglio di fargli una lastra, anche per capire se era un cervello o forse solo un cervelletto.