domenica 7 settembre 2008

"" ALTE PROFESSIONALITA' "" - ZAGAROLO: IL SINDACO LEODORI "INNESTA LA ...........RETROMARCIA ! "

(risposta interrogazione prot. 18074 -18077 prot. uscita )

M A N I F E S T O

A seguito delle innumerevoli INTERROGAZIONI presentate dal Consigliere Comunale Mario PROCACCINI al Sindaco di Zagarolo sulle indennità corrisposte ai responsabili di Area e Ufficio supporto del Sindaco , nonchè sulla nomina del Vice Segretario Generale, l'amministrazione Comunale è stata costretta a rivedere l'intero procedimento seguito dal Sindaco per quanto riguarda l'individuazione delle "ALTE PROFESSIONALITA' " e gli incarichi ai " RESPONSABILI di AREA " unitamente alle indennità ad essi corrisposte , riconducendole , nei limiti fissatti non più per le alte professionalità, ma nei limiti fissati per le posizioni organizzative ( Riducento l'importo corrisposto ) :

Nello stesso tempo è stato revocato la nomina del vice Segretario Generale, al quale veniva corrisposta una indennità pari al 30% di quella fissata per i Capi Area !

L'opposizione svolta dal Consigliere PROCACCINI nel Consiglio Comunale di Zagarolo comincia a dare i suoi frutti : RICONDURRE L'AMMINISTRAZIONE DI ZAGAROLO AD AGIRE NELLA LEGALITA' !

A questo punto ci viene spontaneo pronunciare le parole "" FATIDICHE "" ....... per fortuna che c'e' MARIO !!!.


""" LA DESTRA PER ZAGAROLO """

12 commenti:

Unknown ha detto...

Corte dei Conti Sezioni Riuniti del 15 gennaio 2003, sentenza n. 2/QM.
 
 
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE DEI CONTI A SEZIONI RIUNITE
in sede giurisdizionale, composta dai seguenti magistrati:
Francesco Castiglione Morelli Presidente, Giuseppe David Consigliere, Domenico Zuppa Consigliere, Nicola Mastropasqua Consigliere relatore, Maria Teresa Arganelli Consigliere, Corrado Cerbara Consigliere, Bruno Di Fortunato Consigliere ha pronunciato la seguente:
S E N T E N Z A
sulla questione di massima n. 149/SR/QM deferita dal Procuratore Generale con atto depositato in data 30 maggio 2002 nella pendenza del giudizio di appello avverso la sentenza della Sezione Giurisdizionale Regione Siciliana n. 65/2001/Resp. e nei confronti di Giuseppe Gaglio.
Visti gli atti e i documenti di causa.
Uditi alla pubblica udienza del 30 ottobre 2002 il relatore Cons. Nicola Mastropasqua ed il Pubblico Ministero nella persona del Vice Procuratore Generale dott. Paolo Luigi Rebecchi, con l’assistenza del segretario sig.ra Alida Stefani.
F A T T O
Con atto depositato in data 11 luglio 2002 ed iscritto al n. 149/SR/QM del registro di Segreteria delle Sezioni Riunite il Procuratore Generale ha proposto questione di massima proponendo il seguente quesito: "nell’esecuzione delle opere pubbliche, anche mediante l’istituzione di cantieri-scuola, l’esordio della prescrizione si individua nel momento dei singoli pagamenti o, invece, si determina mediante la diversa decorrenza prescrizionale dall’esito del collaudo o dalla produzione delle prescritte scritture contabili (o del rendiconto) dal soggetto e/o degli organi a ciò deputati, anche se l’opera non sia stata portata a compimento".
La questione è stata proposta nel corso del giudizio instaurato dal competente Procuratore regionale nei confronti di Giuseppe Gaglio concluso in primo grado con la sentenza della Sezione Giurisdizionale Regione Sicilia n. 65/2001/Resp. del 18 giugno 2001, gravata dal Procuratore regionale presso la Sezione di appello Regione Sicilia.
Il Procuratore Generale ricorda che con atto emesso il 19.9.2000 il Procuratore Regionale conveniva in giudizio il Geom. Giuseppe Gaglio, quale di direttore di un cantiere di lavoro finanziato dall’Assessorato regionale del Lavoro, in virtù della normativa regionale di settore, per la sistemazione in Partinico della strada comunale via Cavour. Il menzionato direttore, secondo il P.R. aveva omesso di esercitare i poteri di controllo e di vigilanza sul cantiere relativi "alle verifiche sulla quantità e sulla qualità delle opere ed il riscontro materiale e contabile sulle forniture e sulle prestazioni effettivamente utilizzate". Pertanto allo stesso era da imputare il danno derivante dalla mancanza di utilità pubblica dei lavori non ultimati ed eseguiti in difformità rispetto al progetto originario ed alla perizia di variante. Tale difformità emergeva dagli accertamenti tecnici esperiti in sede penale, i quali rilevavano che a fronte di un accreditamento di Lire 95.850.000 (pari al 90% del finanziamento di Lire 106.500.000), corrispondeva un valore reale dei lavori eseguiti per Lire 58.544.699, per cui risultavano versate indebitamente Lire 47.882.185.
Quest’ultimo importo, secondo la Procura regionale, non corrispondeva ad alcuna pubblica utilità effettiva, per cui esso integrava danno erariale imputabile al Gaglio. Questi, costituitosi in giudizio, opponeva anche la prescrizione del diritto al risarcimento del danno erariale.
La Sezione adita accoglieva l’eccezione di prescrizione, in quanto "il termine di prescrizione del diritto deve farsi decorrere dal momento in cui il danno si è prodotto e tale momento, in mancanza di un occultamento doloso, coincide con il pagamento delle somme relative ai lavori eseguiti e risultati, secondo la prospettazione del P.M., di nessuna utilità per l’amministrazione".
Avverso la pronuncia si è appellato il P.R., il quale ha rammentato che l’Assessorato regionale del Lavoro aveva istituito e finanziato il cantiere di lavoro per la sistemazione della strada comunale "Via Cavour", assegnando al Comune di Partinico l’importo di L. 106.500.000 quale ente gestore dei lavori.
I lavori del cantiere avevano avuto inizio il 04,01.1993, erano stati sospesi dal 19.2.1993 al 03.3.1993 e dal 06.4.1993 al 06.9.1993, per il difetto dei materiali da collocare in opera, per essere ripresi il 07.09.93, ma non risultava documentata la comunicazione della fine dei lavori.
Il requirente ha rammentato che l’Assessorato regionale al Lavoro, al momento della redazione dell’impugnativa, non aveva ancora trasmesso il rendiconto amministrativo della spesa finanziata, nonostante la richiesta della procura regionale, né aveva comunicato notizia del danno.
Peraltro l’atto di citazione aveva specificato che la prospettazione del danno erariale era limitata alla gestione della spesa destinata al finanziamento del cantiere di lavoro nel suo complesso. La valutazione di ulteriori profili, ai fini dell’accertamento della responsabilità amministrativa, dipendeva dall’accertamento dei fatti, secondo la ricostruzione storico-fenomenica da operarsi nel giudizio penale intrapreso in ordine ai cantieri di lavoro aperti nel Comune di Partinico, non ancora definito al momento della redazione dell’impugnativa in argomento.
Tuttavia il Giudice di primo grado riteneva maturata la prescrizione del diritto erariale, considerando che il termine iniziale di decorrenza del quinquennio coincideva con la corresponsione di somme pagate dalla P.A. committente a fronte di singole prestazioni, peraltro non fatturate. Il P.R. ha obiettato che tale motivazione era viziata da errore di diritto, riscontrabile mediante un raffronto tra la prospettazione della domanda e le argomentazioni del Giudice. Infatti, la domanda introdotta nel giudizio ha configurato un danno per omesso conseguimento di risultato causato da difettosa esecuzione dei lavori, laddove i vizi dell’opera sarebbero stati occultati mediante una tenuta infedele della contabilità dei lavori e delle forniture dei materiali, senza considerare partitamene i singoli pagamenti.
Con l’accertamento di tali vizi è stato possibile mediante l’attività di accesso ispettivo dei luoghi, relativamente all’intera opera. Inoltre, non figura agli atti né l’approvazione della contabilità da parte della P.A., né il collaudo delle opere in concreto eseguite, né è documentata la comunicazione della fine dei lavori.
Pertanto, secondo l’opinione della procura appellante, il mese di ottobre 1993, fino al quale l’Amministrazione comunale aveva liquidato pagamenti, non era da ritenersi quale esordio dei termini prescrizionali, poiché il danno non era conosciuto né oggettivamente conoscibile da parte del soggetto pregiudicato. Il danno era ignoto perché l’Ente committente e l’Ente finanziatore non hanno, sinora, approvato la contabilità dei lavori ed il rendiconto della spesa; non era oggettivamente conoscibile perché nella specie concorreva l’infedele tenuta della contabilità dell’opera, che non risultava collaudata dall’Amministrazione.
Nella descritta situazione il Procuratore Generale ha proposto questione di massima nei termini innanzi ricordati.
A sostegno della propria tesi che l’inizio della prescrizione decorra dal collaudo il Procuratore Generale afferma che la verifica mediante il collaudo è l’atto con cui l’Ente committente, accertata la regolarità delle prestazioni e forniture relative all’opera, determina che può pagarsi all’appaltatore e agli altri fornitori quanto esattamente loro dovuto. Pertanto uno degli effetti che discende dal collaudo, nonché dalla verifica da operarsi ex art. 11 della L. R. 17/1978, è quello di rendere liquido il credito dell’appaltatore (Cass. 10.11.1956, n. 5106), nonché quello degli altri fornitori. Il carattere imprescindibile del collaudo delle opere pubbliche si manifesta soprattutto nel rilievo che non vi è possibilità di rinunzia (come, invece, accade tra i privati) costituendo elemento indisponibile ed insostituibile per l’esaurimento di ogni rapporto con l’appaltatore (Cass. SS.UU. 927/1963).
L’Ente pubblico, quindi, non può procedere alla presa in consegna definitiva dell’opera, né può provvedersi al pagamento della rata di saldo ed alla restituzione delle ritenute di garanzia della cauzione, qualora non si è addivenuti al collaudo con le modalità e le forme stabilite dalla legge e dai regolamenti. Quindi il collaudo e l’attività da esso conseguente, quali il certificato di collaudo e l’approvazione da parte dell’Amministrazione interessata, sono una fase indispensabile: solo dopo tale fase quanto dovuto all’appaltatore ed ai singoli fornitori diviene attuale, certo ed effettivo.
In quanto così nell’esecuzione delle opere pubbliche non hanno carattere di certezza neppure i singoli pagamenti effettuati in corso d’opera che, essendo talora disposti a titolo di acconto (come previsto dagli artt. 57 e 58 del R.D. 350/1895), sulla base delle risultanze del registro di contabilità e degli stati di avanzamento dei lavori, hanno solo valenza di anticipazioni del corrispettivo, che viene accertato e definitivamente liquidato dal collaudatore, previa verifica del conto finale redatto dal direttore dei lavori ex art. 63 R.D. 350/1895, secondo il principio che l’ente committente, prima di ricevere l’opera, ha il diritto di verificarla (art. 1665 c.c.).
Si rileva, altresì, che nell’esecuzione delle opere pubbliche, per stabilire l’esordio del termine prescrizionale, particolare rilievo assume l’esame della contabilità finale da redigersi dal direttore dei lavori ex art. 63 del R.D. 350 del 1895, per verificare, nei casi in esame, l’esistenza o meno di danni alla stazione appaltante emergente dalla rendicontazione amministrativa delle spese.
Nell’udienza di discussione il Procuratore Generale ha illustrato le tesi sostenute nell’atto scritto.
Considerato in D I R I T T O
Il remittente Procuratore Generale ha proposto questione di massima in ordine all’esordio della prescrizione nelle ipotesi di danno arrecato nel corso della costruzione di opere pubbliche o di svolgimento di lavori pubblici prospettando la tesi che il termine iniziale della prescrizione debba essere fissato alla data del collaudo dell’opera.
La questione è stata proposta nel corso di un giudizio concluso in primo grado con applicazione nei confronti dei convenuti della prescrizione, il cui termine iniziale è stato fissato alla data di pagamento all’appaltatore di parte del prezzo contrattuale, gravato di appello.
La questione è ammissibile in quanto la soluzione è applicabile sia al caso concreto che ad una serie aperta di fattispecie.
La prospettazione del Procuratore Generale investe due punti, e cioè se ai fini dell’esordio della prescrizione sia necessaria la conoscenza o almeno la conoscibilità da parte dell’Amministrazione del comportamento illecito del soggetto al quale viene attribuito il danno e se, in materia di opere pubbliche, ciascun pagamento all’appaltatore possa costituire danno certo e attuale per l’Amministrazione ove ricorrano gli altri presupposti della responsabilità.
Si ritiene unanimemente in dottrina ed in giurisprudenza che la prescrizione comincia a decorrere dal giorno in cui il diritto, pur essendo prefetto e potendo quindi essere esercitato, non è di fatto esercitato dal suo titolare. La prescrizione non inizia a decorrere in presenza di un impedimento di ordine giuridico all’esercizio del diritto, mentre comunemente (la tesi è però oggi contestata da parte della dottrina che fa in particolare riferimento alla prescrizione riguardante i crediti da lavoro subordinato) si ritiene che gli ostacoli di mero fatto che non rientrino nella impossibilità legale e che non siano stati considerati come causa della sospensione della prescrizione, non hanno alcuna rilevanza.
Deve, pertanto, accertarsi se la conoscibilità da parte dell’Amministrazione del comportamento illecito tenuto dal proprio amministratore o dipendente costituisca o meno impedimento di ordine giuridico all’esercizio del diritto.
Va in proposito ricordato che oggetto tipico dell’azione di responsabilità amministrativo-contabile è accertare se il danno sofferto da un ente pubblico è ascrivibile ad un comportamento illecito di un pubblico dipendente.
Questo aspetto assume particolare rilievo nelle ipotesi nelle quali il danno venga causato attraverso l’emanazione di provvedimenti ovvero nell’ambito di un rapporto contrattuale che lega la pubblica amministrazione ad un privato.
Infatti il rapporto di immedesimazione organica tra organo agente ed ente persona giuridica implica un’imputazione giuridica formale all’ente delle intere fattispecie dei comportamenti del titolare dell’organo (salvo che questi agisca per moventi personali, cioè in sostanza al di là e al di fuori delle sue attribuzioni di organo); pertanto nel rapporto esterno tra ente pubblico e privati è riferibile soltanto all’Amministrazione (e non al suo organo o agente) l’emanazione di un provvedimento amministrativo ovvero l’adempimento-inadempimento di una obbligazione.
Ma laddove (ed è qui il fondamento della responsabilità amministrativa) all’agire dell’amministrazione consegua un danno alla stessa provocato da un comportamento illecito del funzionario agente, questi viene chiamato a rispondere nei confronti della persona giuridica di cui ricopre l’ufficio.
Ora il momento giuridicamente rilevante per accertare se il comportamento del pubblico dipendente sia stato o meno conforme ai doveri d’ufficio è quello in cui i suoi atti o la sua attività vengono (o debbono venire) sottoposti a verifica nell’ambito di articolazioni tipiche dell’organizzazione della pubblica amministrazione o del procedimento amministrativo.
Forme di controllo o di verifica dell’attività dei pubblici amministratori e dipendenti sono puntualmente previste da norme di organizzazione o da norme sui vari procedimenti amministrativi (si pensi in particolare al procedimento dell’evidenza pubblica per i contratti della P.A.) emanate in attuazione di principi anche di livello costituzionale. In questa sede si attua la differenziazione tra attività del pubblico dipendente (che viene sottoposto a verifica) e posizione della P.A. che esercita poteri di verifica.
Nell’esercizio della funzione di verifica diviene, pertanto, conoscibile per la P.A., in forza di specifiche norme giuridiche, il comportamento illecito del soggetto agente.
Naturalmente, essendo la verifica prevista in forme temporalmente cadenzate da specifiche norme, il mancato esercizio del potere ricade sulla P.A., essendo comunque conoscibile a quel momento il comportamento illecito.
La prescrizione, pertanto, decorre dal momento in cui è nelle modalità sopradescritte conoscibile il comportamento illecito del soggetto agente salvo che, ovviamente, detto comportamento sia stato comunque anteriormente conosciuto dalla P.A..
D’altro canto l’esigenza della conoscibilità del comportamento illecito di propri organi causativo di danno attraverso una verifica in posizione dialettica tra amministratori e soggetti per i quali essi agiscono è comune anche alle persone giuridiche ed in particolare alle società commerciali.
Secondo parte della giurisprudenza della Corte di Cassazione (cfr. n. 634/1965) il termine quinquennale di prescrizione, previsto dall’art. 2949 c.c., al quale è soggetta l’azione di responsabilità della società contro i loro amministratori decorre dalla deliberazione assembleare che ai sensi dell’art. 2364 n. 4 c.c. autorizza l’esercizio dell’azione.
Altra parte della giurisprudenza (cfr. Cass. n. 3887/1969) ritenendo che il termine quinquennale previsto dall’art. 2949 c.c. decorra dal fatto dannoso compiuto dall’amministratore, afferma che il decorso di tale termine è sospeso finchè gli amministratori sono in carica.
In ambedue i casi viene in rilievo, se pure con diverse modalità, la possibilità concreta per la società e per i soci di conoscere il comportamento illecito dei propri amministratori.
Quanto al profilo oggettivo va ricordato che nel campo dei diritti di credito il termine iniziale della prescrizione coincide con il momento in cui la prestazione dovuta è esigibile dal creditore. In tal senso la giurisprudenza della Corte di Cassazione (cfr. per tutte n. 1306 del 15 marzo 1989) precisa che il concetto di fatto da cui decorre il termine di prescrizione non deve considerarsi ristretto all’azione od omissione, ma deve essere esteso all’evento, la cui certezza ed attualità integra la responsabilità.
In detti termini va letta la norma di cui ai commi 2 e 2 ter dell’art. 1 della L. n. 20/1994 e successive modificazioni, secondo la quale il diritto al risarcimento del danno si prescrive in ogni caso in cinque anni.
In proposito queste Sezioni Riunite (sentenza n. 7/2000/QM del 24 maggio 2000) hanno già precisato che l’azione di responsabilità del Procuratore regionale della Corte dei conti è condizionata nella sua esperibilità, tra l’altro, da una domanda diretta ad ottenere il risarcimento di un danno patrimoniale ossia il ristoro di una diminuzione del patrimonio dell’ente.
Si deve, perciò, trattare di un danno economicamente valutabile, il quale abbia inciso sull’Ente depauperandone il patrimonio (attraverso la distruzione, sottrazione, perdita di un bene, l’indebita erogazione di una somma di denaro ecc.).
Sotto il primo profilo si deve ricordare che in materia di opere pubbliche la legge ed il regolamento sulla contabilità generale dello Stato e numerose disposizioni legislative in materia di pubblici appalti disciplinano minutamente le operazioni necessarie per la realizzazione dell’opera pubblica, dal momento nel quale l’opera viene deliberata sino a quello in cui essa viene collaudata.
Le norme in parola prevedono, infatti, una serie di atti amministrativi, anteriori o successivi alla formazione del contratto di appalto, i quali sono collegati tra loro in successione logica e teleologica, in quanto sono tutti in funzione dell’effetto finale da raggiungere e costituiscono nel loro insieme il procedimento amministrativo previsto per la realizzazione di pubblici appalti.
Pertanto, sotto il profilo della conoscibilità del fatto causativo del danno, l’accertamento dialettico del comportamento del pubblico dipendente può avvenire nella sequenza procedimentale secondo le articolazioni in essa previste ed in relazione all’atto o all’attività che si assumono causative del danno e nella cui adozione o espletamento è stato tenuto il comportamento illecito.
Quanto all’attività va, poi, ricordato che l’Amministrazione appaltante non si limita ad intervenire alla fine dei lavori per collaudarli e constatarne a posteriori la rispondenza alle norme e ai criteri tecnici che devono presiedere alla loro esecuzione, ma interviene nel corso dei lavori, spettando a funzionari tecnici dell’amministrazione la vigilanza sui lavori e sull’appaltatore (cfr. poteri dell’ingegnere capo o dal direttore dei lavori previsti dal r.d. 25 maggio 1895, n. 350).
Anche l’attività tecnica può, pertanto, essere assoggettata a verifica non solo al momento del collaudo, ma anche in corso d’opera, salva in ogni caso la responsabilità dell’appaltatore di eseguire l’opera in conformità ai patti contrattuali e alle regole dell’arte.
Sotto il secondo profilo va, intanto, ricordato che, per quanto riguarda obblighi e diritti che scaturiscono dal contratto di appalto per le parti contraenti, l’obbligazione fondamentale dell’amministrazione appaltante è quella di pagare il corrispettivo a determinate scadenze ed anche mediante anticipazioni, talune delle quali legate a verifiche tecniche dei lavori eseguiti.
Il pagamento del corrispettivo nei tempi e nei modi previsti dal contratto e dalle norme sui lavori pubblici è per l’Amministrazione adempimento di una obbligazione e quindi comportamento non solo lecito ma dovuto (debito dell’Amministrazione).
Di conseguenza perché il pagamento del corrispettivo costituisca danno antigiuridico è necessario che il pagamento stesso sia avvenuto in forza di un fatto giuridico illecito, che può essere costituito sia da un comportamento dell’appaltatore sia dal comportamento di un soggetto legato da rapporti di servizio con l’Amministrazione (ovvero dal concorso di comportamenti di ambedue i soggetti).
L’antigiuridicità del fatto causativo è essenziale ai fini della qualificazione della illeicità del danno in quanto conseguenza di un atto lesivo dell’altrui interesse. Pertanto diversi debbono essere rispettivamente il soggetto autore ed il soggetto passivo del danno, con la conseguenza che rispetto all’azione di responsabilità amministrativo-contabile il pagamento di una somma nell’ambito del contratto di appalto può costituire danno solo se e in quanto il comportamento asseritamene illecito non venga più imputato all’Amministrazione ma venga dialetticamente valutato nella differenziazione tra i due soggetti.
Il pagamento, poi, in quanto totalmente o parzialmente non dovuto segna il momento della diminuzione patrimoniale dell’Ente e quindi, della lesione del suo interesse patrimoniale.
Nel concorrere di due sopradescritti elementi ricorrono per l’Amministrazione le condizioni per far valere il proprio diritto, e il loro verificarsi segna l’esordio della prescrizione.
Peraltro il pagamento di somme all’appaltatore nel corso della costruzione di un’opera pubblica costituisce in una pluralità di evenienze anticipazione del corrispettivo recuperabile in sede di collaudo e di definizione dell’assetto di interessi tra amministrazione appaltante ed appaltatore. In tali casi al pagamento non consegue una diminuzione patrimoniale definitiva dell’ente pubblico qualificabile come danno certo ed attuale.
Invero nell’appalto di opere pubbliche il collaudo non persegue soltanto il fine di controllare l’esecuzione dell’opera e la sua corrispondenza con il progetto e con il contratto, ma investe anche la liquidazione finale del corrispettivo dovuto all’appaltatore e la risoluzione dei quesiti, delle domande e delle riserve proposte dall’appaltatore.
Il collaudo di opere pubbliche è in sostanza un procedimento amministrativo strumentale (costitutivo di certezze nel senso che le parti sono per l’avvenire tenute alle risultanze dell’accertamento della conformità dell’opera) che richiede sia l’emissione del c.d. certificato di collaudo, nel quale viene espresso il giudizio finale del collaudatore intorno all’opera e viene liquidato il corrispettivo spettante all’appaltatore, sia l’approvazione del collaudo da parte dell’amministrazione, che esprime sostanzialmente l’accettazione dell’opera da parte del committente e rende definitiva la liquidazione del credito dell’appaltatore.
È evidente allora che in sede di collaudo sono comunque conoscibili da parte dell’ente pubblico gli eventuali comportamenti illeciti del proprio dipendente ed il danno da questi causato è certo ed attuale.
Ciò non significa che anteriormente al collaudo, ed in relazione alla domanda che viene introdotta in giudizio, non possa essersi verificato un danno certo ed attuale ascrivibile ad un comportamento illecito del pubblico dipendente conoscibile o conosciuto dall’amministrazione. In questo caso il termine iniziale della prescrizione va fissato nel momento in cui vengono ad esistenza e concorrono ambedue gli elementi indicati.
Per quanto si è detto è invece da escludere che il solo pagamento di somme all’appaltatore possa segnare l’esordio della prescrizione.
Nel caso sottoposto all’esame delle Sezioni Riunite sembra doversi desumere dagli atti di causa che la conoscenza del comportamento illecito causativo di danno sia individuabile nel momento del deposito della perizia tecnica effettuata in sede di giudizio finale, momento nel quale il pagamento di somme è apparso costituire danno antigiuridico perché in parte non corrispondente a prestazioni rese dall’appaltatore ma certificate come corrispondenti al contratto dai tecnici comunali proposti all’opera.
Conclusivamente va affermato che l’ente pubblico appaltatore di opere pubbliche può far valere il proprio diritto nel giudizio di responsabilità amministrativo contabile quando abbia la possibilità di conoscere nel procedimento tipico relativo alle opere pubbliche ovvero abbia di fatto conosciuto il comportamento illecito del soggetto legato da rapporti di servizio ed il danno antigiuridico da questi causato sia certo ed attuale.
A tale momento va fissato l’esordio della prescrizione. In ogni caso il termine ultimo di esordio della prescrizione va fissato al momento del collaudo che rende definitivi i rapporti giuridici derivanti dal contratto di appalto, e quindi certo ed attuale il danno, e nel quale sono sottoposti a verifica le attività espletate anche dai pubblici dipendenti nel corso dell’opera.
P. Q. M.
La Corte dei conti a Sezioni Riunite, pronunciando sulla questione di massima indicata in epigrafe, afferma che in ipotesi di appalto di opere pubbliche, la prescrizione inizia a decorrere dal momento in cui sia conoscibile o effettivamente conosciuto da parte dell’amministrazione appaltante il comportamento illecito del soggetto legato da rapporto di servizio e il danno abbia assunto il carattere della certezza ed attualità.
In ogni caso siffatte condizioni esistono al momento della conclusione del procedimento di collaudo e salvo che non si siano verificate anteriormente con conseguenti effetti in ordine all’esordio della prescrizione.
Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio del 30 ottobre 2002.
 
