La violenza psicologica: cos’è ?
Sempre di più, sentiamo parlare di violenza coniugale e diversi paesi stanno preparando leggi specifiche a riguardo. Da paragonare al mobbing in versione privata (viene infatti anche chiamata mobbing familiare), la violenza psicologica consiste nel manipolare l’altro per indurre stress, per mantenere od ottenere il potere nella relazione, facendosi burla delle necessità dell’altro, a volte fino a togliergli ogni esistenza personale. Fino ad ora, abbiamo sentito parlare di questo fenomeno soprattutto in campo lavorativo ma, succede anche nel privato.
Nonostante il manipolatore possa essere una donna (la manipolazione “ordinaria” è sovente opera femminile: nella coppia usuale, la donna è spesso quella che tiene le redini della relazione e manipola non poco), la manipolazione perversa e distruttiva dipende più spesso da un uomo, tanto più se alla violenza psicologica si aggiunge quella fisica.
D’altronde, vi è sempre una fase più o meno lunga di violenza psicologica, di manipolazione, prima che venga messa in atto una eventuale violenza fisica. Nessuno accetta di ricevere colpi di punto in bianco. Occorre essere molto innamorati e dipendenti affettivamente per trovare scuse in certe situazioni. Pertanto, è particolarmente importante prevenire ogni forma di sopraffazione e violenza psicologica: sono l’anticamera della violenza fisica, sebbene questa non avvenga sempre.
La violenza psicologica è una tattica vessatoria, fatta di parole o comportamenti ripetuti nel tempo capaci d’intaccare la dignità o l’integrità fisica e mentale del partner. Si tratta di umiliazioni, di abuso di potere, di manovre per isolare l’altro, farlo sentire colpevole ed inadeguato, fino a fargli perdere ogni stima di sé e, a volte, il gusto della vita. Presa separatamente, una parola o un’azione di questo genere può sembrare inoffensiva: è proprio l’accumulo di un tale comportamento che fa sicché sia una violenza psicologica, un mobbing fra le mura domestiche, vera opera di distruzione.
sabato 16 febbraio 2013
lunedì 11 febbraio 2013
D.lgs. 31/12/2012, n. 235
CAPO I
Cause ostative all'assunzione e allo svolgimento delle cariche di deputato, senatore e di membro del Parlamento europeo spettante all'Italia
Art. 1 Incandidabilità alle elezioni della Camera dei deputati e del Senato della Repubblica
1. Non possono essere candidati e non possono comunque ricoprire la carica di deputato e di senatore:
a) coloro che hanno riportato condanne definitive a pene superiori a due anni di reclusione per i delitti, consumati o tentati, previsti dall'articolo 51, commi 3-bis e 3-quater,
del codice di procedura penale;
b) coloro che hanno riportato condanne definitive a pene superiori a due anni di reclusione per i delitti, consumati o tentati, previsti nel libro II, titolo II, capo I, del codice penale;
c) coloro che hanno riportato condanne definitive a pene superiori a due anni di reclusione, per delitti non colposi, consumati o tentati, per i quali sia prevista la pena della reclusione non inferiore nel massimo a quattro anni, determinata ai sensi dell'articolo 278 del codice di procedura penale.
Art. 2 Accertamento dell'incandidabilità in occasione delle elezioni della Camera dei deputati e del Senato della Repubblica
ALCUNE NORME
Cause ostative all'assunzione e allo svolgimento delle cariche di deputato, senatore e di membro del Parlamento europeo spettante all'Italia
Art. 1 Incandidabilità alle elezioni della Camera dei deputati e del Senato della Repubblica
1. Non possono essere candidati e non possono comunque ricoprire la carica di deputato e di senatore:
a) coloro che hanno riportato condanne definitive a pene superiori a due anni di reclusione per i delitti, consumati o tentati, previsti dall'articolo 51, commi 3-bis e 3-quater,
del codice di procedura penale;
b) coloro che hanno riportato condanne definitive a pene superiori a due anni di reclusione per i delitti, consumati o tentati, previsti nel libro II, titolo II, capo I, del codice penale;
c) coloro che hanno riportato condanne definitive a pene superiori a due anni di reclusione, per delitti non colposi, consumati o tentati, per i quali sia prevista la pena della reclusione non inferiore nel massimo a quattro anni, determinata ai sensi dell'articolo 278 del codice di procedura penale.
Art. 2 Accertamento dell'incandidabilità in occasione delle elezioni della Camera dei deputati e del Senato della Repubblica
ALCUNE NORME
venerdì 8 febbraio 2013
Libertà dalla Solitudine e dalla Sofferenza.