 
L'ESTENSORE IL PRESIDENTE (Nicola MASTROPASQUA) (Francesco CASTIGLIONE MORELLI )

Anonimo ha detto...

super Mario !!!

Sei il mio eroe ,grazie di esistere .

Questi assessori stanno alla frutta,ormai la gente sta capendo cosa sono ,bravo !
continua questa battaglia

Mario Procaccini ha detto...

BRAVO GIANLUCA.-
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La Destra di Gallicano nel Lazio ha presentato,in data odierna, una proposta di istituzione dell' "Anagrafe Patrimoniale degli Eletti" .
Indirizzata al Sindaco,al Presidente del Consiglio Comunale,ai Capigruppo consiliari ed a tutti i Consiglieri comunali,tale proposta mira a ricevere quel segnale forte ed univoco di trasparenza ed onestà che crediamo debba venire da tutti coloro che sono coinvolti nella gestione, diretta o compartecipata, degli interessi pubblici.
Per questo motivo abbiamo ritenuto doveroso richiedere di estendere l'invito anche ai Presidenti e membri di C.d.A. di Enti, Associazioni, Fondazioni, Istituzioni, Consorzi, Aziende e Società a partecipazione comunale.
Se venisse accolta tale proposta,i suddetti soggetti dovrebbero fornire alla Segreteria Generale del Comune (con obbligo della custodia) una Dichiarazione contenente notizie circa diritti reali su beni immobili posseduti e su beni mobili iscritti nei pubblici registri (azioni di Società, quote di partecipazione, svolgimento di funzioni o di Amministratore di Società), nonché copia dell’ultima Dichiarazione dei Redditi presentata (entrambe le Dichiarazioni dovrebbero essere fornite anche relativamente alla posizione dell’eventuale coniuge non separato e dei figli conviventi, qualora questi ultimi acconsentissero),con l’obbligo anche di dichiarare le spese sostenute e le obbligazioni assunte per la propaganda elettorale ovvero l’attestazione di essersi avvalsi esclusivamente di materiali e mezzi propagandistici e messi a disposizione dal Partito o dalla formazione politica della cui lista hanno fatto parte.
L’Anagrafe del Patrimonio e dei Redditi sarebbe naturalmente pubblica. Chiunque potrebbe richiederne copia, la stessa Segreteria Generale del Comune ne dovrebbe curare la pubblicazione tramite stampa ed affissione all’Albo Comunale.
Questa proposta non nasce da bizzarre idee demagogiche o vessatorie,ma prendendo spunto da quanto già previsto per i comuni al di sopra dei 50.000 abitanti dalla legge del 5 luglio 1982 n. 441,ritiene doveroso ed auspicabile estendere (su base volontaria) tale strumento anche ai nostri concittadini rivestiti di incarichi di gestione degli interessi di noi gallicanesi.
E' giusto sapere se chi decide per noi cittadini goda della giusta,reale ed indispensabile imparzialità e non nasconda latenti conflitti di interesse .
Speriamo che tale proposta venga accolta con la dovuta attenzione e serietà e pubblicheremo molto volentieri,dandogli il giusto e doveroso risalto,le adesione di quanti volessero dare a tutta la cittadinanza un segnale reale di rinnovamento e trasparenza.
Tutti le altre cariche pubbliche o istituzionali che,o perchè hanno qualcosa da nascondere o perchè non ritengono doveroso per le responsabilità che rivestono condividere un simile principio di trasparenza,non potranno evitare una chiara condanna da parte nostra e di tutta la cittadinanza se ignoreranno o rifiuteranno di rendere trasparenti i loro guadagni ed i loro possedimenti mobili ed immobili.
La Trasparenza e l'Onestà non si predica solo a parole ma anche con gesti concreti e responsabili.
Gianluca Caratelli

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Anonimo ha detto...

ma quante stupidagini che scrive mario

Anonimo ha detto...

..allora facci sapere la tua... visto che quelle qui scritte sono stupidagini... siamo in democrazia (fino a prova contraria) quindi ognuno ha titolo per dire la sua!

Anonimo ha detto...

Sentenza n. 213/2008 del 3 settembre 2008 - Sezione giurisdizionale per la regione Basilicata - In tema di responsabilità del Sindaco per assenze ingiustificate (riunioni inesistenti) e indebita percezione di indennità di missione

Sent. n. 213/2008/E.L.


LA CORTE DEI CONTI
SEZIONE GIURISDIZIONALE DELLA BASILICATA
composta dai seguenti Magistrati:

Dott. Adriano FESTA FERRANTE Presidente

Dott. Vincenzo PERGOLA Consigliere (relatore)

Dott. Giuseppe TAGLIAMONTE Consigliere

ha pronunciato la seguente

SENTENZA
nel giudizio di responsabilità iscritto al n. 7159/EL del Registro di Segreteria, instaurato ad istanza della Procura regionale presso questa Sezione nei confronti di G.G., nato a XXX il XXX, rappresentato e difeso dall’avv. Imperio Napolitano, e presso il cui studio, sito in Potenza alla via Del Popolo n. 2 elettivamente domiciliato.

Visto l’atto introduttivo del giudizio ed esaminati tutti gli altri atti e documenti della causa;

Uditi, nelle pubbliche udienze del 10 luglio 2007 e 8 luglio 2008, con l’assistenza del Segretario Sig.ra Maria A. Catuogno, il Consigliere relatore dr. Vincenzo Pergola, il Pubblico Ministero nella persona del Procuratore regionale dott. Michele Oricchio, nonché l’ avv. Napolitano per il convenuto;

Ritenuto in

F A T T O
Riferisce la Procura che a seguito di esposto che denunciava presunte irregolarità poste in essere da alcuni amministratori pro tempore del comune di Omissis (PZ), consistite nell’aver posto in essere procedure fraudolente per utilizzare l’espletamento del loro mandato elettorale al fine di giustificare reiterate assenze dal lavoro e, nel contempo per incassare indennità di missione non dovute, delegava la Guardia di Finanza allo svolgimento di conferente attività d’indagine, in esito alla quale emergevano ipotesi di responsabilità a carico di G.G., che aveva ricoperto la funzione di Sindaco di Omissis dal 1999 al 2004. Il G., dipendente del Ministero dell’Istruzione, Università e Ricerca Scientifica ed assegnato come assistente amministrativo presso l’Istituto Comprensivo di Genzano di Lucania, è stato “comandato” presso il Consiglio Regionale della Basilicata ed assegnato alla Segreteria di un Gruppo Consiliare dall’1.2.2003 al 31.8.2005.

La G.d.F., nell’espletamento della delegata istruttoria, acquisiva copia della documentazione inerente l’indennità di trasferta corrisposta dal Comune per gli anni 2000/2005 a favore del sindaco e degli amministratori in carica in tale periodo, richiedendo, nel contempo, notizie alla Regione Basilicata – Ufficio del personale – circa l’attività lavorativa e gli orari di lavoro svolti dal G.G. dal giugno 1999 al giugno 2004. Inoltre presso il comune di Omissis (PZ) provvedeva ad acquisire copia della documentazione inerente i brogliacci dei verbali dei consigli comunali per gli anni 2003-2004, di Giunta comunale per gli anni 2002-2004, delle commissioni legge 219/81 per gli anni 2001 - 2005 e della commissione edilizia per gli anni 2003 - 2004.

Dal controllo incrociato della documentazione l’attore ha dedotto che il G. fra il 2003 ed il 2004 si è assentato immotivatamente dal lavoro presso la regione Basilicata per 175 giorni, mentre in molteplici altre occasioni ha ottenuto la corresponsione dal proprio Comune di indennità varie per missioni non risultate comprovate; inoltre nei giorni 1.4.2003, 8.4.2003 e 23.7.2003 il G. è risultato assente dal lavoro per malattia e, contemporaneamente, ha chiesto ed ottenuto la liquidazione di indennità di missione per trasferte anche fuori regione.

Il Requirente ha analiticamente riepilogato le emergenze probatorie, anche al fine di quantificare compiutamente il danno per cui ha esercitato l’azione risarcitoria, nel seguente prospetto:

ANOMALIE RISCONTRATE NELL’ ANNO 2003


DATA
PRESENZA REGIONE BASILICATA
MOTIVI ASSENZE
RISCONTRO ATTI DI GIUNTA


LIQUIDAZIONE TRASFERTE Comune di Omissisi
MOTIVI GIUSTIFICATIVI

DELLA TRASFERTA


[OMISSIS]

TOTALE ASSENZE ANNO 2003 NR.111 Totale spese per missioni EURO 2535,48

ANOMALIE RISCONTRATE NELL’ANNO 2004 [OMISSIS]

TOTALE ASSENZE ANNO 2004 NR.64 Totale spese per missioni EURO 756,13



Pertanto secondo la ricostruzione attorea per 175 giorni le assenze del G. dal lavoro presso la Regione non trovano giustificazione in attività connesse alla carica di Sindaco di cui vi sia traccia in atti ufficiali del Comune, mentre molte indennità di missione corrispostegli dal Comune sono contraddette dalla presenza dello stesso presso l’ente Regione ove doveva prestare la propria attività lavorativa. Emerge,quindi, secondo il Requirente “un comportamento sicuramente ben lontano dai canoni minimi di buona amministrazione e diligenza nell’espletamento delle funzioni pubbliche commesse, sicchè può affermarsi che ci si trova in presenza di una tipica ipotesi di responsabilità amministrativa connotata dal dolo o, quanto meno, dalla colpa grave da parte dell’odierno convenuto”.

Da tale comportamento sarebbe derivato un danno patrimoniale sia per le finanze comunali, sia per quelle della Regione, quantificato in citazione nei seguenti termini. Innanzitutto un aggravio per le casse Comunali, pari a Euro 3.291,61, a causa della liquidazione di indennità di missione non dovute perché le relative giustificazioni sono risultate o non corrispondenti a quanto realmente accaduto o contraddette dalla contemporanea presenza del predetto in più posti.

In secondo luogo il G., con le sue reiterate assenze dal lavoro, ha danneggiato l’ente regione: infatti il predetto in qualità di dipendente statale comandato presso la Regione ha percepito a titolo di retribuzione Euro 38.000,00 nel biennio di riferimento 2003/2004.

A fronte di tali compensi si è accertato che l’odierno convenuto si è assentato dal lavoro per un totale di 175 giorni adducendo quali motivi gli impegni connessi alla carica di Sindaco, che, secondo la ricostruzione attorea, si sono rilevati insussistenti, per cui emerge un’ulteriore partita di danno costituita dalla parte del compenso ricevuto per prestazioni non rese (assenze anno 2003 per un totale di giorni 111 e per i primi 6 mesi del 2004 per un totale di giorni 64). Pertanto tenendo conto del compenso percepito e dei giorni di ingiustificata assenza il danno subito dalla Regione è stato quantificato in € 12.188,88.

La Procura ha poi dedotto un’ulteriore partita di danno per la Regione evidenziando che: “La condotta fraudolenta posta in essere dal G. configura poi una tipica ipotesi di danno da disservizio per l’ente Regione che non si è potuto avvalere della sua prestazione lavorativa specificamente richiesta tramite procedura di “comando” dovendo così presumibilmente fare ricorso ad altre energie lavorative, distolte così dalle loro funzioni abituali......Si rammenta, infatti, che il «danno da disservizio» si caratterizza per l'inosservanza di doveri del pubblico dipendente (oggi canonizzati nel CCNL e nei codici di comportamento) con conseguente diminuzione di efficienza complessiva dell'apparato pubblico anche elettivo: esso è intrinsecamente connesso ad un pubblico servizio, e si verifica allorquando lo stesso è «desostanziato», per l'utenza delle sue intrinseche qualità, in una valutazione attuata secondo i parametri dell'efficienza e della efficacia.

In altri termini, nei casi di « disservizio », l'azione pubblica non raggiunge, sotto il profilo qualitativo, quelle utilità ordinariamente ritraibili dall'impiego di determinate risorse, così da determinare uno spreco delle stesse.

Pertanto tale danno può pacificamente trovare configurazione –

ad avviso di questo P.M. - nel caso di specie e va determinato nella

misura del 50% del danno da assenze ingiustificate e, dunque, in

€.6.094,44”.

Su tali presupposti il Requirente ha concluso chiedendo che il G. sia condannato al pagamento in favore del Comune di Omissis della somma di €.3.291,61 e della regione Basilicata della somma di €.18.283,32, il tutto maggiorato degli accessori di legge.

In difesa del sig. G. si è costituito in giudizio l’avv. Imperio Napolitano depositando l’11.6.2007 memoria con allegata copiosa documentazione, tra cui una nota con cui lo stesso G. trasmette al difensore i “brogliacci relativi alle commissioni consiliari tenute negli anni 2003/04.....da cui si evince che le commissioni, benchè convocate ritualmente, non venivano tenute per mancanza di numero legale. Era il Sindaco ad attestare tale situazione, utilizzando i brogliacci di cui sopra...”. Richiamando la depositata documentazione la memoria difensiva afferma che “Punto fondamentale da chiarire preliminarmente è che la Procura considera le sedute andate deserte come attività non giustificata non essendo stato redatto dal Segretario Comunale (per le riunioni di Giunta e di Consiglio) e dai funzionari (svolgenti funzioni di Segretario per le riunioni della commissione consiliare) il relativo verbale. Dall’esame degli allegati n. 3 e n. 4, risulta che nel Comune di Omissis, non appena il Sindaco constatava la mancanza del numero legale..... redigeva un’annotazione su appositi registri, tenuti dallo stesso Sindaco e oggi depositati all’archivio Comunale”. Sulla base della depositata documentazione, secondo la prospettazione difensiva, quindi trovano documentata giustificazione la maggior parte delle irregolarità contestate dall’attore, tranne poche che analiticamente evidenziate in un prospetto riassuntivo, portano a quantificare l’effettivo danno in € 1.114,60 da restituire alla Regione per assenze rimaste ingiustificate, € 557,20 per danno da disservizio alla Regione ed € 433,54 per trasferte da rimborsare al Comune di Omissis. Pertanto si afferma che “La suddetta somma di € 2.105,16 il G. mette a disposizione della Regione per € 1.671,60 e del Comune di Omissis per € 433,54”.

La memoria difensiva contesta anche il fatto che la Procura, nel calcolo delle assenze ritenute non giustificate , non ha tenuto conto dei permessi retribuiti per un minimo di 48 ore mensili che spettano al Sindaco “indipendentemente dagli altri permessi di cui ai precedenti commi dello stesso art. 79”. Circa i giorni di malattia contestati dall’attore, la difesa afferma che i depositati certificati medici attestano la presenza di patologie non invalidanti che non comportano la necessità di rimanere nel proprio domicilio, “consegue che anche le indennità di missione per i suddetti giorni, risultano legittime”.

Circa il richiesto ristoro per il c.d. “danno da disservizio”, la difesa, dopo essersi soffermata sulla difficoltà di quantificarlo, “pur non disconoscendosi l’astratta configurabilità di danni del genere”, contesta la quantificazione operata dall’attore, chiedendo “una prova rigorosa quanto al loro verificarsi”.

Dopo aver sostenuto che comunque il comportamento del non può ritenersi connotato da colpa grave, la difesa

conclude, in via gradata, per il rigetto dell’avversa domanda, ovvero per il riconoscimento del danno nella minore misura di € 2105,16, o in quella ritenuta dal Collegio.

Alla pubblica udienza del 10 luglio 2007 il difensore del convenuto ha innanzitutto ulteriormente illustrato le conclusioni svolte nell’atto scritto, confermando le conclusioni ivi rassegnate.

Anche il rappresentante del P.M. ha confermato l’impianto accusatorio illustrato nell’atto introduttivo del giudizio, richiamando giurisprudenza della Corte di Cassazione in base alla quale non andrebbe riconosciuta la fede privilegiata propria dell’atto pubblico alla documentazione depositata dalla parte convenuta, e depositando dichiarazioni del Segretario Comunale, del Responsabile del Servizio di Ragioneria e del Responsabile del Servizio Tecnico del Comune di Omissis, affermanti che agli atti dell’Ente Locale non risultano raccolte ufficiali dei verbali delle sedute delle Commissioni per gli usi civici e per i regolamenti. Il P.M. ha concluso chiedendo che sia pronunciata condanna relativamente a tutte le contestazioni avanzate in citazione.

Replicando all’intervento del P.M., l’avv. Napolitano ha evidenziato che non risulta avanzata querela di falso relativamente alle depositate certificazioni del Segretario Comunale e del Responsabile del Servizio Tecnico, precisando, poi, che la difesa non ha mai inteso attribuire la natura di atti pubblici ai depositati verbali che davano atto che le Commissioni consiliari erano andate deserte, ma che tali atti vanno considerati come indici di prova di quanto ivi affermato.

All’esito dell’udienza, non ritenendosi la causa ancora matura

per la decisione, fu emessa ordinanza istruttoria dal duplice contenuto; da un verso fu disposta l’acquisizione di una relazione del Segretario Comunale di Omissis da cui si evincesse, relativamente agli anni 2003/2004, quali erano le Commissioni consiliari formalmente istituite (trasmettendo gli atti con cui sono state istituite) e le Commissioni comunali previste per legge effettivamente operanti presso il Comune di Omissis; poi, considerato che gli argomenti difensivi erano supportati da copiosa documentazione depositata in fotocopia - documentazione peraltro oggetto di “contestazioni” da parte dell’attore anche perchè le risultanze di detta documentazione contrastavano con quanto emergeva dai documenti depositati dalla Procura riportanti le affermazioni dei funzionari comunali circa l’inesistenza agli atti dell’Ente locale di raccolte ufficiali dei verbali delle sedute delle Commissioni per gli usi civici e per i regolamenti – fu onerata la parte convenuta di depositare in originale ovvero in copia conforme all’originale depositato presso l’ufficio competente, tutta la documentazione già depositata in fotocopia.

Pervenuta in data 28 settembre 2007 la richiesta documentata relazione del segretario Comunale, con “nota di deposito” del successivo 2 ottobre la parte convenuta provvedeva a depositare “in orginale n. 2 registri contenenti i verbali delle Commissioni Consiliari anni 2003 e 2004 unitamente al verbale di consegna dei suddetti registri dal Sindaco p.t. a G.G. datato 07.08.2007”.

Alla successiva udienza dell’8.7.2008 il difensore del convenuto ha sostanzialmente ribadito e confermato gli argomenti difensivi già precedentemente ampiamente esposti; anche il rappresentante del P.M. ha confermato l’impianto accusatorio precedentemente formulato, chiedendo anche di depositare la documentazione relativa al “cartellino orologio” concernente le presenze del G. al lavoro presso la Regione Basilicata nel periodo all’esame. Il difensore del convenuto ha manifestato opposizione al predetto deposito in quanto tardivo.

Il Collegio, dopo essersi ritirato in Camera di Consiglio per decidere in ordine al contestato deposito - considerato che il difensore ha specificato di non richiedere un rinvio della trattazione per l’esame dei documenti della controparte ma di fare formale opposizione al deposito, considerato altresì che trattasi di documentazione inerente ai fatti di causa già richiamata nella depositata relazione istruttoria svolta dalla Guardia di Finanza su delega della locale Procura (cfr pag. 4 della relazione datata 15.5.2006) e che il deposito è stato richiesto dall’attore per replicare documentalmente all’osservazione difensiva inerente la circostanza che il P.M. procedente nel calcolare le assenze dal lavoro non giustificate non ha tenuto conto dei permessi retribuiti di 48 ore mensili che spettano al Sindaco ex art. 79, c.4, del d.lgs n. 267/2000 - con ordinanza dettata a verbale dal Presidente del Collegio ha deciso di ammettere il deposito documentale chiesto dall’attore.

Considerato in

D I R I T T O
A riscontro della propria tesi che sostiene che il G., durante il periodo in cui ha svolto la funzione di Sindaco di Omissis, si è assentato dal lavoro presso la Regione Basilicata per numerosissimi giorni, adducendo quali giustificazioni, ai sensi e per gli effetti previsti dall’art. 79 del d.lgs n. 267/2000, impegni presso il Comune che non trovano conferma negli atti dell’Ente Locale, l’attore ha depositato numerosa documentazione acquisita dalla Guardia di Finanza presso il Comune, nello svolgimento della delegata attività istruttoria. Detta documentazione consiste anche nei c.d. brogliacci delle riunioni del Consiglio Comunale, della Giunta Comunale, della Commissione Edilizia e della Commissione prevista dalla l.n. 219/1981 (interventi a favore delle zone colpite dal sisma del novembre 1980); poichè tra le cause di giustificazioni delle assenze dal lavoro presentate alla Regione dall’allora Sindaco G. vi era – oltre l’asserita partecipazione alle sedute dei predetti organi comunali - anche l’asserita partecipazione alla Commissione per gli usi civici ed alla Commissione per la redazione ed adeguamento dello Statuto e dei Regolamenti (d’ora innanzi per brevità indicata come Commissione Regolamenti), la puntuale istruttoria della Guardia di Finanza, a riprova dell’esaustività del lavoro svolto, si è anche data carico di acquisire le distinte comunicazioni del Segretario Comunale, del Responsabile del Servizio di Ragioneria e del Responsabile del Servizio Tecnico Manutentivo, affermanti che agli atti del Comune non risultano esistenti raccolte ufficiali dei verbali delle sedute della Commissione usi civici e di quella per i regolamenti (cfr le depositate note del 4 e 5 luglio 2007).

L’esame della succitata documentazione evidenzia che le affermazioni del Requirente trovano adeguato riscontro nella documentazione formalmente acquisita dalla Guardia di Finanza presso il Comune (vedasi verbale delle operazioni compiute in data 26.10.2005 con l’ausilio del Segretario Comunale) e depositata agli atti di causa dallo stesso attore.

Come più ampiamente riferito in fatto la difesa del convenuto, per giungere a giustificare la preponderante parte delle assenze contestate, ha depositato altrettanto copiosa documentazione. Essa essenzialmente consiste sia in numerosissimi verbali, redatti e sottoscritti esclusivamente dal Sindaco G., in cui si dava atto che la riunione della Giunta municipale ovvero delle Commissioni innanzi menzionate era “dichiarata deserta” per mancanza del numero legale, sia in “attestati” sottoscritti nella maggior parte dei casi dal Segretario Comunale ed in altri dal Responsabile del Settore Tecnico Manutentivo, relativi ad impegni del Sindaco nella Giunta ovvero in Commissioni Consiliari.

La documentazione depositata dalla parte convenuta è stata oggetto di “contestazione” da parte del Requirente che ha evidenziato che quanto ivi riportato contrastava nettamente con le risultanze della documentazione reperita presso l’Ente Locale e depositata.

In effetti, va rilevato che delle riunioni della Giunta, della Commissione Edilizia e della Commissione prevista dalla l.n. 219/1981 riportate negli atti depositati dal convenuto, non vi è alcuna menzione nei relativi verbali acquisiti presso il Comune dalla Guardia di Finanza, come innanzi specificato; parimenti quanto riportato nella documentazione di parte convenuta circa le riunioni delle Commissioni consiliari per gli usi civici e per i regolamenti “contrastava” con quanto affermato dai funzionari comunali circa l’inesistenza di raccolte ufficiali di verbali relativi a dette Commissioni.

Attesa anche la discordanza di dette risultanze documentali - evidenziata anche dall’attore senza però esercitare la facoltà prevista al riguardo dall’art. 10 del regolamento di procedura per i giudizi innanzi alla Corte dei Conti (R.D. n. 1038/1933) – come riferito in fatto fu emessa l’ordinanza istruttoria n. 6/2007 per (tra l’altro) onerare la parte convenuta di depositare in originale ovvero in copia conforme all’originale depositato presso l’ufficio competente, tutta la documentazione già depositata soltanto in fotocopia.

Con “nota di deposito” del 2 ottobre 2007 la parte convenuta provvedeva a depositare “in originale n. 2 registri contenenti i verbali delle Commissioni Consiliari anni 2003 e 2004 unitamente al verbale di consegna dei suddetti registri dal Sindaco p.t. a G.G. datato 07.08.2007”, chiedendo, poi, la fissazione dell’udienza di discussione. Va evidenziato che il convenuto non ha provveduto a depositare nella forma richiesta dall’ordinanza gli “attestati” del Segretario Comunale e del Responsabile del Settore Tecnico Manutentivo, precedentemente depositati in fotocopia.

Occorre, a questo punto, procedere all’esame della documentazione acquisita agli atti di causa, per valutarne l’efficacia probatoria in relazione alla decisione da adottare.

Iniziando dai due registri da ultimo depositati in originale, va

premesso che essi consistono in due quaderni di computisteria, uno relativo al 2003 e l’altro all’anno successivo, in cui esclusivamente il Sindaco G. dava atto che la riunione della Giunta municipale ovvero delle Commissioni innanzi menzionate (che l’istruttoria svolta dal Collegio con l’ordinanza n. 6/2007 ha accertato come formalmente istituite con regolare delibera consiliare) era “dichiarata deserta” per mancanza del numero legale; il registro del 2003 riferisce di 114 riunioni “dichiarate deserte”, mentre quello dell’anno successivo (che riporta solo i dati relativi al primo semestre, l’unico interessato dalle contestazioni attoree) riferisce di 53 riunioni deserte; nessuna notizia ivi si rinviene circa le riunioni regolarmente tenutesi.

La difesa “spiega” detta anomalia riferendo della prassi secondo cui “non appena il Sindaco constatava la mancanza del numero legale..... redigeva un’annotazione su appositi registri, tenuti dallo stesso Sindaco e oggi depositati all’archivio Comunale”.

Prescindendo da ogni commento sull’eclatante numero delle riunioni andate deserte - che deporrebbe per un marcato disinteresse degli altri amministratori e dei funzionari (che pur facevano parte delle Commissioni Consiliari) per il buon andamento dell’amministrazione comunale, atteso che disertavano con sorprendente frequenza le riunioni indette dal Sindaco - appare quanto meno “strana” (oltre che contra legem come si specificherà innanzi, atteso che il T.U. sugli Enti Locali affida ai funzionari di volta in volta presenti la funzione di verbalizzare le riunioni, cfr artt. 97 e 107) una distinta verbalizzazione delle sedute andate deserte della Giunta, della Commissione edilizia e della Commissione ex l.n. 219/1981 espletata dal Sindaco, mentre le riunioni degli stessi organi utilmente tenutesi trovano riscontro nei verbali tenuti dai competenti funzionari e rinvenuti dalla Guardia di Finanza agli atti dell’Ente, così come appare inspiegabile la circostanza che per le numerosissime riunioni andate deserte delle Commissioni usi civici e regolamenti il Sindaco provvedesse, con meticolosa puntualità, a procedere alla relativa verbalizzazione, mentre per le riunioni “non deserte” delle stesse Commissioni non esiste alcun verbale (cfr in tal senso le già richiamate dichiarazioni dei funzionari comunali).

Certamente ai predetti verbali non può essere riconosciuta l’efficacia privilegiata di un atto pubblico, atteso che non “provengono” dal soggetto a cui l’ordinamento attribuisce la funzione verbalizzante e quindi assume la veste di “pubblico ufficiale” (vedasi gli artt. . 97 e 107 del T.U. n. 267/2000), ma di ciò appare conscia anche la difesa del convenuto, che nell’intervento in udienza, ha specificato che non ha mai inteso attribuire la natura di atti pubblici ai depositati verbali redatti dal Sindaco, ma che tali atti vanno considerati come indici di prova di quanto ivi affermato.

Passando quindi a valutare tali “indici di prova”, va innanzitutto evidenziata che la giurisprudenza, anche con riferimento agli “atti pubblici” (e qui, come precedentemente detto, ci si trova di fronte ad atti di ben minore efficacia probatoria), ha sottolineato che, se il legislatore ha inteso impedire l’assunzione della prova testimoniale di soggetti interessati al giudizio (art. 246 c.p.c.) “a maggior ragione non può consentirsi l’ingresso nel processo di prove legali precostituite in proprio favore da soggetti che siano parti dello stesso giudizio (cfr

Corte dei Conti, Sez. Veneto n. 273/2003, in senso conforme

Cassazione, Sez. Lavoro n. 9147/2002).

Su questa premessa circa la quanto meno “poca attendibilità in astratto” delle prove precostituite in proprio favore, passando a valutare “l’attendibilità in concreto” dei verbali in argomento, va decisamente affermato che - indipendentemente dalle innanzi accennate perplessità che sorgono dall’abnorme numero delle sedute che annualmente erano dichiarate deserte e dall’inusualità (ed illegittimità) della prassi di verbalizzare in raccolte separate le sedute deserte e di quelle regolari, ovvero verbalizzare solo le deserte (Commissioni usi civici e regolamenti) - anche le numerosissime contraddizioni che emergono dai verbali depongono per la loro inattendibilità.

Per citare soltanto alcuni dei molteplici esempi che emergono al riguardo dall’esame degli atti, il 5.5.2003 il Sindaco G. “verbalizza” che la riunione della Commissione usi civici convocata per le ore 8,30 è dichiarata deserta alle ore 13,30, mentre per la stessa giornata chiede ed ottiene la liquidazione di una missione dalle ore 8 alle ore 15 in località Riofreddo (Potenza); il 27.6.2003 il G. “verbalizza” che la riunione della Commissione edilizia convocata per le ore 8,30 è dichiarata deserta alle ore 13,50, mentre per la stessa giornata chiede ed ottiene la liquidazione di una missione dalle ore 8 alle ore 15 a Matera; l’1.7.2003 il G. “ verbalizza” che un’imprecisata Commissione consiliare “è stata chiusa deserta sia nella mattina che nel pomeriggio”, e contemporaneamente risulta in missione a Potenza dalle ore 9 alle ore 18; il 5.3.2004 il G. “verbalizza” una seduta deserta di altra imprecisata Commissione consiliare dopo aver atteso dalle 8,15 alle 13,30, ma è la stessa parte convenuta ad aver depositato agli atti di causa la documentazione comprovante l’intervento ad un convegno a Bologna per cui il Comune gli ha corrisposto la missione dal 3.3 al 7.3.2004 (e detta documentazione sarà, in seguito, ritenuta idonea dal Collegio a giustificata la liquidazione della missione). Uguali esempi potrebbero farsi relativamente ai giorni 1.8.2003, 5.8.2003, 22.9.2003, 26.1.2004, e 13.2.2004, mentre in molteplici altri casi la discrasia tra quanto “verbalizzato” e le missioni si limita ad alcune ore, così da permettere al convenuto di dirsi (nella memoria difensiva) disposto a restituire alcune ore di missione.

Accertata quindi l’evidente inattendibilità dei predetti “verbali”, occorre passare all’esame dell’altra tipologia di documenti depositati (in fotocopia come si preciserà innanzi) a sostegno della tesi difensiva, cioè gli “attestati” sottoscritti nella maggior parte dei casi dal Segretario Comunale ed in altri dal Responsabile del Settore Tecnico Manutentivo, relativi ad impegni del Sindaco nella Giunta ovvero in Commissioni Consiliari.

Circa i predetti attestati può essere comunque interessante ricostruire come essi venivano redatti. Il Segretario Comunale dell’epoca, sentito sul punto dalla Guardia di Finanza delegata alle indagini, ha dichiarato che essi “venivano predisposti dallo stesso G., compilati su modelli stampati in suo possesso e mi venivano presentati per la firma, io mi limitavo a firmare l’attestato, il quale alcune volte mi veniva presentato già con la data della seduta e dalle verifiche da me effettuate saltuariamente trovavano riscontro nei verbali dei brogliacci. Alcune volte invece, mi venivano sottoposti alla firma dei prestampati in bianco, i quali erano successivamente compilati a cura dello stesso G.. Voglio precisare inoltre che non ho rifiutato la firma di questi modelli in bianco che lo stesso mi sottoponeva, in quanto vi era alla base un rapporto di fiducia e soprattutto confidavo in una seria e corretta gestione da parte sua per quanto concerneva la compilazione degli stessi modelli” (cfr. verbale di audizione dell’11.1.2007).

Ma, indipendentemente da quanto innanzi riferito, quello che conta in punto di diritto relativamente alla soluzione della vertenza all’esame, è un ulteriore aspetto. Come precedentemente già riferito, con l’ordinanza istruttoria n. 6/2007 adottata in esito alla precedente udienza, il Collegio aveva onerato la parte convenuta di depositare in originale ovvero in copia conforme all’originale depositato presso l’ufficio competente, tutta la documentazione già depositata soltanto in fotocopia. La parte onerata ha ottemperato relativamente ai c.d. “verbali del Sindaco”, ma nulla ha trasmesso o precisato relativamente ai suddetti attestati precedentemente depositati soltanto in fotocopia. Pertanto il Collegio ritiene di dover decidere senza tener in alcun conto

la predetta documentazione, in quanto non depositata nelle forme

richieste (cfr Sez. Emilia Romagna n. 49/2007/IP).

Conseguentemente, se da un verso emerge chiara conferma

della tesi attorea che parla di comportamento fraudolento

nell’utilizzare la carica di Sindaco per assentarsi illegittimamente dal lavoro (l’eclatante numero di casi di asserita contemporanea presenza in più luoghi e quanto altro innanzi riferito depongono in tal senso), da altro verso emerge che la verifica della giustificazione delle assenze dal lavoro presso la Regione va condotta alla luce della documentazione “ufficiale” reperita presso il Comune e di quella prodotta nella forma richiesta dalla parte convenuta.

Quindi, iniziando dall’anno 2003, nell’ambito dei 111 giorni di assenza produttrici di danno individuati dall’attore nell’articolata tabella riportata nella parte in fatto, vanno invece ritenuti “giustificati” i seguenti 8 giorni per i motivi appresso indicati:

- - 12 marzo 2003: esiste verbale di Giunta nel brogliaccio del Segretario comunale;

- - 1 aprile, 8 aprile e 23 luglio 2003: il convenuto ha depositato copia conforme all’originale del certificato medico attestante malattia, a suo tempo presentato agli Uffici regionali; al riguardo va precisato che, a norma dell’art. 10 del regolamento di procedura per i giudizi innanzi alla Corte dei Conti (R.D. n. 1038/1933), la previa verifica della falsità delle certificazioni mediche da parte del giudice ordinario, costituisce presupposto necessario per l’accertamento dell’illiceità dell’assenza e sussistenza del conseguente danno (in tal senso cfr

Corte dei Conti Sez. I n. 235/2007, ma vedasi anche Cassazione, Sez.

U., n. 4479/1988);

-2 luglio, 2 ottobre e 20 novembre 2003: esiste verbale di

Giunta nel brogliaccio del Segretario comunale;

- - 10 dicembre 2003: esiste verbale di conferenza di servizio presso la Regione Basilicata, in cui è intervenuto il G..

Passando ad esaminare l’anno 2004, nell’ambito dei 63 giorni di assenza ingiustificati specificamente individuati dall’attore nella tabella (evidentemente il numero di 64 poi indicato in citazione in occasione della quantificazione del danno è frutto di mero errore materiale), va invece ritenuto “giustificato” il giorno 20 gennaio per il documentato intervento del G. alla conferenza di servizio presso la Regione Basilicata.

Passando, quindi, alla determinazione del danno prodotto alla Regione per le assenze prive di adeguata giustificazione, relativamente all’anno 2003 esso ammonta a € 8.011,11 (compenso annuo € 28.000 : 360 x 103 giorni non giustificati), mentre per il 2004 ammonta a € 3.444,44 (compenso semestrale € 10.000 : 180 x 62 giorni non giustificati); il totale pertanto ammonta a € 11.455,56.