Solitudine e disagio esistenziale sono una delle peggiori afflizioni della nostra epoca, sebbene ciò appaia un paradosso, visto che ci troviamo in un periodo in cui siamo letteralmente sommersi da comunicazioni di tutti i tipi, spesso inutili o dannose. L’uomo moderno è spesso disorientato, ha smarrito il contatto con sé stesso, chiudendosi sempre più ad autentiche esperienze di gioia e di evoluzione interiore. Non possiamo comprendere la causa della solitudine, senza prima conoscere le dinamiche che formano la personalità, realtà tanto presente quanto invisibile, magnetica e affascinante. Attraverso un’analisi psicologica e spirituale dell’uomo nella realtà della sua interezza bio-psico-spirituale, la penetrante saggezza dell’India consente di comprendere l’origine della sofferenza e suggerisce come ritrovare la via illuminata dell’armonia e del benessere.
lunedì 28 gennaio 2013
REGIONE LAZIO
http://www.regione.lazio.it/bur/
ORGANIZZAZIONEPECLA REGIONE
PresidenteGiunta regionaleConsiglio regionaleBollettino ufficialeLeggi regionaliRegolamenti regionaliDelibere della Giunta regionaleStatuto della Regione LazioARGOMENTI
AgricolturaAmbiente e Sviluppo sostenibileBilancio e ProgrammazioneCasa e Terzo SettoreConsumatoriCultura, Arte e SportEnti Locali, Sicurezza, RifiutiInformaticaInfrastrutture e Lavori PubbliciIstruzioneLavoro e FormazioneMobilità e Trasporto PubblicoPersonale, Demanio e PatrimonioPolitiche giovaniliPolitiche Sociali e FamigliaProtezione Civile, Energia, BonificheSanitàSportello EuropaStatisticaSviluppo EconomicoTerritorio e UrbanisticaTributi regionaliTurismoSERVIZI ONLINE
Banca Dati Imprese Bandi di garaConcorsiFAQ - Domande frequentiLuceverde - Traffico in tempo realeOfferte di lavoroPrenotazione prestazioni sanitarieProcedimenti amministrativiRicerca medico e pediatraScelta / revoca medico e pediatraScrivi all'URPURPCERCA A-Z Ricerca a testo libero 08:04
Lunedi 28Gennaio 2013SHOAH: POLVERINI, TENERE VIVA MEMORIA PER ARGINARE ANTISEMITISMO E NEGAZIONISMOSANITA’: SOPRALLUOGO POLVERINI A GALLERIE IPOGEE UMBERTO I
TRASPORTI: REGIONI A CONFRONTO, VIA AL TAVOLO OPERATIVO
Sei in: Home \ concorsi \ dettaglio concorso
CONTENUTI DELLA PAGINA
Determinazione n.A08047 e allegati
Procedura comparativa finalizzata al conferimento di n. 7 incarichi di collaborazione coordinata e continuativa da impiegare presso la Direzione regionale Agricoltura per il potenziamento del Servizio Fitosanitario Regionale del Lazio, ai sensi dell'art. 32, comma 6bis, del D.L. 4 luglio 2006, n. 223, come convertito dalla Legge 4 agosto 2006, n. 248. Approvazione avviso pubblico.
In allegato il testo della Determinazione n.A08047 del 3/08/2012 e i rispettivi allegati.
ALLEGATI
■Determinazione n.A08047 (pdf 81,38KB)
■Allegato 1 - Avviso pubblico (pdf 155,60KB)
■Allegato 2 - Fac simile domanda (pdf 146,67KB)
■Allegato 3 - Criteri di valutazione (pdf 100,92KB)
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Lunedi 28Gennaio 2013SHOAH: POLVERINI, TENERE VIVA MEMORIA PER ARGINARE ANTISEMITISMO E NEGAZIONISMOSANITA’: SOPRALLUOGO POLVERINI A GALLERIE IPOGEE UMBERTO I
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Determinazione n.A08047 e allegati
Procedura comparativa finalizzata al conferimento di n. 7 incarichi di collaborazione coordinata e continuativa da impiegare presso la Direzione regionale Agricoltura per il potenziamento del Servizio Fitosanitario Regionale del Lazio, ai sensi dell'art. 32, comma 6bis, del D.L. 4 luglio 2006, n. 223, come convertito dalla Legge 4 agosto 2006, n. 248. Approvazione avviso pubblico.
In allegato il testo della Determinazione n.A08047 del 3/08/2012 e i rispettivi allegati.
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domenica 13 gennaio 2013
URBANISTICA.INCOMPATIBILITA' "AUTOLAVAGGIO" ATTIVITA' INSALUBRE!
Consiglio di Stato, Sez. IV n. 6022 del 28 novembre 2012.