Nè a diverse conclusioni può portare l’osservazione difensiva che la Procura, nel calcolo delle assenze ritenute non giustificate , non ha tenuto conto dei permessi retribuiti per un minimo di 48 ore mensili che spettano al Sindaco “indipendentemente dagli altri permessi di cui ai precedenti commi dello stesso art. 79”. Infatti la documentazione relativa al “cartellino orologio” concernente le presenze del G. al lavoro presso la Regione Basilicata nel periodo all’esame, conferma che le giornate considerate nell’ambito delle 48 ore di assenza ex art. 79, c. 4, del T.U.EE.LL. non sono state “contestate” dal Requirente ed infatti non sono indicate nella più volte richiamata tabella che riepiloga le contestazioni attoree. A mero titolo di esempio si veda la stampa del “cartellino orologio” relativo al maggio 2003 (mese in cui il G. non si è mai recato al lavoro, come in tanti altri mesi) ove le assenze imputate ai permessi di 48 ore, sono i giorni 8, 13, 15, 20, 29; la “tabella” elaborata dal Requirente (riportata “in fatto”) contesta, relativamente a maggio, 14 assenze ingiustificate in giorni differenti da quelli innanzi indicati, quindi l’attore ha tenuto conto delle legittime assenze effettuate ai sensi del più volte richiamato art. 79, c. 4.

Si può quindi passare ad esaminare le contestazioni attoree relative alle missioni non dovute.

La quanto meno estrema superficialità con cui il Sindaco ha onerato le finanze comunali delle spese per missioni, portano il Collegio ad una pronuncia di colpevolezza.

Molteplici i riscontri che emergono dagli atti in tal senso; indipendentemente dai numerosissimi casi già innanzi richiamati in cui lo svolgimento delle missioni appare in contraddizione con i c.d. “verbali del Sindaco”, vanno evidenziati casi in cui l’effettivo svolgimento della missione viene contraddetto dagli atti “ufficiali” dell’Ente Locale o da altra inequivocabile circostanza:

- - i giorni 24 febbraio, 3 marzo e 24 marzo 2003 il G. risulta presente al lavoro in Regione dalle ore 8 alle 14, ma nel primo

giorno risulta anche in missione proprio a Potenza ( sede di lavoro) dalle ore 8 alle 15, il secondo giorno risulta in missione a Roma per tutta la giornata (sino alle 23), ed il terzo giorno risulta ancora in missione a Potenza per tutta la mattina;

- - il giorno 9 giugno 2003 risulta in missione a Pignola (dalle ore 15 alle 21), il successivo 18 giugno in missione a Rifreddo (orario dalla 15 alle 22) ed il 10 settembre 2003 in missione a Bari (orario dalla 15 alle 22), ma i verbali delle sedute della Giunta, acquisiti dalla Guardia di Finanza, attestano la partecipazione del Sindaco alle sedute dell’organo comunale tenutesi nel pomeriggio (con inizio alle ore 18 nel primo caso ed alle ore 16 negli altri due);

- - le missioni svolte a Potenza il 2 ottobre 2003 (dalle ore 14,30 alle 21,30) ed il successivo 20 novembre (dalle ore 15,30 alle 21,30), sono inequivocabilmente contraddette dalle risultanze dei verbali della Commissione edilizia acquisiti dalla Guardia di Finanza (il G. risulta presente) che nel primo caso danno atto che i lavori della Commissione sono iniziati alle ore 18, nel secondo precisano che la Commissione è iniziata alle ore 16 ed è terminata alle ore 19;

- - il giorno 28 novembre 2003 il Sindaco risulta in missione a Rionero in Vulture dalle ore 9 alle 23, ma i verbali delle Riunioni del Consiglio Comunale acquisiti dalla Guardia di Finanza attestano la partecipazione del Sindaco alla riunione del Consiglio iniziata alle 17,45.

Per un’adeguata soluzione della fattispecie all’esame, è anche opportuno sottolineare le modalità con cui venivano liquidate le trasferte al Sindaco, accertate dalla Guardia di Finanza attraverso l’audizione della sig.ra Quagliano, Responsabile dell’Ufficio di Ragioneria del Comune, che vi provvedeva. Dal verbale di audizione personale dell’11.1.2006 si rileva che, interrogata sul punto, la predetta rispondeva che il G. “quando andava in missione, mi consegnava con cadenza bimestrale l’elenco delle trasferte effettuate, consistente in un foglio di carta scritto dallo stesso contenente le indicazioni relative al luogo, orario e giorno delle missioni compiute con allegati i docimenti fiscali che vi consegno”, ed alla domanda riguardante l’eventuale presentazione di documentazione, anche sotto forma di mera dichiarazione dello stesso Sindaco, che evidenziasse il motivo della trasferta, la sig.ra Quagliano rispondeva: “No, perchè presentava solo gli effetti relativi alle missioni effettuate non suffragate da autocertificazione, ed io provvedevo in funzione degli effetti alla liquidazione degli importi”.

Passando a trarre conclusioni da tutto quanto innanzi riferito, emerge che, oltre ai numerosi ed evidenti casi in cui lo svolgimento della missione è palesemente “contraddetto” dalla rilevazione del G. sul posto di lavoro in Regione ovvero dai “verbali ufficiali” rinvenuti agli atti del Comune, soprattutto assume rilievo la circostanza che il G. non ha prodotto a corredo delle sue richieste di liquidazione delle missioni i previsti atti che permettano di evidenziare i motivi della missione e quindi l’utilità per l’Ente locale (tranne pochi casi in cui tale documentazione è stata depositata dal difensore in occasione del presente giudizio). In assenza di tale prescritta documentazione il Collegio deve ritenere prive di qualsiasi utilità e quindi dannose per l’Ente locale tutte le missioni per cui non sono stati forniti i prescritti documenti evidenzianti i motivi della missione; come precedentemente accennato, le missioni per le quali il difensore del convenuto ha depositato la documentazione agli atti di causa in occasione della precedente udienza del 10.7.2007, sono le seguenti:

- - Bologna, dal 7.11 al 9.11.2003, importo liquidato € 241,35;

- - Caserta, giorno 14.11.2003, importo liquidato € 195,40;

- - Rotonda, giorno 1.12.2003, importo liquidato € 115,50;

- - Potenza, giorno 10.12.2003, importo liquidato € 35,90;

- - Potenza, giorno 20.1.2004, importo liquidato € 35,90;

- - Bologna, dal 3.3 al 7.3.2004, importo liquidato € 295,63.

Quindi l’importo liquidato relativamente alle missioni poi “giustificate” ammonta a € 919,68, e sottraendo il predetto importo dal totale delle missioni contestate dall’attore, pari ad € 3.291,61, risulta che la somma che il G. deve risarcire al Comune è di € 2.372,93.

Resta, infine, da esaminare la parte di domanda attorea relativa al risarcimento del c.d. danno da disservizio, a cui la difesa ha replicato “pur non disconoscendosi l’astratta configurabilità di danni del genere”, chiedendo “una prova rigorosa quanto al loro verificarsi”. Osserva il Collegio che in effetti l’attore non ha fornito alcuna prova dell’esistenza in concreto di un pregiudizio patrimoniale in tal senso, nè in citazione (ove si dice che la Regione “non si è potuta avvalere della sua prestazione lavorativa....dovendo così presumibilmente fare ricorso ad altre energie lavorative), nè in occasione dell’intervento in udienza (ove ha replicato che il danno è in re ipsa attesa la mancata prestazione lavorativa). La tesi del Requirente, pur articolandosi in un discorso di indubbia coerenza logica, rimane tuttavia nell’ambito di presunzioni e congetture che, per quanto razionali e verosimili, non sono sufficienti a ritenere adempiuto l’onere della prova dell’esistenza in concreto di un danno da disservizio. La giurisprudenza della Corte dei Conti, ancorchè in evoluzione relativamente a tale ipotesi di danno di relativamente recente costruzione e che presenta indubbie difficoltà probatorie, ha tuttavia precisato con costanza alcuni aspetti, sottolineando che la determinazione dell’ammontare del danno da disservizio in via equitativa ai sensi dell’art. 1226 c.c., è consentita nel presupposto, però, che l’esistenza del danno sia stata preliminarmente e compiutamente provata dall’attore, cui incombe il relativo onere (cfr Sez. III n. 176/2004). Nel caso all’esame, quindi, non essendo stata fornita prova dell’esistenza di un danno da disservizio, il convenuto va mandato assolto relativamente a tale specifica richiesta risarcitoria.

Conclusivamente il convenuto va condannato a risarcire il danno prodotto alla Regione Basilicata nella misura di € 11.455,56, ed il danno prodotto al Comune di Omissis nella misura di € 2.372,93, il tutto aumentato degli accessori di legge, come da richiesta attorea.

Le spese di giustizia seguono la soccombenza.

P.Q.M.

La Corte dei Conti, Sezione Giurisdizionale per la Regione Basilicata, ogni contraria domanda ed eccezione respinte:

a) a) Condanna il convenuto G.G. a risarcire il danno provocato alla Regione Basilicata nella misura di € 11.455,56, ed il danno prodotto al Comune di Omissis nella misura di € 2.372,93; le predette somme vanno aumentate della rivalutazione monetaria, oltre agli interessi legali che sono dovuti dalla data della presente pronuncia e sino al soddisfo;

b) b) Le spese di giustizia seguono la soccombenza e vengono determinate nella misura di € 958,08=

Euro Novecentocinquantotto/8=.

Così deciso in Potenza, nella Camera di Consiglio dell’8 luglio 2008.

Depositata in Segreteria il 03.09.2008

Anonimo ha detto...

Sentenza n. 343/2008 del 24 luglio 2008 - Sezione Prima centrale di Appello - In tema di responsabilità in solido di medico e farmacista per iperprescrizione di farmaci e false attestazioni nelle richieste di rimborso

Sentenza n. 343/2008/A


REPUBBLICA ITALIANA

= ° =

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE DEI CONTI
SEZIONE PRIMA GIURISDIZIONALE CENTRALE

composta dai seguenti magistrati:

Dott. Giuseppe DAVID Presidente

Dott. Davide MORGANTE Consigliere

Dott. Rocco DI PASSIO Consigliere

Dott.ssa Cristina ZUCCHERETTI Consigliere

Dott.ssa Rita LORETO Consigliere relatore

ha pronunziato la seguente

SENTENZA

Nel giudizi di appello iscritti ai nn. 24488 e 24518 del Registro di Segreteria, promossi rispettivamente dai signori M. F., rappresentato e difeso dagli Avv.ti Gianfranco Paneri del Foro di Genova e Sergio Russo, elettivamente domiciliato presso il secondo in Roma, Via di Ripetta n. 22 e G.P.S., rappresentato e difeso dall’ Avv. Susanna Carraro, presso il quale è elettivamente domiciliato in Roma, Viale Mazzini n. 123;

avverso la sentenza n. 1029/2005 in data 04.02.2005 - 21.07.2005 della Sezione Giurisdizionale Regionale per la Liguria;

Visti gli atti e documenti della causa;

Uditi, nella pubblica udienza del 12 febbraio 2008, il Consigliere relatore dott.ssa Rita Loreto, l‘Avv. Sergio Russo per M. F. ed il Pubblico Ministero in persona del Vice Procuratore Generale dott. Alfredo Lener, assente la difesa dell’appellante S.;

Ritenuto in

FATTO

Con atto di citazione depositato il 13 ottobre 2004 il Procuratore Regionale presso la Sezione Giurisdizionale della Corte dei conti per la Liguria citava in giudizio il dr. G.P.S., quale medico di medicina generale di base in Bordighera, a rapporto convenzionale con il Servizio Sanitario Nazionale, nonché il dr. M. F., in qualità di farmacista titolare dell’omonima farmacia, per sentirli condannare al pagamento, in solido, della complessiva somma di Euro 9.373,57, oltre rivalutazione monetaria, interessi e spese di giudizio, ritenendoli responsabili del corrispondente danno erariale subito dalla Azienda Sanitaria Locale n. 1 Imperiese, e per essa dal S.S.N., cagionato dai convenuti in concorso doloso tra loro: il primo, per aver prescritto all’assistito G. P. quantità di ossigeno gassoso in eccedenza rispetto alle effettive necessità del medesimo, il secondo per aver spedito all’A.S.L., al fine di ottenerne il rimborso, ricette farmaceutiche sulle quali appariva falsamente attestata la consegna all’assistito di bombole di ossigeno gassoso in realtà mai consegnate, ovvero consegnate in quantità inferiore a quella indicata nelle ricette stesse.

La vicenda dannosa veniva alla luce nel febbraio 1998, a seguito di accertamenti autonomamente svolti dall’U.O. Farmaceutica Territoriale della ASL n. 1 “Imperiese”, che mettevano alla luce gravi irregolarità e incongruenze nella prescrizione di ricette farmaceutiche di ossigeno gassoso; in particolare veniva contestato a livello disciplinare al dr. S. G. P. la prescrizione al proprio paziente, sig. G. P., di un elevato numero di ricette di ossigeno gassoso negli anni dal 1995 al 1997 e spedite dalla Farmacia “F.” di Bordighera.

L’attività istruttoria avviata dalla Procura Regionale e i risultati della consulenza affidata dal P.M. al Tenente Colonnello Medico dr. Vincenzo Lombardi, specialista pneumologo presso l’Ospedale Militare di Milano, evidenziavano i seguenti aspetti di rilievo nella vicenda:

- al signor G. P. erano state prescritte dal dr. S. nel triennio preso in considerazione litri 1.398.800 di ossigeno, in totale assenza di piano terapeutico;

- le quantità prescritte erano risultate palesemente esorbitanti in rapporto alle condizioni di salute del paziente;

- il signor G. negli anni dal 1995 al 1997 necessitava di apporto supplementare di ossigeno solo in modo saltuario;

- nei precedenti ricoveri dovuti a insufficienza respiratoria transitoria per silicosi polmonare il G. era sempre stato trattato con terapia farmacologia, solo in due occasioni gli erano state somministrate piccole quantità di ossigeno e mai era stato dimesso con prescrizione di ossigenoterapia domiciliare;

- in definitiva il consulente della Procura regionale accertava che era corretto curare d’urgenza il paziente con terapia farmacologia, ma certamente non nella quantità prescritta dal dr. S. negli anni 1995-1997, bensì in una quantità pari a litri 259.000 nel triennio, anziché litri 1.398.000, con danno erariale pari (detratte le 4 ricette prescritte dal sostituto dr. B.) ad Euro 9. 373,57.

Il Collegio di prime cure ha valutato tali elementi ed altri che, sebbene indiziari, si presentavano certi, gravi e concordanti, per affermare il concorso doloso fra il dr. S. ed il Farmacista dr. F.. In particolare, emergeva dalle indagini istruttorie che:

- in assenza di piano terapeutico per il signor G. (che alla luce dei soddisfacenti risultati delle emogasanalisi effettuate in ospedale non aveva ragione di essere redatto) il dr. S. non avrebbe potuto prescrivere ossigeno liquido (previsto per terapie a lungo termine) nelle citate quantità a carico del Servizio Sanitario Nazionale, mentre poteva prescrivere ossigeno gassoso, di norma utilizzato nelle terapie d’urgenza e per trattamenti di breve durata, la cui disponibilità rientrava nella diretta competenza del Medico di Medicina Generale, aggirando il divieto di prescrivibilità a carico del S.S.N.;

- era stata accertata la consegna di ossigeno in quantitativi inferiori rispetto a quanto dichiarato sulle bolle: la circostanza era accertata valutando le dichiarazioni della moglie dell’assistito, la quale aveva affermato che le consegne di ossigeno avvenivano settimanalmente se veniva consegnata una bombola “piccola” (da lt. 3.000) o ogni due settimane se veniva consegnata una bombola “grande” (da lt. 6.000) e che veniva consegnata sempre una sola bombola, mentre tutte le bolle attestavano la consegna di due o quattro bombole ciascuna;

- tali dichiarazioni erano quindi del tutto incompatibili con i quantitativi prescritti nelle ricette e asseritamente consegnati. Risulta infatti che ogni singola ricetta trasmessa poi dal dr. F. alla ASL per il rimborso reca una prescrizione di lt. 12.000 di ossigeno gassoso per settimana (a fronte dei lt. 3.000 dichiarati dalla moglie del signor G.) e che le ricette sono state molto spesso compilate a gruppi di 2 o 3, emesse nella stessa data;

- quanto sopra non appare verosimile anche tenuto conto delle notevoli dimensioni di ogni bombola e del loro peso (dalle bolle risulta un carico di circa 100 kg. per ogni consegna) per cui è impensabile che la moglie dell’assistito ne potesse gestire in casa, ogni settimana, due da 6.000 lt. o addirittura 4 da 3.000 lt.;

- del pari non è credibile che il signor G. potesse consumare settimanalmente 12.000 litri di ossigeno gassoso, tenuto conto che ne aveva necessità solo per risolvere episodi acuti di ipossiemia;

- mancano molte bolle di consegna;

- dall’esame delle bolle di consegna rinvenute, si evince come sulla maggior parte delle stesse manchi la firma del destinatario, e ciò conferma la tesi secondo la quale la consegna del prodotto non veniva fatta, o comunque non veniva fatta nelle quantità e tempi indicati nella documentazione di carico;

- poiché le bolle di consegna tornavano indietro al farmacista dopo la consegna, e solo alcune erano firmate per ricevuta dal destinatario, ciò dimostrava che il dr. F. era al corrente che la maggior parte delle stesse si riferiva a materiale non consegnato;

- molte ricette presentavano, con numerazione consecutiva, delle correzioni nelle date di compilazione; in altre la data di consegna era anteriore a quella di spedizione; in altri casi venivano postdatate; in un caso addirittura sono state prescritte all’assistito due ricette nello stesso giorno (in data 25.9.1995, di cui una è stata successivamente corretta per postdatarla) per complessivi lt. 24.000 di ossigeno gassoso, in un periodo in cui l’assistito era ricoverato presso l’Ospedale di Bordighera (dal 23.09.1995 al 14.10.1995);

- molte ricette del ricettario del dr. S. risultavano compilate con una grafia che non appartiene al sanitario, e ciò, a detta dei primi giudici, non può che comprovare l’esistenza di un previo accordo fra medico e farmacia, al fine di far coincidere le cadenze temporali e le quantità di ossigeno da prescrivere con le date delle minori consegne di bombole da effettuare; e poiché è logico presumere che al G. venissero consegnate solo le ricette con la firma del dr. S., in questo modo la famiglia G. non poteva accorgersi che le prescrizioni erano esorbitanti rispetto al presidio farmaceutico consegnato;

- immediatamente dopo le contestazioni elevate al S. a seguito dell’indagine ispettiva dell’ASL si ebbe un pressoché totale azzeramento delle prescrizioni di ossigeno gassoso.

Gli elementi sopra descritti sono stati considerati dai primi giudici come dimostrazioni gravi, precise e concordanti dell’illecito accordo fra il dr. S. ed il dr. F., in virtù del quale al signor G. venivano prescritti, a sua insaputa, quantitativi di ossigeno ben superiori alle sue necessità terapeutiche e comunque effettuate consegne in quantità nettamente inferiore (anche se comunque sufficiente per le proprie esigenze) rispetto alle quantità prescritte dal dr. S. e spedite per il rimborso dal dr. F., allo scopo di lucrare la differenza di rimborso ottenuta dalla ASL del prezzo dell’ossigeno non recapitato.

Pertanto, ritenuta la solidarietà dei convenuti, la Sezione ligure, con sentenza n. 1029/05 condannava entrambi al pagamento della somma di Euro 9.373,57 oltre rivalutazione ed interessi.

Avverso la citata sentenza ha prodotto appello il dr. M. F., adducendo i seguenti motivi:

1) prescrizione dell’azione di responsabilità, posto che non vi è stato, a detta dell’appellante, alcun occultamento doloso del danno, in quanto il dr. F. ha provveduto ad inviare le ricette per il rimborso e quindi la P.A. è stata posta in condizione di conoscere, già all’epoca dei singoli rimborsi, le contestate irregolarità; pertanto non può valere quale dies a quo la data del 16 febbraio 1998, della relazione della U.O. Farmaceutica Territoriale con cui i risultati degli accertamenti ispettivi presso la USL sono stati comunicati al responsabile del dipartimento farmaceutico;

2) violazione e falsa applicazione dell’art. 1310 c.c., attesa la parziarietà dell’obbligazione risarcitoria, non avendo la sentenza fornito alcuna prova della diretta e cosciente intenzione di nuocere da parte dell’interessato e mancando il concorso causale nella produzione dell’evento dannoso che costituisce il presupposto della solidarietà;

3) erronea interpretazione delle risultanze probatorie, violazione e falsa applicazione degli artt. 2727 – 2729 c.c. e degli artt. 115 e 116 c.p.c., essendosi la Sezione ligure affidata a mere congetture sfornite di riscontro probatorio

4) nulla ha statuito il primo giudice sui vantaggi comunque conseguiti dall’Amministrazione interessata;

5) le eventuali discordanze fra le date di prescrizione medica e/o di spedizione della ricetta e le date di consegna delle bombole all’assistito era da ricollegare all’interesse e preoccupazione del dr. F. ad assicurare all’assistito il medicamento ritenuto necessario.

Conclusivamente il dr. F. ha chiesto:

- la sospensione della esecutività della sentenza impugnata;

- l’accoglimento dell’appello;

- in via subordinata la riduzione dell’addebito, per l’apporto di asseriti vantaggi conseguiti dalla Amministrazione;

- in via ulteriormente subordinata, la preventiva escussione nei confronti del dr. S.;

- in via istruttoria, ammettere 17 capitoli di prova per testi, con ammissione di CTU sia medico-legale che contabile per ulteriori accertamenti.

Con il patrocinio dell’Avv. Susanna Carraro in data 29 novembre 2005 il dr. G.P.S. ha depositato appello incidentale, elencando i seguenti motivi di impugnazione:

- prescrizione dell’azione di responsabilità, per insussistenza da parte dei convenuti, di comportamenti tali da nascondere le proprie asserite condotte dolose;

- insussistenza probatoria dei fatti, erronea interpretazione delle risultanze probatorie, violazione degli artt. 115 e 116 c.p.c.;

- utilizzo di presunzioni per giungere ad affermare la sussistenza di un accordo doloso;

- la presenza di ricette con grafie diverse è imputabile a patologia dell’appellante nota come “crampo dello scrivano” o “tunnel carpale”, che avrebbe indotto il sanitario a far scrivere le prescrizioni alla propria moglie;

- insussistenza o errata quantificazione del danno, in quanto l’importo da addebitare dovrebbe essere pari alla differenza tra l’ossigeno gassoso prescritto e l’ossigeno liquido prescrivibile per la patologia accertata.

Il dr. S. ha chiesto in definitiva in via principale che venga dichiarata l’intervenuta prescrizione di tutte le domande e, in subordine, il rigetto di tutte le domande avversarie; infine, una diversa quantificazione del danno imputabile.

Con successiva memoria difensiva depositata il 21 gennaio 2008 il dr. Mario F., con l’assistenza degli Avv.ti Gianfranco Paneri e Sergio Russo ha ulteriormente ribadito le argomentazioni ed i motivi di appello già proposti.

Nelle proprie conclusioni, depositate il 17 dicembre 2007, il Procuratore Generale ha respinto l’eccezione di prescrizione ed ha ritenuto sussistere, in fattispecie, ipotesi di occultamento doloso e conseguente applicabilità dell’art. 1310 c.c. Nel merito, ha sostenuto che i fatti esaminati in primo grado hanno carattere di accordo illecito univoco, e risultano confermati dalle deposizioni della moglie dell’assistito, per cui ha insistito per la conferma della sentenza appellata e per il rigetto delle istanze degli appellanti, anche in via istruttoria.

Alla pubblica udienza del 12 febbraio 2008 l’Avv. Sergio Russo per l’appellante M. F. ed il Pubblico Ministero, nella persona del Vice Procuratore Generale dott. Alfredo Lener, hanno concluso come in atti scritti.

Ritenuto in

DIRITTO

I due appelli vanno riuniti ai sensi dell’art. 335 c.p.c., essendo entrambi proposti avverso la medesima sentenza.

1. Il Collegio deve preliminarmente decidere sull’eccezione di prescrizione, sollevata da entrambi gli appellanti.

Per una maggiore comprensione della questione, occorre premettere che nei confronti del dott. G.P.S. è stato emesso un atto di costituzione in mora a cura della Procura Regionale della Liguria, notificato in data 4 febbraio 2003.

Nell’ottobre 2003 veniva formulato nei confronti di entrambi gli appellanti F. e S. l’invito previsto dall’art. 5 della legge n. 19/1994 con la quale essi, fra l’altro, sono stati espressamente costituiti in mora.

A seguito di tali atti, secondo la Sezione di primo grado, che ha condiviso la tesi della Procura attrice, la prescrizione sarebbe rimasta interrotta dal momento della genesi dell’evento lesivo (che viene fissata alla data del 16.02.1998) al momento della emissione dell’atto di citazione.

I primi giudici hanno precisato altresì che l’interruzione della prescrizione, ai sensi dell’art. 1310 c.c., si estende anche al dr. F., pur non essendo stato destinatario diretto perché, trattandosi nella specie di comportamenti dolosi, tesi ad ottenere un illecito arricchimento, i partecipanti sono legati da vincolo di solidarietà.

Il difensore del dr. F. ha eccepito che alla fattispecie non può essere applicata la norma di cui all’art. 1310 c.c., che prevede la estensione della interruzione della prescrizione ai debitori in solido, perchè a seguito della legge n. 20 del 1994 la responsabilità amministrativa è personale e ripartita.

L’eccezione difensiva non può essere condivisa.

Come già ha avuto modo di precisare la giurisprudenza di queste sezioni (Sez. Lazio, 21.11.2006, n. 2348; Sez. I Centrale, 31.05.2005 n. 184 e 01.07.2005 n. 223), la teoria della inapplicabilità dell’art. 1310 c.c. come sopra enunciata risente dei riflessi della nuova disciplina della responsabilità amministrativa, introdotta con la riforma degli anni 1994/1996 e caratterizzata da una forte personalizzazione; tuttavia bisogna precisare che la parziarietà di cui all’art. 1, co. 1-quater l. n. 19/1994 si riferisce alla responsabilità e non all’obbligazione: lo ha chiarito la S.C. di Cassazione quando ha precisato che, in tema di responsabilità civile risalente alla responsabilità di più soggetti, la solidarietà tra costoro nasce direttamente dalla regola generale dell’art. 2055, 1 co., c,c., secondo cui “se il fatto dannoso è imputabile a più persone, tutte solo obbligate in solido al risarcimento del danno” (sent. 17/11/2003 n.17372), che “la natura solidale dell’obbligazione è una questione di diritto sostanziale e, pertanto, prescinde dal punto se l’azione sia stata proposta contro i vari obbligati solidali o contro uno soltanto di essi” (sent. 18/05/2001 n. 6824), restando peraltro irrilevanti le distinte vicende processuali relative ai vari corresponsabili” (sent. 16/04/2004, n. 7294).

In altri termini la solidarietà nel debito, affermata dai primi giudici, è la naturale conseguenza dell’accertato concorso nella produzione del danno, che, nella fattispecie concreta, consiste nell’aver ognuno degli appellanti agito, consapevolmente, insieme agli altri, ancorché in ruoli diversi, per produrre l’illecito, per cui è causa.

Ciò, nel diritto civile, si traduce in una presunzione di solidarietà passiva, a norma dell’art. 1294 c.c., con la conseguenza che ognuno è tenuto verso il soggetto danneggiato per l’intero ed al medesimo titolo e che l’interruzione della prescrizione nei confronti di uno dei condebitori si estende a tutti gli altri (art. 1310 c.c.).

Senonchè per la responsabilità amministrativo-contabile l’applicabilità della disposizione dell’art. 1310 c.c., anche dopo la riforma del 1994 – 1996, viene riconosciuta limitatamente ai casi di comportamento doloso o di illecito arricchimento, per i quali l’art. 1, co. 1 – quinquies della legge n. 20/1994, come modificato dalla legge n. 639/1996, prevede la responsabilità solidale.

Peraltro questo orientamento è consolidato (cfr. Sez. I Centrale, n. 94 del 16.04.2007; n. 358 del 23.10.2007;n. 220 del 6.11.2006; n. 184 del 31.05.2005; Sez. II Centrale, n. 296 del 2007; n. 223 del 01.07.2005; n. 122 del 20.03.2006; n. 215 del 01.07.2004; n. 16 del 08.01.2001).

Venendo, più concretamente, alla controversia in esame, i primi giudici hanno convincentemente sostenuto che, nella specie, si versa in una ipotesi di occultamento doloso del danno; per come si sono svolti i fatti, la lesione del patrimonio pubblico è da mettere in relazione con comportamenti che presuppongono una condotta finalizzata alla dissimulazione ed al nascondimento, volti a sottrarre alla consapevolezza e conoscenza altrui il reale stato delle cose e che realizzano quindi la fattispecie del doloso occultamento.

Come ha rilevato la più attenta giurisprudenza di questa Corte, l'occultamento doloso previsto dalla citata disposizione non si configura "quale comportamento ulteriore richiesto da parte del soggetto ritenuto responsabile, ma è fatto obiettivo, da chiunque posto in essere, che impedisce la conoscibilità di un elemento essenziale per l'inizio dell'azione da parte del Procuratore Regionale e da ciò consegue che si rende attivabile, nel caso, il principio contra non valentem agere non currit praescriptio" (Sezione I centrale, n. 309 del 2004).

Più in dettaglio, si ritiene esaustiva la motivazione della sentenza di primo grado, che con le molteplici argomentazioni già illustrate nelle considerazioni in fatto ha dimostrato la natura dolosa dei comportamenti degli appellanti e, conseguentemente, la loro solidarietà.

Il Collegio condivide le motivazioni già richiamate, non rinvenendo validi motivi per discostarsene.

Pertanto, nella specie, la prescrizione comincia a decorrere, ai sensi dell'art. 1, comma 2°, della legge n. 20/1994, dalla data della scoperta del fatto dannoso occultato, che risale al 16.02.1998, data della relazione con cui il responsabile della U.O. Farmaceutica Territoriale dell’ASL n. 1 Imperiese aveva informato il Responsabile del Dipartimento Farmaceutico della stessa ASL sui risultati degli accertamenti ispettivi svolti nei confronti della Farmacia F..

Da tale data è cominciato a decorrere il termine prescrizionale, che poi la Procura ha interrotto, in data 4 febbraio 2003, con la notifica di un atto di costituzione in mora nei confronti del dr. S., recante tutti i requisiti (diffida, indicazione dei fatti, quantificazione del danno, riferimento agli articoli del c.c.) necessari per la costituzione in mora; interruzione che, in ragione della natura solidale dell’obbligazione, ha valore anche nei confronti del dr. M. F..

Ritiene in conclusione il Collegio che, avendo il giudice di primo grado ravvisato nel comportamento dei convenuti il dolo ed essendo incontrovertibile che la sussistenza della responsabilità solidale tra i concorrenti nella produzione del danno che abbiano agito con dolo o a fini di illecito arricchimento comporta l’applicazione del principio della estensione della interruzione della prescrizione dettato dall’articolo 1310 c.c., l’eccezione della difesa va del tutto disattesa.

2. Quanto alla mancanza di legittimazione del Pubblico Ministero contabile ad interrompere la prescrizione con l’emissione dell’invito a dedurre, eccepita dagli appellanti, il Collegio osserva che da tempo la questione è stata risolta in senso positivo dalle Sezioni riunite della Corte dei conti con sentenza n. 14/QM/2000, affermando il principio per cui il P.M. può, con invito a dedurre, interrompere la prescrizione del diritto per il quale egli agisce nei confronti dei presunti responsabili dei danni erariali.

Quindi la citazione, notificata il 15 novembre 2004, deve considerarsi tempestiva.

3. Nel merito, i primi giudici hanno riconosciuto piena validità alla prova per presunzioni (ex artt. 2727 – 2729 c.c.) ed hanno attribuito valore di elementi indiziari gravi, precisi e concordanti ai fatti prima elencati, idonei a dimostrare l’accordo illecito, doloso, intervenuto fra i convenuti al fine di spartire fra loro il rimborso dell’ossigeno prescritto in eccesso rispetto alle esigenze del G..

Entrambi gli appellanti denunciano carenza probatoria e violazione degli artt. 115 e 116 c.p.c. nonché degli artt. 2727 e 2729 del c.c., ma tale motivo di appello non merita accoglimento.

Come ha correttamente rilevato il Procuratore Generale, nella prova per presunzioni il procedimento da seguire si articola in due momenti valutativi: in primis, occorre che il giudice valuti in maniera analitica ognuno degli elementi indiziari per scartare, da un lato, quelli che, presi singolarmente, rivestano i caratteri della precisione e della gravità, ossia presentino una positività parziale o perlomeno potenziale di efficacia probatoria; successivamente, il giudice deve procedere ad una valutazione complessiva di tutti gli elementi presuntivi isolati e accertare se essi siano concordanti e se la loro combinazione sia in grado di fornire una valida prova presuntiva, che magari non potrebbe dirsi raggiunta con certezza considerando atomisticamente uno o alcuni indizi.

In base a siffatta griglia interpretativa delle emergenze processuali, questo Giudicante osserva che la Sezione di primo grado ha esaminato fatti non suscettibili di diversa interpretazione (quali la abnorme prescrizione di ossigeno rispetto alle esigenze del paziente, la esistenza di ricette redatte con grafie diverse, la consegna di quantitativi inferiori a quanto dichiarato nelle bolle e gli altri elementi enunciati nella esposizione in fatto, cui si rinvia) nonché, a supporto probatorio, la testimonianza della moglie dell’assistito, dai quali, scartando ogni altra ragionevole soluzione neanche astrattamente prospettabile, non può che trarsi sul piano logico – giuridico la conclusione che vi sia stato un accordo illecito tra i convenuti in concorso tra loro al fine di conseguire il rimborso da parte della ASL del prezzo dell’ossigeno non consegnato.

4. Si osserva infine che la mole degli indizi, la loro concordanza, gravità e precisione non appaiono in alcun modo scalfite dalle contestazioni e controdeduzioni degli appellanti. A titolo esemplificativo si enunciano i seguenti elementi discordanti: la abnormità delle consegne, che risulterebbero pari a 12.000 litri di ossigeno gassoso per settimana, del tutto esorbitanti rispetto alle necessità dell’assistito; l’incongruenza delle ricette compilate anche a gruppi di tre alla volta ed emesse nella stessa data; le dichiarazioni della signora G., confermate anche alla Guardia di Finanza in data 23.09.2003, secondo cui ogni settimana perveniva un quantitativo non superiore a 3.000 litri; la mancanza, nella maggior parte delle bolle di consegna rinvenute, della firma del destinatario, a conferma dell’assunto secondo cui la consegna del prodotto non veniva fatta oppure non avveniva nelle quantità e nei tempi indicati nella documentazione di carico.

In considerazione della concordanza e della molteplicità di elementi di giudizio, la causa si presenta matura per la decisione; sono pertanto da respingersi le richieste istruttorie formulate dall’appellante F., non ravvisando il Collegio motivi di ulteriore approfondimento dei comportamenti illeciti rispetto a quanto già esaminato in primo grado.

5. In merito alla quantificazione del danno, si osserva che la prescrizione di ossigeno nella forma gassosa, più costosa, da parte del S. rispondeva alla precisa finalità di aggirare le limitazioni contenute nella nota C.U.F. in merito alla prescrivibilità a carico del S.S.N. dell’ossigeno liquido in assenza di piano terapeutico. Quindi non meritano accoglimento le richieste di una diversa quantificazione del danno, avendo già il Procuratore Regionale provveduto a scorporare dal quantitativo di ossigeno complessivamente prescritto (litri 1.470.800) il quantitativo rapportato all’effettivo fabbisogno dell’assistito (litri 259.200).

6. Debbono infine essere respinti tutti gli ulteriori motivi di appello siccome infondati o del tutto immotivati; in particolare, non vi sono prove di alcun tipo degli asseriti vantaggi che sarebbero scaturiti, in favore della Amministrazione danneggiata, dalla condotta illecita degli appellanti; né può accedersi, in ragione della connotazione dolosa della fattispecie, alla richiesta di preventiva escussione nei confronti del dr. S. o di riduzione dell’addebito.

Per le considerazioni che precedono gli appelli devono essere respinti, con conferma della sentenza impugnata e accollo a carico dei soccombenti delle spese del presente gravame.

P.Q.M.

La Corte dei conti – Sezione Prima Giurisdizionale Centrale –

definitivamente pronunciando, disattesa ogni contraria eccezione e deduzione,

- RESPINGE gli appelli in epigrafe, proposti da M. F.e G. P. S. avverso la sentenza n. 1029/05 della Sezione Giurisdizionale Regionale della Corte dei conti per la Liguria emessa in data 04.02.2005 – 21.07.2005.

- CONDANNA inoltre i predetti M.o F. e G. P. S., al pagamento delle spese processuali, sia del giudizio di primo grado, già liquidate in Euro 551,66, sia del presente grado di giudizio, che si liquidano in euro 134,36 (Centotrentaquattro/36).

- MANDA alla Segreteria per gli adempimenti di competenza.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio del 12 febbraio 2008.

L’ ESTENSORE IL PRESIDENTE

F.to Rita LORETO F.to Giuseppe DAVID



Depositato in Segreteria il 24/7/2008

IL DIRIGENTE LA SEGRETERIA

F.to Maria FIORAMONTI

Anonimo ha detto...

Sentenza n. 344/2008 del 25 luglio 2008 - Sezione Prima centrale di Appello - In tema di responsabilità di funzionario del servizio legale per omessa denuncia di danno erariale alla Procura contabile

REPUBBLICA ITALIANA 344/2008/A

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

CORTE DEI CONTI

SEZIONE PRIMA GIURISDIZIONALE CENTRALE

Composta dai seguenti magistrati:

Dott. Giuseppe DAVID Presidente

Dott. Davide MORGANTE Consigliere

Dott.ssa Piera MAGGI Consigliere

Dott.ssa Cristina ZUCCHERETTI Consigliere

Dott. Rita LORETO Consigliere relatore

Ha pronunziato la seguente

SENTENZA

Nel giudizio di appello iscritto al n. 24737 del Registro di Segreteria, proposto da F. C., rappresentato e difeso dagli Avv.ti Guido Romanelli ed Ernesto Pastorelli, anche in via disgiunta fra loro, ed elettivamente domiciliato presso lo studio del primo in Roma, Via Pacuvio n. 34 avverso la sentenza n. 11/2005 in data 22.06.2005 - 28.09.2005 della Sezione Giurisdizionale Regionale per la Valle d’Aosta;

Visti gli atti e documenti della causa;

Uditi, nella pubblica udienza del 18 marzo 2008, il Consigliere relatore dott.ssa Rita Loreto, l’Avv. Guido Romanelli per l’appellante ed il Pubblico Ministero dott.ssa Emma Rosati;

FATTO

Con atto di citazione depositato il 30 dicembre 2004 la Procura Regionale della Corte dei conti presso la Sezione Giurisdizionale per la Regione Valle d’Aosta conveniva in giudizio i signori Cristoforo CUGNOD, in qualità di responsabile della Direzione Bacini Montani della Regione, e F. C., responsabile del Dipartimento Affari legali e legislativi, per sentirli condannare al pagamento della somma di euro 84.639,17 in favore della Regione Valle d’Aosta.

La Procura imputava ai due funzionari di non aver denunciato il danno erariale derivato dalla soccombenza della Regione in un giudizio civile intentato dal signor Vittorio Cuorghi per un grave infortunio sul lavoro subito in un cantiere regionale.

La sentenza di condanna, in particolare, ravvisava elementi di colpevole negligenza nei confronti del personale della Regione Autonoma tanto sotto il profilo della violazione di generali regole di prudenza quanto sotto quelle della violazione di specifiche norme volte alla prevenzione degli infortuni. Nello specifico, si desumeva dagli atti che il direttore del cantiere nel quale si era verificato l’infortunio, sig. Dal Molin, dipendente regionale, aveva consentito al Cuorghi di adoperare un macchinario privo di dispositivi di sicurezza ed in condizioni non sicure, riportando quest’ultimo gravi lesioni permanenti ad un braccio.

La Regione Valle d’Aosta, condannata dal giudice del lavoro con sentenza n. 10/1999 del 21 gennaio 1999, nel maggio 1999 aveva liquidato la somma su indicata a titolo di risarcimento danni, ma né il dr. CUGNOD né il dott. C. avevano presentato denuncia alla locale Procura della Corte dei conti, lasciando decorrere il termine prescrizionale per l’esperimento della azione di responsabilità amministrativa nei confronti di coloro che avevano cagionato l’infortunio sul lavoro.

E difatti dalla documentazione acquisita in sede istruttoria risultava che il dott. F. C., coordinatore del Dipartimento legislativo e legale della Regione, facendo proprie le considerazioni del legale esterno, con nota del 2.03.1999 invitava la Direzione Bacini Montani dell’Assessorato al Territorio, ambiente ed opere pubbliche a porre in essere gli atti necessari per il pagamento ed a comunicare le decisioni assunte in ordine alla proposizione dell’appello, evidenziando tuttavia l’inopportunità di impugnare la sentenza poichè difficilmente poteva essere esclusa la responsabilità della Regione nel sinistro.

Il successivo 19 marzo 1999, con nota protocollo n. 3591, il dott. CUGNOD, responsabile della predetta Direzione, esprimeva parere negativo alla proposizione dell’appello e, con provvedimento dirigenziale n. 2615 del 18 maggio 1999, liquidava all’infortunato Cuorghi la somma di Lire 163.884.283, pagata lo stesso giorno con mandato n. 8192. Il C., a seguito della comunicazione di non appellare la decisione, archiviava la pratica e, solo in data 4 maggio 2004 la sentenza n. 10/1999 era trasmessa al Procuratore Regionale.

Con sentenza n. 11/2005 del 28.09.2005 la Sezione Giurisdizionale della Corte dei conti per la Regione Valle d’Aosta riconosceva che dalla sentenza del giudice del lavoro emergeva chiaramente la responsabilità del Direttore dei Lavori nella genesi dell’infortunio, e quindi riteneva il comportamento omissivo dei convenuti C. e C. connotato da colpa grave, per la notorietà della normativa vigente in materia di obbligo di denuncia, e in applicazione del potere riduttivo condannava entrambi al pagamento di euro 4.500,00 ciascuno, oltre interessi e spese di giudizio.

Avverso la citata decisione solo il dott. C. ha interposto appello, eccependo in sintesi:

- l’insussistenza del presupposto della maturazione del termine prescrizionale; difatti, se il fatto dannoso si considera verificato all’atto del pagamento, poiché il mandato è stato emesso il 31 maggio 1999, facendo decorrere il dies a quo dal pagamento residuavano ancora 27 giorni allorchè, in data 4 maggio 2004, il P.R. venne a conoscenza del fatto dannoso; e comunque, non meno di quindici giorni alla scadenza rispetto alla data di pagamento indicata in sentenza (mandato in data 19 maggio 1999): in ogni caso, in tempo utile per compiere atti interruttivi della prescrizione;

- la illegittima interpretazione, da parte dei primi giudici, delle norme che individuavano i soggetti obbligati alla denuncia, poiché si era ritenuto sussistente tale obbligo in capo a soggetti che non rivestivano posizioni gerarchiche nell’ambito dell’ufficio: secondo l’appellante siffatto obbligo di denuncia era azionabile solo da parte di dirigenti con posizioni apicali e limitatamente a fatti dannosi commessi da dipendenti ad essi sott’ordinati;

- in ragione di quanto premesso, poiché il fatto dannoso non era stato commesso da personale alle dipendenze del dott. C., nessun obbligo di denuncia si ravvisava a suo carico, bensì un semplice dovere di segnalazione del fatto dannoso al soggetto sovraordinato, il solo tenuto normativamente a trasmettere la notitia damni all’organo requirente contabile; e difatti il dr. C. segnalò il fatto al proprio sovraordinato, trasmettendo la sentenza di condanna alla Presidenza della Regione;

- l’assenza di colpa grave nel comportamento dell’appellante, per la difficile situazione organizzativa dell’ufficio all’epoca del suo insediamento, la novità dell’incarico ricoperto e la oggettiva difficoltà interpretativa del quadro normativo di riferimento.

Conclusivamente, il dr. C. chiedeva la riforma della sentenza impugnata e l’assoluzione da ogni addebito.

Con atto scritto depositato il 3 gennaio 2008 il Procuratore Generale ha respinto, debitamente motivando, tutte le eccezioni difensive dell’appellante, concludendo per il rigetto dell’appello e la condanna del C. anche alle spese del secondo grado di giudizio o, in subordine, in caso di proscioglimento, dichiarare compensate sia le spese di giustizia che quelle sostenute per il patrocinio legale e, in via ulteriormente subordinata, in caso di proscioglimento nel merito in assenza di colpa lieve, liquidare le spese sostenute per il patrocinio, ai sensi dell’art. 91 c.p.c.

Con ulteriore memoria depositata il 26 febbraio 2008 la difesa del dr. C. ha contestato le argomentazioni del Procuratore Regionale, ribadendo che nella fattispecie all’esame non sussiste un obbligo di denuncia nei confronti dell’appellante e che non può configurarsi neppure una responsabilità amministrativa per mancanza dell’elemento della colpa grave.

Alla pubblica udienza del 18 marzo 2008 l’ Avv. Romanelli per l’appellante ed il Pubblico Ministero, nella persona del Vice Procuratore Generale dott.ssa Emma Rosati, hanno concluso come in atti scritti.

DIRITTO

1. Il Collegio deve preliminarmente esaminare la rilevata insussistenza del presupposto della maturazione del termine prescrizionale alla data in cui il P.M. contabile venne a conoscenza della notitia damni, prospettata dalla difesa dell’appellante.

Come ha correttamente osservato il Procuratore Generale nell’atto conclusionale, con argomentazioni che il Collegio condivide, la circostanza che la sentenza del Pretore di Aosta sia pervenuta al Procuratore Regionale il 4 maggio 2004, quando residuavano ancora 15 o 27 giorni, tenendo conto della data di emissione del mandato di pagamento (18 o 31 maggio 1999), e dunque l’azione di rivalsa non si era ancora prescritta, non elide il nesso causale tra l’omissione di denuncia e la prescrizione dell’azione risarcitoria.

E difatti, seppur residuava uno spazio limitato per effettuare atti di costituzione in mora, deve tuttavia tenersi in debito conto la necessità, per la Procura Regionale, di ulteriori adempimenti istruttori che hanno fatto decorrere il termine prescrizionale. Il Requirente si è dovuto infatti basare su un documento probatorio, quale era, appunto, la sentenza del Pretore di Aosta, non circostanziato in maniera sufficiente per la emissione di un atto di citazione, sicchè si è trovato nella necessità di richiedere all’Amministrazione ulteriori documenti, che sono poi pervenuti solo il 22 giugno 2004, allorché l’azione nei confronti del responsabile principale si era ormai prescritta.

Rileva questo Collegio che pretendere, come fa l’appellante, che l’acquisizione, comunque avvenuta, da parte del Procuratore Regionale della “notizia damni” precluda l’insorgere di responsabilità discendenti dalla omissione di denuncia equivale a disconoscere la necessità della collaborazione dei pubblici apparati per l’attivazione del procedimento giurisdizionale diretto all’accertamento di responsabilità amministrative.

2. Del resto, la ineludibilità dell’obbligo di una tempestiva denuncia si desume, indirettamente, anche dalla fattispecie di responsabilità prevista dall’art. 1, comma 3, della legge n. 20/1994, che attiene a casi non soltanto di “omessa” ma anche di “ritardata” denuncia, cioè pervenuta alla Procura competente quando non è più tecnicamente possibile l’attivazione di iniziative giudiziali prima della scadenza del termine di prescrizione.

3. Quanto alla pretesa inesistenza di un obbligo di denuncia in capo all’appellante, la questione è stata approfonditamente affrontata dal Primo giudice, con motivazioni del tutto condivisibili, che non si ritiene pertanto di modificare.

La regola base in materia, desumibile dall’art. 53 del R.D. n. 1214/1934 e dall’art. 20 del DPR n. 3/1957, è che destinatari dell’obbligo di denuncia sono i soggetti sovraordinati all’autore del fatto dannoso.

Tale regola, per la quale sono tenuti alla denuncia i dirigenti per i fatti imputabili agli addetti agli uffici cui sono preposti, in virtù del potere di vigilanza che a questi compete nei confronti del personale che da essi dipende, è stata estesa ai dipendenti della Regione Autonoma Valle d’Aosta per effetto del richiamo operato dall’art. 66, comma 2, della L. regionale 28 luglio 1956 n. 3.

Va comunque chiarito che, per il citato art. 20 del DPR n. 3/1957, l’obbligo di denuncia, considerato il processo di riforma dell’organizzazione dei pubblici uffici, va inteso nel senso che incombe sui soggetti che, nella loro qualità di responsabili di un settore dell’Amministrazione, vengano a conoscenza di fatti produttivi di danni erariali, anche “a seguito di rapporto cui sono tenuti gli organi inferiori”.

Tale precisazione normativa fa sorgere un dovere di collaborazione – segnalazione dei “sottordinati” nei confronti dei vertici tenuti alla denuncia, con possibile coinvolgimento dei primi nella responsabilità per omissione.

In quest’ottica è da ritenere che i sempre più frequenti interventi legislativi volti ad individuare nuovi soggetti obbligati alla denuncia, anziché dimostrare una pretesa tassatività delle eccezioni alla regola del collegamento con la sovraordinazione gerarchica, siano da considerare come una conferma implicita di uno stretto raccordo dell’obbligo con il contenuto della denuncia, per cui sono obbligati tutti i soggetti, che si trovino in posizione apicale, i quali vangano in possesso, in ragione del loro ufficio, degli elementi per l’accertamento della responsabilità e la determinazione dei danni.

4. Venendo alla fattispecie in esame, risulta dagli atti che il dr. C.era a conoscenza della sentenza penale fin dal 1999 ma non si era affatto attivato, per ben cinque anni, per presentare denuncia alla Procura regionale competente.

Come ha rilevato la sentenza impugnata, il dr. C. doveva ritenersi titolare dell’obbligo di denuncia per avere, in qualità di Capo del Dipartimento Affari Legali e legislativi, e dunque in posizione di vertice dell’Ufficio legale, monitorato tutto il contenzioso della vicenda, fino a conoscere della relativa sentenza.

Il dr. C., poi, proprio per le sue specifiche conoscenze in campo legale, era ben in grado di valutare le conseguenze negative che l’esito del giudizio avrebbe provocato alla Regione, e quindi doveva attivarsi per effettuare la denuncia alla competente Procura regionale della Corte dei conti, al fine di operare la promuovibilità dell’azione nei confronti del responsabile .

5. Tale obbligo si imponeva, vieppiù, in considerazione del fatto che il citato art. 1 comma 3, della L. n. 20/1994, sancisce che la mancata denuncia comporta responsabilità a carico di chi abbia omesso di adempiere a tale onere, in caso di intervenuta prescrizione dell’azione diretta.

D’altronde, non ha pregio l’affermazione dell’appellante, in merito ad un suo esonero dall’obbligo di segnalazione, poiché – come hanno correttamente rilevato i primi giudici – proprio il dr. C. ha depositato in prime cure la lettera datata 22 maggio 1998 che l’allora Presidente della Giunta Regionale aveva inviato a tutti i coordinatori degli uffici della Regione, contenente la circolare del Procuratore Generale della Corte dei conti, inerente all’obbligo di denuncia dei danni erariali e all’individuazione dei soggetti che vi erano tenuti.

Precisa infatti la Circolare del Procuratore Generale (cfr. pag. 8) che tale obbligo incombe anche su coloro che, per ragioni di ufficio, possono venire a conoscenza di fatti dannosi.

Quindi il C., edotto dei fatti dannosi con la trasmissione della sentenza da parte del Giudice del Lavoro, aveva l’obbligo di denuncia.

Né vale ad esimerlo da responsabilità la circostanza che l’appellante abbia provveduto ad inviare, nel marzo 1999, copia della sentenza di condanna alla Direzione Bacini Montani e, per conoscenza, alla Presidenza della Regione, in quanto sotto il profilo in questione la missiva appare del tutto fuorviante, dal momento che, senza prospettare minimamente la possibilità di denuncia per responsabilità del Direttore dei Lavori, suggeriva la mera eventualità di una rivalsa, nella sede giudiziaria ordinaria, nei confronti del fornitore del macchinario sprovvisto di dispositivi di sicurezza che aveva causato l’infortunio.

Per le considerazioni che precedono deve confermarsi il giudizio di responsabilità, pronunciato dalla Sezione territoriale nei confronti del dr. C. F., con conseguente rigetto dell’appello e condanna del medesimo anche al pagamento delle spese del presente grado di giudizio.

P.Q.M.

La Corte dei Conti - Sezione Prima Giurisdizionale Centrale di Appello, definitivamente pronunciando, ogni contraria istanza ed eccezione reiette,

- RIGETTA il gravame proposto da C. F. avverso la sentenza n. 11/2005 in data 22.06.2005 - 28.09.2005 della Sezione Giurisdizionale Regionale per la Valle d’Aosta;

- CONDANNA il predetto al pagamento delle spese processuali del presente grado di giudizio, che si liquidano in euro—119,52---------------Centodiciannove/52)-------------------------------------------------------------

- CONFERMA, per il resto, la sentenza impugnata;

- MANDA alla Segreteria della Sezione per gli adempimenti di competenza.

Così deciso in Roma nella Camera di Consiglio del 18 marzo 2008.

L’ESTENSORE IL PRESIDENTE

F.to Rita LORETO F.to Giuseppe DAVID











Depositato in Segreteria il 25/7/2008



Il Dirigente della Segreteria

F.to Dott.ssa Maria Fioramonti

Anonimo ha detto...

Sentenza n. 283/2008 del 2 luglio 2008 - Sezione Prima centrale di Appello - In tema di responsabilità per tangenti percepite da amministratori comunali


SEZIONE PRIMA GIURISDIZIONALE CENTRALE

Composta dai seguenti magistrati:

Dott. VITO MINERVA Presidente

Dott. Davide MORGANTE Consigliere

D.ssa Maria FRATOCCHI Consigliere

D.ssa Rita LORETO Consigliere relatore

Dott. Piergiorgio DELLA VENTURA Consigliere

Ha pronunziato la seguente

SENTENZA

Nel giudizio di appello iscritto al n. 27176 del Registro di Segreteria, proposto dal signor G. B., rappresentato e difeso dagli Avv.ti Proff. Piergiorgio Alberti e Andrea D’Angelo, elettivamente domiciliato presso lo studio del primo in Roma, Via Carducci n. 4,

avverso la sentenza n. x pronunciata in data 15.07.2005-23.05.2006 dalla Sezione Giurisdizionale per la Regione Liguria e

nei confronti del Procuratore regionale presso la Sezione Giur.le della Liguria nonchè del Procuratore Generale della Corte dei conti;

Visti gli atti e documenti della causa;

Udito, nella pubblica udienza del 17 giugno 2007, il Consigliere dott.ssa Rita Loreto, l’Avv. Piergiorgio Alberti per l’appellante ed il Pubblico Ministero nella persona del Vice Procuratore Generale dott.ssa Emma Rosati;

Ritenuto in

FATTO

Con atto di citazione depositato in data 10 novembre 2004 il Procuratore Regionale presso la Sezione Giurisdizionale della Corte dei conti per la Regione Liguria conveniva in giudizio il signor G. B. per sentirlo condannare alla somma di Euro 563.041,31 per danno patrimoniale, oltre ad Euro 154.937,07 per danno all’immagine, in conseguenza di comportamenti delittuosi, dei quali era stato riconosciuto colpevole in sede penale, in qualità di Assessore alle strade e successivamente di Consigliere comunale del comune di Omissi, in relazione all’affidamento in concessione della costruzione e gestione di autoparcheggi a favore del raggruppamento Omissis s.p.a. – Omissis (in seguito trasformatosi in Omissis s.r.l.).

La vicenda, articolata e complessa, viene in dettaglio descritta nell’atto introduttivo del giudizio e nella sentenza impugnata.

In sintesi, emerge dagli atti di causa che l’Amministrazione comunale, essendo pervenuta alla determinazione di realizzare vari luoghi di sosta nel sottosuolo con funzioni di interscambio ai margini della città e a corona del centro cittadino, con delibera consiliare n. 1379 del 23 luglio 1987 approvava, tra l’altro, uno schema di convenzione tipo per la costruzione e gestione, a cura e spese di privati, di autoparcheggi ad uso pubblico, stabilendo la durata massima della concessione in anni 60, la predeterminazione delle tariffe e, limitatamente ai parcheggi ubicati in zone aventi carattere residenziale, la facoltà di subconcessione a residenti ed operatori.

Venivano altresì individuati i criteri oggettivi per la scelta del contraente.

Con delibera n. 1220 in data 25 luglio 1988 si prevedeva di affidare in concessione ad un unico contraente, da scegliersi a trattativa privata, per la realizzazione e gestione di cinque autoparcheggi pubblici nei siti di Piazza della Vittoria, Spianata Acquasola, Largo S. Maria dei Servi, Piazza Paolo da Novi e Piazza Palermo.

Tali parcheggi dovevano formare un sistema unitario, sia sotto l’aspetto dell’offerta complessiva, sia sotto quello della gestione, anche per superare il problema della presumibile diversa redditività di ciascuno di essi.

Con successiva delibera n. 1577 del 21 novembre 1988 veniva inserito nell’oggetto della concessione anche Piazzale Kennedy, ove era prevista la realizzazione di un parcheggio pubblico di interscambio per 1000 posti, salva la necessità di verificare la disponibilità del CAP (Consorzio Autonomo del Porto di Genova) titolare della proprietà demaniale dell’area e interessato alla costruzione di una base nautica nella parte a levante dell’area.

Una Commissione composta di amministratori e tecnici, istituita per valutare le offerte, e di cui faceva parte anche il B. (cfr. richiesta di rinvio a giudizio, capo b) e interrogatorio del B. in data 18.6.1993) diramava gli inviti per la gara informale, ai quali rispondevano quattro imprese: Omissis s.p.a. (insieme a Omissis), Omissis, Omissis s.p.a. e Omissis s.p.a..

All’apertura delle buste, risultava che Omissis aveva offerto un canone annuo di L. 10.000.000 per la durata di 60 anni; Omissis un canone annuo di L. 25.000.000 per la durata di 29 anni; Omissis un canone annuo di L. 500.000.000 per la durata di 50 anni; Omissis un canone attualizzato una tantum di L. 1.522.500.000 e una durata di 87 anni.

In seguito l’ing. V., Amministratore di Omissis s.p.a. presentava per il raggruppamento Omissis una proposta integrativa ampiamente migliorativa, riducendo la durata della concessione da 60 a 30 anni e portando il canone a L. 125.000 annuo a posto auto, cosicché la Commissione indirizzava la propria scelta sulla proposta di Omissis.

Successivamente il Consiglio Comunale, con delibera n. 1366 del 21 settembre 1989, individuava in Omissis (in seguito trasformatosi in Omissis s.r.l.) il possibile soggetto attuatore, approvando all’uopo il disciplinare redatto in conformità con lo schema n. 1 di convenzione di cui alla citata delibera n. 1379 del 23 luglio 1987 e stabilendo un canone annuo di L. 125.000 a posto auto per tutta la durata della concessione, che veniva prevista in 30 anni.

La Conferenza dei Servizi approvava il 5.02.1990 solo i progetti di P.zza Vittoria e P. Paolo da Novi e quello di P. Kennedy con condizioni e prescrizioni riferite all’esigenza di sistemazione complessiva dell’area circostante; rinviava a successiva eventuale approvazione quello di Acquasola, previe opportune modifiche al progetto, mentre per P. Kennedy mancava peraltro la disponibilità del sito dato il regime di appartenenza a ente diverso dal Comune.

Nondimeno l’Assessore B. proponeva al Consiglio Comunale di approvare l’affidamento della concessione alla Omissis s.r.l., con il relativo disciplinare.

Con delibera n. 201 del 12 marzo 1990 il Consiglio comunale approvava l’affidamento in concessione di costruzione e gestione alla Omissis s.r.l. del sistema di autoparcheggi a corona, approvando i progetti esecutivi per Piazza della Vittoria e Piazza Paolo da Novi e delegando alla Giunta gli incombenti per il perfezionamento dei progetti esecutivi di Piazzale Kennedy e spianata Acquasola.

Nella relativa convenzione, all’art. 1 comma 5, veniva inserita una specifica clausola di rinegoziazione, secondo la quale, premesso che la fattibilità economico-finanziaria dell’operazione era fondata tra le parti sulla base di una realizzazione minima di almeno quattro parcheggi tra quelli originariamente indicati dal Comune, nel caso di mancata approvazione entro il 31 luglio 1990 di uno o entrambi i progetti relativi a piazzale Kennedy e spianata Acquasola o di mancata acquisizione della disponibilità di Piazzale Kennedy da parte della competente autorità demaniale marittima entro la stessa data, le parti avrebbero rinegoziato i termini economici della convenzione. Nell’ambito della rinegoziazione, da esercitare entro il 31.12.1990, era prevista in particolare la facoltà di concordare una proroga del periodo di gestione degli autoparcheggi o di concordare la realizzazione e gestione di altri autoparcheggi.

Il 9 maggio 1990 il dott. G. B., Assessore alle strade, sottoscriveva con il legale rappresentante della Omissis s.p.a., ing. V. V., il negozio attuativo della convenzione.

Con il rinnovo dell’Amministrazione comunale si verificavano le condizioni per l’applicabilità della clausola di rinegoziazione, in quanto alla data del 31 luglio 1990 non risultavano approvati dalla Conferenza dei Servizi i progetti per Piazza Acquasola e per Piazzale Kennedy, né il CAP aveva concesso la disponibilità di quest’ultima area.

A questo punto la società Omissis non iniziava i lavori per il parcheggio di Piazza della Vittoria, pretendendo la rinegoziazione delle condizioni economico-finanziarie, come previsto dall’art. 1, comma 5, della Convenzione.

Il Consiglio comunale neoeletto, dopo lunghe e complesse trattative, approvava l’atto integrativo alla convenzione.

Quest’ultimo prevedeva rilevanti modifiche alla convenzione originaria, le più significative delle quali erano lo stralcio dal programma di interventi dell’autoparcheggio di Piazza Paolo da Novi; la realizzazione del solo blocco Nord del parcheggio di Piazza della Vittoria (circa 800 posti auto); la rideterminazione della durata della concessione in 60 anni in luogo dei 30 inizialmente previsti; la facoltà per il Concessionario di cedere in subconcessione fino ad un terzo dei posti auto del parcheggio di Piazza della Vittoria, quantificati in numero di 267; la previsione che il 70 per cento del corrispettivo di subconcessione eventualmente eccedente il valore pattuito di L. 26.900.000 a posto auto doveva essere versato al Comune, mentre il restante 30 per cento sarebbe stato riconosciuto alla Società a titolo di compensazione degli oneri sostenuti per la progettazione del parcheggio di Piazza Paolo da Novi, successivamente stralciato.

I lavori di scavo, iniziati nella zona nord di Piazza della Vittoria, venivano poco dopo sospesi per ordine della locale Soprintendeza, a causa del rinvenimento di reperti archeologici; venivano pertanto approvate varianti progettuali, anche al fine di modificare le opere interne, che riducevano la capienza dell’autoparcheggio dagli 800 posti iniziali a 761 + 2 finali.

La fine dei lavori veniva dichiarata con verbale del Direttore dei Lavori ing. M. T. in data 1° agosto 1994, ma rimaneva aperto un vasto contenzioso tra il Comune di Omissis e la Omissis s.r.l., che nel frattempo aveva presentato ricorso al TAR Liguria, lamentando la violazione dell’atto integrativo e chiedendo il riconoscimento della gestione gratuita dei 1000 posti auto in superficie.

Le controversie venivano in un primo tempo regolate con Delibera della Giunta comunale n. x del 19 dicembre 1994, con la quale veniva approvato un accordo transitorio, che disponeva l’affidamento alla Concessionaria di n. 633 posti in superficie contro il canone annuo di L. 328.720.000. La pendenza veniva poi definita con Delibera n. 1608 del 30 dicembre 2002, con la quale veniva approvato apposito atto di transazione, ove in sintesi si confermava l’affidamento delle soste in superficie nell’ambito di Piazza della Vittoria per n. 633 posti auto, di cui n. 344 senza canone fino a tutta la durata della concessione e i restanti n. 289 dietro il pagamento del canone annuo di Euro 122,92 ognuno fino al 2007 e dal 2008 al 2054 al canone di Euro 222,37; si confermava altresì l’affidamento in concessione di costruzione e gestione del parcheggio nel sottosuolo di Spianata Acquasola e la scadenza della concessione veniva fissata al 17.12.2054.

La società rinunciava, fra l’altro, alla concessione per la costruzione e gestione dei parcheggi di Piazzale Kennedy, Largo Santa Maria dei Servi, Piazza Palermo e Piazza della Vittoria-lato sud

e ad ogni risarcimento conseguente ai danni derivanti dalla riduzione dei posti auto interrati del parcheggio. Il Comune per parte sua rinunciava ai canoni concessori sui parcheggi in superficie gestiti in forza dell’accordo transitorio; ai canoni concessori sui parcheggi nel sottosuolo a tutto il 31.12.2002; alle penali da ritardo nella realizzazione del parcheggio.

La vicenda aveva formato oggetto di indagini da parte della Procura della Repubblica di Genova, che aveva accertato illeciti risalenti fin dal momento di affidamento della concessione alla società Omissis s.r.l. e, a chiusura indagini, in data 28 marzo 1994 chiedeva il rinvio a giudizio, fra gli altri, di B. G., già assessore alle strade e poi consigliere comunale, per i reati di concussione e abuso d’ufficio in concorso e violazione della legge sul finanziamento pubblico dei partiti. Al B. veniva contestato: di avere abusato dei suoi poteri sin dallo svolgimento della gara di preselezione, per farsi promettere e quindi consegnare, da parte di Omissis s.p.a., la somma di lire 150 milioni, dei quali la metà per sé e l’altra metà per il proprio partito politico, prospettando che, in caso di mancato pagamento, il cartello di società composto da Omissis s.p.a. e Omissis sarebbe stato escluso dalla pre-gara bandita dal Comune; di avere quindi, dopo che le società di cui sopra avevano vinto congiuntamente la pre-gara, indotto M. B., intermediario consulente di Omissis, a operare pressioni nei confronti di V. V. (direttore generale dell’Omissis s.p.a., socia della Omissis s.r.l.) onde ottenere il suddetto pagamento, prospettando che, altrimenti, la Omissis non avrebbe ottenuto l’assegnazione della concessione e gestione del sistema di parcheggi a corona del centro cittadino, minacciando lentezze e difficoltà negli atti di affidamento della concessione; di avere effettivamente percepito la somma di cui sopra; di avere, inoltre, concordato l’introduzione nella convenzione dell’art. 1 comma 5, cioè della clausola di rinegoziazione, e questo ben conoscendo l’indisponibilità del concessionario dell’area di Piazzale Kennedy a concedere la stessa a tale scopo, nonché l’indisponibilità dell’area di Piazza Acquasola, per la presenza di attività commerciale di terzi nel sito; di avere, in tal modo, realizzato i presupposti per modificare le condizioni dell’offerta originaria e ciò al fine di procurare un ingiusto vantaggio alla Concessionaria.

Con sentenza n. 107 del 15 marzo 1995, emessa a seguito di giudizio abbreviato, il GIP del Tribunale di Genova riteneva responsabile B. G. dei reati ascrittigli, ad eccezione della imputazione per abuso d’ufficio in relazione alla condotta tenuta nel corso della selezione informale, e lo condannava alla pena di anni tre e mesi otto di reclusione e L. 100.000.000 di multa, nonchè al risarcimento del danno da liquidarsi in separato giudizio, in favore del Comune di Omissis costituitosi parte civile.

Con decisione n. 394 del 26 gennaio 2001 la Corte di Appello di Genova confermava la sentenza di primo grado per quanto riguarda la condanna per i reati di concussione e di corruzione, assolvendo il B. per il reato di abuso d’ufficio in relazione all’introduzione della clausola di rinegoziazione(capo d), in quanto il fatto non era più previsto come reato; rideterminava la pena in anni due di reclusione, confermando le statuizioni civili della sentenza di primo grado.

La pronuncia, non impugnata, passava in giudicato.

I fatti materiali accertati in sede penale, ritenuti produttivi di danno erariale dalla Procura Regionale, venivano valutati dalla Corte territoriale che, seguendo l’impostazione della Procura, li considerava casualmente ricollegati all’operato del B. il quale, minacciando l’esclusione di Omissis dalla gara in caso di mancato pagamento, otteneva il versamento della tangente in cambio dell’assegnazione della concessione alla Omissis.

Per tali motivi, secondo i primi giudici, venne concesso alla ditta offerente di ridefinire l’offerta, chiaramente antieconomica, presentata durante la trattativa, al solo scopo di vincere la gara, offerta che risultava tuttavia di molto inferiore alle aspettative minime di rendimento. In seguito, il B. concordava con i vertici della Omissis l’introduzione della clausola di rinegoziazione, pattuita esclusivamente nell’interesse della Concessionaria, onde consentirle di mutare, a proprio esclusivo vantaggio, le condizioni contrattuali originarie, con corrispondente mancato introito per le finanze comunali.

Allo scopo di quantificare il danno erariale la Procura Regionale nominava il consulente tecnico, ing. P., che valutava comparativamente le varie offerte e quantificava in L. 10.902.000.000 l’ammontare dei minori introiti per il Comune, distribuiti durante tutto l’arco di durata della concessione.

Tuttavia il pregiudizio non si attualizzava integralmente, poiché interveniva la stipula di un “atto di transazione” a chiudere il rilevante contenzioso amministrativo nel frattempo sorto tra il Comune e la Omissis.

Seguiva pertanto la sentenza n. x, con cui i primi giudici condannavano il B. al risarcimento dell’importo, determinato equitativamente, di Euro 300.000,00 a titolo di danno patrimoniale e di Euro 100.000,00 a titolo di ristoro del danno all’immagine.

La decisione di primo grado veniva gravata dal dr. B. con appello ritualmente proposto, con il quale era in sintesi dedotto:

1.– La mancata integrazione del contraddittorio con litisconsorzi necessari;

2.– La prescrizione del diritto al risarcimento del danno;

3._ La mancanza di illiceità nella condotta, con riferimento a :

a) la selezione del concessionario;

b) l’inserimento della clausola di rinegoziazione;

c) la rinegoziazione ed il nesso causale;

4. _ La mancanza dell’elemento soggettivo del dolo e della colpa grave;

5. _ La erronea quantificazione del danno patrimoniale;
6. _ La prescrizione del danno all’immagine, del quale si lamenta anche l’insufficienza dell’impianto probatorio.

Il B. concludeva pertanto chiedendo l’annullamento della sentenza impugnata con rimessione della causa al primo giudice per mancata integrazione del contraddittorio e, in subordine, il proscioglimento per prescrizione o infondatezza delle domande formulate dalla Procura Regionale e, comunque, la riduzione dell’addebito.

Contestualmente all’atto di appello era anche proposta istanza di definizione agevolata ai sensi dell’art. 1, commi 231-233 della legge n. 266/2005, che veniva respinta da questa Sezione Giurisdizionale con decreto n. 3/2008 depositato il 24 gennaio 2008.

Con successiva memoria in data 26 maggio 2008 l’appellante ha ribadito le eccezioni difensive già formulate con il gravame, in particolare sottolineando che l’affidamento della concessione in favore di Omissis non è riconducibile a decisioni assunte dal solo assessore B.; che non è stato dimostrato dalla Procura Regionale che la procedura selettiva sia stata influenzata illecitamente dal medesimo e, soprattutto, che la presunta scorrettezza del suo operato abbia arrecato un pregiudizio economico al Comune; che l’appellante è stato anzi prosciolto in sede penale dall’imputazione di abuso d’ufficio e, in ogni caso, che il requirente non ha dato alcuna prova dell’effettiva incidenza delle tangenti percepite sul prezzo complessivo dell’appalto. Ha pure contestato l’idoneità della perizia dell’ing. Patrone ad accertare l’esatto ammontare del danno erariale.

Con atto depositato il 21 maggio 2008 il Procuratore Generale ha rassegnato le proprie conclusioni scritte, rappresentando l’infondatezza di tutte le argomentazioni difensive formulate dall’appellante.

Alla pubblica udienza del 17 giugno 2008 l’Avvocato Prof. Piergiorgio Alberti, in rappresentanza dell’ appellante, si è riportato all’atto scritto, puntualizzando alcuni aspetti di maggior rilievo, e precisando in particolare che la sentenza di primo grado si è incentrata tutta sulla vicenda penale, mentre in realtà occorreva distinguere le vicende relative ai rapporti del B. con l’Omissis da quelle relative ai suoi rapporti con il Comune di Omissis: tale ultima condotta non ha causato alcun danno al Comune, in quanto la rinegoziazione delle condizioni economiche della concessione è stata effettuata dal successore del B.. Quanto al danno, la difesa afferma che la perizia dell’ing. Patrone è del tutto astratta, mentre avrebbe dovuto valutare quali potevano essere le condizioni economiche proposte dalle ditte tenendo presente la sola offerta di realizzazione del parcheggio di Piazza Kennedy.

Il Pubblico Ministero, nella persona del Vice Procuratore Generale dott.ssa Emma Rosati, ha confermato le considerazioni e le richieste conclusionali rese nell’ atto scritto, precisando che il B. ha sottoscritto il 9 maggio 1990 con l’Ing. V. il contratto attuativo della convenzione, comprendente la clausola di rinegoziazione, da cui è poi scaturito un ingente danno per il Comune. Rappresenta inoltre che la perizia Patrone è valida, a differenza di quella di parte, che si limita solo a criticare la perizia del P.M. In ogni caso, i fatti materiali risultano acclarati nel processo penale, che si è concluso per il B. con condanna irrevocabile per corruzione e concussione.

Considerato in

D I R I T T O

1. Va esaminata in primo luogo la richiesta di integrazione del contraddittorio avanzata dall’appellante con litisconsorzi ritenuti necessari, e cioè tutti i consiglieri comunali che hanno espresso voto favorevole alla scelta del concessionario e all’approvazione del disciplinare della concessione relativo al parcheggio di Piazza della Vittoria, esprimendo voto favorevole alla Deliberazione del Consiglio Comunale n. 201 del 12 marzo 1990; o all’atto integrativo contenente la rinegoziazione delle condizioni contrattuali (Deliberazione C.C. n. 938 del 31 luglio 1991); nonchè di tutti gli amministratori ed i funzionari che hanno a vario titolo seguito la pratica (Assessore all’attuazione dei piani regolatori, funzionario redattore della relazione tecnica, segretario generale, dirigenti, componenti del Collegio regionale di controllo).

In proposito occorre rammentare che i primi giudici hanno respinto l’analoga eccezione formulata in primo grado, nella considerazione che, se pure altri soggetti sono intervenuti nella vicenda con efficienza concausale, il loro apporto non ha mai travalicato la mera colpa per integrare quella colpa grave che costituisce il requisito imprescindibile per l’assoggettamento all’azione di responsabilità amministrativa. Né sono stati rappresentati dalla difesa del B. elementi di colpevolezza che potessero giustificare una loro chiamata in causa, al di là della loro partecipazione al procedimento amministrativo che, peraltro, risultava già gravemente condizionato e compromesso dagli illeciti interventi del B. stesso.

Deve peraltro affermarsi che nella specie non ricorre alcuna delle ipotesi di litisconsorzio necessario, né sostanziale né processuale.

Giova, al riguardo, osservare che secondo la prevalente giurisprudenza, di regola nei giudizi di responsabilità amministrativa la unicità del processo discende non dalla unicità sostanziale del rapporto giuridico dedotto in giudizio, ma dalla opportunità di valutare unitariamente la pluralità di condotte che si assumono causative di danno, oltre che dalla obbligatorietà della azione pubblica rimessa al Procuratore Regionale: tali principi conducono, in sostanza, a ritenere che la posizione di ciascun presunto compartecipe alla produzione del danno sia autonoma (Sez. II Centrale, 12 marzo 2008 n. 96).

Circa il litisconsorzio processuale, non può neppure dirsi che si verta in fattispecie di cause tra loro dipendenti, posto che la dipendenza di cause ricorre quando la decisione di una controversia si estenda in via logica e necessaria anche all’altra, ovvero ne costituisca presupposto logico-giuridico imprescindibile, nel senso che uno dei rapporti di cui si discute in un unico processo abbia carattere condizionante o pregiudiziale rispetto all’altro (Cass. civ., Sez. I, n. 5215 del 2001).

Per contro, il Collegio ritiene che, in via generale, il giudice contabile possa e debba, nel decidere sulla responsabilità dei soggetti convenuti in giudizio, tenere conto del possibile coinvolgimento nella produzione dell’evento dannoso anche di altri soggetti, pur se non direttamente evocati in giudizio, a tal fine provvedendo alla eventuale riduzione dell’addebito in favore delle parti in causa, nei limiti delle quote corrispondenti all’effettiva rilevanza causale della loro condotta singolarmente considerata (Sez. Riunite, 20 giugno 2001, n. 5/QM).

E, venendo al caso di specie, vanno messe in risalto due circostanze: in primo luogo, gli apporti comportamentali eziologicamente provenienti da soggetti non citati sono avvenuti ad autonomi e distinti titoli e senza alcun vincolo derivante da concorso doloso; in secondo luogo, i contributi causali sono stati dal primo giudice valutati incidenter, fino al punto di ridurre, in misura più che consistente, l’ammontare del risarcimento messo a carico del B..

Come pure rilevato dal Procuratore Generale nelle proprie conclusioni scritte, gli eventuali concorsi causali nella produzione del danno patrimoniale, non azionabili nella fattispecie, vuoi per mancanza di colpa grave, vuoi per prescrizione, sono stati tutti considerati nella determinazione del danno ascrivibile all’appellante, che è stato ridotto equitativamente dai primi giudici a meno del 10% dell’intero pregiudizio economico patito dall’ente locale (euro 300.000,00), proprio al fine di escludervi concause a lui non imputabili, in ossequio al principio della personalità della responsabilità amministrativa.

Pertanto la chiamata iussu iudicis, nella fattispecie, neppure avrebbe avuto l’effetto di aprire la strada ad ulteriori riduzioni del danno imputabile all’appellante, sicchè nessun diritto, interesse sostanziale o di difesa, risulta essere stato per quest’ultimo leso in conseguenza della mancata estensione del contraddittorio.

Per quanto innanzi esposto, la richiesta di integrazione del contraddittorio deve essere respinta.

2. Prescrizione – L’appellante ha eccepito la prescrizione del diritto al risarcimento del danno subito dall’Amministrazione comunale in relazione ai fatti di cui si discute, asserendo che la costituzione di parte civile dell’ente danneggiato nel procedimento penale a carico di un amministratore o funzionario pubblico e relativo agli stessi fatti oggetto del giudizio contabile non comporta l’interruzione del termine di prescrizione per l’esercizio dell’azione di responsabilità erariale, in quanto l’unico soggetto titolare del diritto all’accertamento della responsabilità stessa è il Procuratore presso la Corte dei conti e, dunque, solo agli atti posti in essere dal medesimo può essere riconosciuto l’effetto interruttivo della prescrizione. In ogni caso, l’appellante ritiene che, anche a voler attribuire valore interruttivo alla costituzione di parte civile, essa produrrerebbe effetto interruttivo solo istantaneo e non permanente, per cui l’azione proposta dalla Procura risulta comunque tardiva, dal momento che sia l’invito a dedurre (25.03.2004) sia l’atto di citazione (9.11.2004) sono stati notificati a distanza di oltre un quinquennio dalla costituzione di parte civile del Comune.

Reputa il Collegio che l’eccezione di prescrizione sia da respingersi, anche alla luce dei più recenti orientamenti giurisprudenziali in tema di danno occulto.

Questo organo giudicante rileva infatti che nella specie il B. è stato condannato per fatti dolosi, quali i reati di concussione e/o corruzione, come tali ritenuti naturalmente occulti, cioè volti a sottrarre alla consapevolezza e conoscenza altrui il reale stato delle cose, e pertanto per essi la prescrizione comincia a decorrere, ai sensi dell'art. 1, comma 2°, della legge n. 20/1994, dalla data della scoperta del fatto dannoso occultato. In ragione dell’intenzionale occultamento della situazione lesiva per l’Erario da parte dello appellante il dies a quo della prescrizione, per l’esercizio del diritto risarcitorio dell’Amministrazione danneggiata e per la parallela azione di responsabilità del Procuratore Regionale, va ricondotto al momento in cui si verifica la scoperta del fatto lesivo intenzionalmente occultato, e sul punto la giurisprudenza è ormai costante e condivisa da questo Collegio, cosicché la data che più correttamente deve prendersi a riferimento quale dies a quo della prescrizione deve individuarsi con la data di rinvio a giudizio penale.

Ciò trova puntuale conferma normativa nell'art. 2935 c.c., in base al quale "la prescrizione comincia a decorrere dal giorno in cui il diritto può essere fatto valere".

Con riferimento alla decorrenza del termine prescrizionale per il danno all’immagine, si deve ritenere che, anche per il pregiudizio al prestigio dell’Amministrazione, appare più prudente attendere che il fatto penalmente rilevante che ha dato origine al clamor fori formi oggetto, quanto meno, di decreto di rinvio a giudizio, poiché spesso una iniziativa anticipata del Procuratore Regionale rischia di non sortire utili effetti se, come a volte accade, il presunto responsabile coinvolto nelle indagini penali non venga poi neppure rinviato a giudizio.

Per tali considerazioni reputa questo Giudicante che anche per il danno all’immagine il dies a quo del termine prescrizionale vada ancorato ad un evento certo che conferisca, per così dire, il crisma della attendibilità alla impostazione accusatoria e che, nella fattispecie, è il rinvio a giudizio penale.

In ogni caso l’indicato termine prescrizionale è stato interrotto sia dalla costituzione di parte civile dell’Amministrazione comunale nel processo penale, mantenuta anche in appello, sia dalla notifica dell’ invito a dedurre, emesso in data 25 marzo 2004.

Rileva il Collegio che, relativamente alla fattispecie all’esame, ai sensi del combinato disposto degli artt. 2943 e 2944 c.c. in sede contabile si è determinata l’interruzione della prescrizione dell’azione di responsabilità amministrativa alla data di costituzione di parte civile da parte dell’ente danneggiato, fino al passaggio in cosa giudicata del giudizio penale nei confronti dell’odierno appellante (cfr. Sez. III, n. 672/2005).

In proposito la giurisprudenza della Corte dei conti ha riconosciuto costantemente la descritta valenza interruttiva rispetto all’azione di responsabilità erariale (Sez. Riunite 18 marzo 1996 n. 14/A).

Tale indirizzo risulta ribadito dalle Sezioni Riunite con la pronuncia n. 8/QM del 25 novembre 2004, la quale ha precisato che nel giudizio contabile la disciplina dell’istituto della prescrizione della responsabilità amministrativa è quella generale recata dagli artt. 2943 - 2945 c.c., che fissano, di norma, il principio della permanenza dell’effetto interruttivo per gli atti giudiziali introduttivi di un giudizio, come la costituzione di parte civile nel processo penale.

D’altra parte, anche la Cassazione civile con sentenza n. 5945 del 2000 ha statuito che in materia di risarcimento dei danni causati da fatto integrante reato, la costituzione di parte civile nel processo penale ha un effetto interruttivo della prescrizione per l’intera durata del processo penale (cfr. pure Cass. Penale n. 5816/1998).

Pertanto il Collegio non ha motivo di discostarsi dalle argomentazioni del primo giudice che, conformemente alla giurisprudenza assolutamente prevalente di queste Sezioni, riconosce effetto interruttivo permanente alla costituzione della amministrazione danneggiata come parte civile nel processo penale (Sez. I centrale, 5 novembre 2001, n. 315/A; 6 marzo 2002, n. 69/A; 3 aprile 2002 n. 102/A; Sez. II Centrale, 10 luglio 2002, n. 227/A; Sez. III Centr. n. 383/2003; Sez. Riun. 25 novembre 2004 n. 8/QM).

Se è vero, quindi, che il Pubblico Ministero contabile è legittimato a porre in essere atti interruttivi della prescrizione, ciò non esclude che l’originario diritto sopravviva in capo all’Amministrazione, con la titolarità all’esercizio dei relativi poteri.

In definitiva, l’eccezione di prescrizione è da respingere poiché l’Amministrazione, costituendosi parte civile nel processo penale di primo grado ed in appello, ha prodotto l’effetto interruttivo permanente di cui all’art. 2945 comma 2° del cod. civ. fino al passaggio in giudicato della sentenza di condanna di secondo grado del 26 gennaio 2001.

3. Mancanza di illiceità nella condotta, mancanza dell’elemento soggettivo del dolo e della colpa grave – Si tratta di doglianze tutte fondate su considerazioni ampiamente contrastate dai primi giudici, con argomentazioni che il Collegio condivide.

In particolare, i primi giudici hanno premesso che, ai fini della configurabilità della responsabilità amministrativa dell’appellante, ciò che conta è l’accertamento del fatto materiale e la sua riconducibilità a livello causale all’evento dannoso, indipendentemente dal fatto che in sede penale il fatto sia stato qualificato come reato, o che tale antigiuridicità non sia stata riconosciuta e sia venuta meno in seguito a revisione legislativa.

Hanno quindi ricordato che il processo penale ha incontestabilmente accertato che, prima ancora che la gara fosse bandita, sia Omissis s.p.a. che Omissis avevano ricevuto sollecitazioni da parte del B. perché presentassero congiuntamente l’offerta; che prima della pre-selezione l’appellante aveva altresì minacciato M. B., collettore di tangenti fra l’Omissis ed il B., di pagare a lui e al proprio partito 300 milioni di lire per vincere la gara, ridotti a 150 a seguito della intermediazione del B.; che il B., a gara conclusa, aveva fatto insistenti pressioni affinché la ditta rispettasse l’impegno; che tali fatti venivano confermati dalle dichiarazioni di B. (“….diventò quasi una persecuzione…”: interrogatorio del 28.5.1993) e di V. (interr. del 26.5.1995); che il denaro fu consegnato dal B. in una busta al B. nel suo negozio in Piccapietra; che quest’ultimo ha ammesso sostanzialmente l’episodio (interrogatorio del 18.06.1993); che le richieste di denaro del B. non cessarono neppure quando passò all’opposizione (interr. del B., del V. e di C. I.); che proprio il versamento di tangenti al B. aveva consentito alla Omissis s.r.l. di reclamare la relativa contropartita, con l’introduzione della clausola di rinegoziazione che permise di ridiscutere, ad esclusivo favore della concessionaria, l’offerta migliorativa, addirittura fuori mercato – come dimostrato dalla consulenza tecnica – che la Società aveva presentato in un secondo momento al solo scopo di prevalere nella selezione.

A fronte di tali fatti materiali, accertati con giudicato penale e liberamente valutati dal giudice contabile, non può non condividersi quanto sostenuto dal collegio di prime cure, e cioè che l’illecita condotta del B. ha costituito un antecedente necessario del danno subito dal Comune, e che la clausola di rinegoziazione, introdotta nella concessione per iniziativa del medesimo quale corrispettivo della tangente ricevuta, unitamente all’offerta formulata ha avuto un effetto distorsivo nello svolgimento del rapporto concessorio.

Rileva questo Giudicante che tale condotta ha costituito innanzitutto una grave violazione dei canoni di correttezza e trasparenza nelle gare, che sempre devono assistere la scelta del contraente pubblico. Non trova alcuna giustificazione, nell’ambito del rapporto contrattuale, l’aver introdotto una clausola di rinegoziazione, che di fatto ha avvantaggato una ditta già aggiudicataria a discapito delle altre ditte, agganciandone l’operatività non ad un evento futuro ed incerto, bensì a fatti e circostanze la cui realizzazione si profilava già probabile al momento della stipula, e tanto ravvicinati nel tempo (a distanza di soli quattro mesi) da apparire ormai già certi.

Si evince infatti dalla sentenza penale di primo grado (pagg. 9 e 10) che “vi era una forte probabilità che la condizione si verificasse, posto che il Comune non aveva la titolarità dell’area e che il C.A.P., che ne era titolare, ne subordinava la disponibilità alla realizzazione della base nautica, realizzazione tutt’altro che pacifica”. E ancora si legge: “B. sostiene di non aver previsto la mancata disponibilità di Piazzale Kennedy. Tale affermazione, del tutto inverosimile dal momento che il CAP subordinava la disponibilità dell’area alla realizzazione (tutt’altro che pacifica) della base nautica, è smentita da A. R. nell’interrogatorio del 28.06.1993: “la clausola venne discussa con .N. e B. prima che venisse approvato il testo della convenzione perché avevamo saputo che il CAP…aveva manifestato difficoltà a dare l’assenso…per Acquasola sapevamo che c’erano resistenze della Soprintendenza”. Anche N. conferma che era nota la difficoltà di ottenere l’assenso del CAP nel termine previsto dalla clausola”.

Quindi la clausola di negoziazione presentava delle caratteri- stiche che sono incompatibili con il fine dichiarato di riequilibrare il rapporto contrattuale in presenza di condizioni di fatto mutate e che sono invece ispirate dall’intento della concessionaria di modificare completamente l’offerta che sin dall’origine era per lei svantaggiosa. E‘ dunque chiaro che soltanto nell’interesse di questa venne inserita la clausola.

Tale comportamento ha sicuramente pregiudicato la par condicio con le altre ditte concorrenti, che avrebbero potuto offrire, se fossero state a conoscenza di tale clausola, dei prezzi senz’altro più vantaggiosi.

Quanto all’aspetto psicologico, deve riconoscersi che anche il dolo che ha connotato la condotta del B. è stato abbondantemente illustrato nella sentenza gravata.

Come ha osservato il Procuratore Generale nelle proprie conclusioni, il Collegio di prime cure ha dimostrato con dettagli minuziosi, e facendo frequenti richiami alle numerose ammissioni tratte dagli interrogatori resi in sede penale, che il B. ha indotto il Comune di Omissis a stipulare con un soggetto (Omissis, poi Omissis) inidoneo quale parte contrattuale, in quanto portatore di un progetto imprenditoriale non concorrenziale; di come si sia reso responsabile della disastrosa scelta della Omissis (società priva di esperienze specifiche nel settore) quale realizzatore e gestore dei parcheggi, turbando la regolarità della trattativa e precludendo al Comune la possibilità di percepire maggiori entrate; abbia assunto tali scelte non in buona fede ma perseguendo illecite finalità di arricchimento personale; abbia fatto approvare la convenzione di concessione pur sapendo della indisponibilità dei siti e sia stato l’artefice dell’introduzione della clausola di rinegoziazione più volte citata, al solo fine di avvantaggiare il contraente privato, esponendo l’Amministrazione ai rischio – puntualmente verificatosi – di pretese risarcitorie della Omissis; di avere comunque concorso – ponendo in essere gli antecedenti causali necessari - all’adozione della delibera del marzo 1991, con la quale venne riconsiderata l’offerta economica della società, al verificarsi degli indicati presupposti, così vicini nel tempo da potersi ritenere già certi al momento della stipula della clausola medesima.

Questi sono fatti che, nella loro definitività, vincolano il Collegio, fermo rimanendo che tutti gli altri elementi documentali, provenienti e raccolti nel processo penale, ben possono essere valutati dal giudice contabile, che può fondare anche su di essi il proprio convincimento quando, riconosciutane la valenza, li ammetta come prove: perciò, con riferimento alla fattispecie di causa, non può affermarsi, come fa l’appellante, che sia mancata la prova dei fatti assunti dal giudice contabile.

4. Erronea quantificazione del danno patrimoniale -L’appellante ha pure sostenuto che la perizia predisposta dall’ing. Patrone per conto della Procura Regionale, su cui la Sezione territoriale si è basata per la determinazione del danno, è del tutto inidonea ad accertare l’ammontare del pregiudizio subito dal Comune, non essendo stata redatta in contraddittorio tra gli interessati. La Sezione ligure avrebbe dovuto, secondo il B., disporre c.t.u. allo scopo di espletare le necessarie verifiche nel rispetto del principio del giusto processo, sancito dall’art. 111 Cost.

Invero non appare indispensabile, ai fini della presente decisione, l’ acquisizione di consulenza tecnica di ufficio, rilevando il Collegio che sia il Pubblico Ministero in citazione che il collegio di prime cure hanno tenuto conto, per la valutazione del danno erariale, della perizia dell’ing. Patrone e che tale perizia è stata autonomamente valutata in sede contabile per la quantificazione dei fatti dannosi da parte dei primi giudici.

Pertanto ogni aspetto controverso appare abbondantemente sceverato, dal momento che sia la parte pubblica che le parti private hanno potuto rappresentare, in primo grado, la questione dal punto di vista tecnico al giudice e formulare le proprie controdeduzioni.

Vi è stato dunque pieno rispetto del dettato dell’art. 111 Cost., che secondo una lettura più avveduta si limita a sancire per le parti l’uguale diritto alla prova, nel senso di garantire che ad esse sia riconosciuto lo stesso diritto ad addurre mezzi di prova giudicati rilevanti e ad ottenerne l’ammissione da parte del giudice, con pari diritto a chiederne la valutazione.

Tale diritto non è stato precluso al B. che, sia nella fase preprocessuale, sia in quella dibattimentale è stato in condizione di poter produrre qualsiasi documentazione e prova ritenuta utile, per cui la causa si presenta, anche sotto tale profilo, ormai matura per la decisione.

L’interessato lamenta poi che le valutazioni operate dall’ing. Patrone sono fuorvianti, posto che viene effettuata una comparazione fra le offerte presentate dalle ditte concorrenti nel corso della gara preliminare e l’offerta della Omissis come riformulata a seguito della rinegoziazione delle condizioni contrattuali della concessione, effettuate dall’Assessore subentrato al B.. In pratica la perizia attuerebbe una comparazione tra il valore dell’offerta di Omissis all’esito della rinegoziazione, relativo perciò alla costruzione e gestione del solo autoparcheggio di Piazza della Vittoria – blocco Nord - e quello delle proposte presentate dalle concorrenti nella pre-gara, relative invece alla costruzione e gestione di un sistema di sei autoparcheggi.

Tali considerazioni appaiono prive di pregio. Infatti, come ha già avuto modo di chiarire il Pubblico Ministero, deve rammentarsi che la Sezione territoriale ha già abbondantemente motivato (pagg. 45 – 46) in ordine a tale eccezione, già prodotta in quella sede, illustrando tutti i passaggi della perizia del consulente tecnico, e avvertendo che il perito aveva provveduto non solo a riparametrare il canone, inizialmente previsto per circa 4.500 posti auto (in relazione a sei parcheggi) poi ridottisi a 800 e quindi a 500, ma aveva pure preso in considerazione la circostanza che “anche le altre ditte concorrenti dell’Omissis, se fossero state scelte dal Comune, si sarebbero trovate a dover costruire e gestire un solo parcheggio anziché i sei per i quali furono chiamate e sui quali avevano basato la propria offerta”.

Ciò dimostra l’infondatezza della contestazione difensiva.

Sempre con riferimento al danno, i primi giudici hanno tenuto ben presente che la condotta del B. costituisce sicuramente una “concausa” rispetto al danno patrimoniale attualizzatosi attraverso l’accordo integrativo del 1991, l’accordo transitorio del 1994 e la transazione del 2002.

E’ infatti evidente che mai il Comune di Omissis si sarebbe potuto trovare nelle condizioni di stipulare un atto di transazione (soggiacendo quindi alle richieste risarcitorie della concessionaria) se, a monte, non vi fosse stato l’illecito comportamento del B., scientemente finalizzato a favorire l’Omissis con l’introduzione della clausola di rinegoziazione.

Tuttavia, proprio al fine di valutare l’intero complesso delle concause e degli apporti causali ascrivibili ad altri soggetti, il danno posto a carico dell’appellante è stato quantificato dal Procuratore Regionale soltanto un decimo rispetto a quello indicato dal perito ing. Patrone, e i primi giudici hanno ulteriormente ridotto la richiesta risarcitoria : tale circostanza costituisce motivo ulteriore per ritenere non necessaria una nuova acquisizione peritale.

5. Mancata prova del danno all’immagine – L’eccezione non ha pregio, poiché – a prescindere dal clamor fori che la celebrazione di un processo per tangenti, in special modo nel periodo risalente ai primi anni ’90, in cui si sviluppò il fenomeno noto sotto il nome di “Mani Pulite” - provoca sulla collettività amministrata, c’è da dire che la Procura Regionale attrice ha fornito ampia prova della pubblicità data dagli organi di informazione allo specifico processo che ha visto l’attuale appellante in veste di imputato e condannato.

Deve dunque ritenersi che tale episodio abbia contribuito, insieme ad altri, a determinare quel clima generale di sfiducia, se non addirittura di discredito, nei confronti della classe politica, che nei primi anni ’90 investì l’Italia a causa dei numerosi processi che videro condannati per corruzione e concussione diversi esponenti politici e che ebbe molte ripercussioni anche a livello locale.

Per quel che concerne le contestazioni sul danno all’immagine subito dall’Amministrazione di appartenenza, si soggiunge che la natura di questo tipo di danno consente di prescindere sia dalla reale effettuazione di spese per il ripristino del bene immateriale leso o dalla loro programmazione (Sez. Lazio, n. 1723 del 11.4.2001; n. 3945 del 5.11.2001) sia dall’analitica dimostrazione dei costi sopportati o sopportabili per la reintegrazione del bene leso, essendo sufficiente fornire anche solo un principio di prova (Sez. II centr., n. 338/2000) e ben potendo il prudente apprezzamento del giudice fondarsi su circostanze ed elementi disparati (Sez. II, n. 130 del 17.4.2002).

Tale tipo di danno presuppone l’esplicazione di una condotta che abbia causato la reiterata violazione dei doveri di servizio e abbia comportato una lesione all'immagine dell'ente. Nella fattispecie la scoperta del fatto, il risalto dato allo stesso dalla stampa, i procedimenti giudiziari protrattisi per anni nei confronti dell’ appellante hanno determinato, secondo quanto comunemente è percepito, un discredito per l'amministrazione di appartenenza, percepita in una immagine negativa di struttura gestita in maniera inefficiente, non responsabile né responsabilizzata.

Quanto all'affermata necessaria dimostrazione di specifiche spese dirette al ripristino del bene giuridico leso, si osserva che pur non essendo mancata, in passato, una giurisprudenza della Corte dei conti che ha ritenuto "necessaria la specifica dimostrazione di spese per il ripristino del bene immateriale dell'Amministrazione”, quella più recente, oramai consolidata, non ritiene necessaria la suddetta dimostrazione, in maniera più coerente con quanto sostenuto dalla Suprema Corte e dalla stessa giurisprudenza civile di merito che, nel caso di danno all'immagine subito da persone giuridiche, distingue il danno evento, costituito dalla lesione all’'immagine ed alla reputazione, dalle conseguenze patrimoniali negative che, eventualmente, ne sono conseguite.

Per tali ragioni va respinto anche il motivo di appello relativo alla necessità di prova delle spese sostenute, in quanto la lesione della reputazione delle Amministrazioni pubbliche è considerata autonomamente indennizzabile, indipendentemente dagli effetti patrimoniali negativi che ne derivano, risarcibili eventualmente ad altro titolo (Corte dei conti, Sez. riun. n. 10/2003/QM del 12/3/2003; Sez. I n. 82 del 2000; n. 56 del 2003 e n. 94 del 2007; Sez. II n. 298 del 2000; n. 80 del 2003 e n. 27 del 2004; Sez. III n. 242 del 2000 e n. 279 2001;Sez. Lombardia n. 1954 e n. 1696 del 2002, Sez. Lazio n. 2464 del 2002).

Con riferimento, poi, all’entità del danno addebitato al ricorrente, reputa questo Giudicante che, ai fini della sua determinazione la Corte Territoriale abbia fatto pertinente e corretto uso del criterio equitativo previsto dall’art. 1226 cod. civile; di modo che vanno respinte le doglianze della difesa afferenti alla carenza probatoria in ordine al quantum debeatur.

Invero, anche in virtù dei principi espressi dalla sentenza n. 10/QM/2003 delle Sezioni Riunite di questa Corte, ai fini della quantificazione si può fare riferimento, oltre che alle spese di ripristino già sostenute, a quelle ancora da sostenere. Il danno esistenziale è infatti pregiudizio che si proietta nel futuro e, pertanto, è consentito il ricorso a valutazioni prognostiche ed a presunzioni sulla base degli elementi che sarà onere del danneggiato fornire e la relativa liquidazione non potrà che avvenire in via equitativa. In quest'ultimo caso tale valutazione, ex art. 1226 c.c., potrà fondarsi su prove, anche presuntive od indiziarie, tra cui le conseguenze negative che, per dato di comune esperienza e conoscenza, siano riferibili al comportamento lesivo dell'immagine.

Sussiste poi la possibilità di ricorrere, per la quantificazione del danno, a parametri diversi da quelli desumibili dalle spese, sostenute o da sostenere, per il ripristino dell'immagine. In via generale, i parametri da utilizzare in concreto per la quantificazione vanno rimessi alla valutazione che, nella propria discrezionalità, ciascun giudice saprà trarre dalle singole fattispecie (Sez. I Centrale, 11 luglio 2007, n. 194).

Sussistono poi nella fattispecie, come già rappresentato dalla Procura Generale, tutti gli elementi sintomatici elaborati dalla giurisprudenza contabile, per l'individuazione del danno in discussione; sia quelli oggettivi legati alla gravità del fatto ed alla risonanza dello stesso all'esterno ed all'interno dell'Amministrazione, che quelli soggettivi, connessi alle delicate funzioni svolte dagli appellanti.

Pertanto, avendo l'attore pubblico fornito la prova dell'an della lesione all'immagine dell'ente pubblico, il quantum (Euro 100.000,00) è stato correttamente determinato, in via equitativa, dal primo giudice.

Il carattere doloso del comportamento assunto dal B. preclude al Collegio di accedere alla richiesta di contenimento dell’addebito mediante applicazione del potere riduttivo.

In conclusione, l’ appello proposto va rigettato, mentre il danno erariale complessivo va confermato in Euro 400.000,00 di cui Euro 100.000,00 a titolo di ristoro del danno all’immagine, nonché agli interessi legali, maturati dalla data di deposito della presente sentenza fino all’effettivo soddisfo, oltre alle spese del doppio grado di giudizio, che seguono la soccombenza.

P.Q.M.

La Corte dei conti – Sezione Prima Giurisdizionale Centrale – definitivamente pronunciando, ogni contraria domanda ed eccezione reietta:

- RIGETTA l’appello proposto da B. G. nei confronti della sentenza n. x emessa dalla Sezione Giurisdizionale per la Regione Liguria in data 15.07.2005 - 23.05.2006.

CONDANNA l’appellante al pagamento sia delle spese processuali del giudizio di primo grado, liquidate in Euro 397,72 sia delle spese processuali del presente giudizio di appello, liquidate in

Euro 321,96 (trecentoventuno/96)

MANDA alla Segreteria per gli adempimenti di competenza.

Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio del 17 giugno 2008

Depositata in Segreteria il 02/07/2008

Anonimo ha detto...

hanno restituito i soldi ?

Mario Procaccini ha detto...

Anonimo ha detto...
hanno restituito i soldi ?

30 settembre 2008 19.47

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La Prefettura di Roma in data 19.09.2008, con nota n.79613/13/2005 mi ha comunicato che il segretario generale con note n. 19628-19619-19620-19621-19622-19623-19624-19625 del 15/09/2008 ha comunicato agli interessati l'avvio del procedimento di recupero delle somme indebitamente erogate:

Anonimo ha detto...

vedari che alla fine qualche avviso di garanzia arriverà ?