Urbanistica. Incompatibilità autolavaggio con la destinazione a verde privato
L’impianto di autolavaggio è incompatibile con la destinazione a verde privato, quale che sia la sua collocazione in situ e indipendentemente dalle sue dimensioni o dal fatto che venga utilizzato al solo servizio dell’attività esistente o a servizio di tutti gli utenti, indistintamente. L’impianto di lavaggio costituisce ai sensi dell’art.216 TULS, come integrato dal D.M. 2 marzo 1987, stante la equiparazione con la categoria di “stazioni per automezzi e motocicli”, attività insalubre di seconda categoria. Lo strumento urbanistico comunale e la relativa norma di attuazione del Comune di Barzanò vieta lo svolgimento di attività insalubre di I° e II° categoria in area destinate a verde privato. D’altra parte la non compatibilità urbanistica dell’autolavaggio nell’area destinata a verde privato è rilevabile di per sé dal solo esame delle finalità impresse alla zonizzazione a verde privato, in base ai principi generali fissati dalla materia urbanistica e alla disciplina concreta dettata dalle norme tecniche di attuazione del PRG comunale, nonché alla luce della situazione dello stato dei luoghi che, per come di fatto configurata, non ammette insediamenti del tutto contrastanti con le caratteristiche tipologiche dei vicini edifici e della connessa funzione residenziale. (Segnalazione e massima a cura di F. Albanese)
Urbanistica. Incompatibilità autolavaggio con la destinazione a verde privato
L’impianto di autolavaggio è incompatibile con la destinazione a verde privato, quale che sia la sua collocazione in situ e indipendentemente dalle sue dimensioni o dal fatto che venga utilizzato al solo servizio dell’attività esistente o a servizio di tutti gli utenti, indistintamente. L’impianto di lavaggio costituisce ai sensi dell’art.216 TULS, come integrato dal D.M. 2 marzo 1987, stante la equiparazione con la categoria di “stazioni per automezzi e motocicli”, attività insalubre di seconda categoria. Lo strumento urbanistico comunale e la relativa norma di attuazione del Comune di Barzanò vieta lo svolgimento di attività insalubre di I° e II° categoria in area destinate a verde privato. D’altra parte la non compatibilità urbanistica dell’autolavaggio nell’area destinata a verde privato è rilevabile di per sé dal solo esame delle finalità impresse alla zonizzazione a verde privato, in base ai principi generali fissati dalla materia urbanistica e alla disciplina concreta dettata dalle norme tecniche di attuazione del PRG comunale, nonché alla luce della situazione dello stato dei luoghi che, per come di fatto configurata, non ammette insediamenti del tutto contrastanti con le caratteristiche tipologiche dei vicini edifici e della connessa funzione residenziale. (Segnalazione e massima a cura di F. Albanese)
sabato 5 gennaio 2013
Abusi edilizi: sanzioni pecuniarie - prescrizioni -
Abusi edilizi: sanzioni pecuniarie - prescrizioni -
Il TAR Veneto affronta una questione della prescrizione delle sanzioni pecuniarie comminate in seguito ad accertamento di abuso edilizio, quale illecito permanente, asesrendo che:
9.3. Secondo il costante orientamento della giurisprudenza è incontestata l'applicabilità alle sanzioni edilizie del principio di cui all'art. 28 della legge n. 689/1981, a norma del quale «il diritto a riscuotere le somme dovute per le violazioni amministrative punite con pena pecuniaria si prescrive nel termine di cinque anni dal giorno in cui è stata commessa la violazione». Tale disposizione è applicabile, per espresso dettato legislativo, a tutte le violazioni punite con sanzioni amministrative pecuniarie, anche se non previste in sostituzione di una sanzione penale (art. 12 legge n. 689/1981) e, quindi, anche agli illeciti amministrativi in materia urbanistica, edilizia e paesistica puniti con sanzione pecuniaria;
Il TAR prosegue argomentando:
9.4. Nell'applicare tale regola, tuttavia, con riguardo all'individuazione del dies a quo della decorrenza della prescrizione, occorre tener conto della particolare natura degli illeciti in materia urbanistica, edilizia e paesistica, i quali, ove consistano nella realizzazione di opere senza le prescritte concessioni e autorizzazioni, hanno carattere di illeciti permanenti, di talché la commissione degli illeciti medesimi si protrae nel tempo, e viene meno solo con il cessare della situazione di illiceità, vale a, dire con il conseguimento delle prescritte autorizzazioni. Inoltre, per la decorrenza della prescrizione dell'illecito amministrativo permanente, trova applicazione il principio relativo al reato permanente, secondo cui il termine della prescrizione decorre dal giorno in cui è cessata la permanenza; pertanto, per gli illeciti amministrativi in materia paesistica, urbanistica ed edilizia la prescrizione quinquennale di cui all'art. 28 legge n. 689/1981 inizia a decorrere solo dalla cessazione della permanenza, con la conseguenza che, vertendosi in materia di illeciti permanenti, il potere amministrativo repressivo, come la determinazione di applicare la sanzione pecuniaria , può essere esercitato senza limiti di tempo e senza necessità di motivazione in ordine al ritardo nell'esercizio del potere (cfr. Cons. Stato, IV, 16.4.2010, n. 2160; Cons. Stato, V, 13.7. 2006, n. 4420; Cons. Stato, IV, 2.6.2000, n. 3184).
9.5. Più in particolare, per quanto concerne il momento in cui può dirsi cessata la permanenza per gli illeciti amministrativi in materia urbanistica edilizia e paesistica, mentre per il diritto penale rileva la condotta commissiva (sicché la prescrizione del reato inizia a decorrere dalla sua ultimazione), per il diritto amministrativo si è in presenza di un illecito di carattere permanente, caratterizzato dall'omissione dell'obbligo, perdurante nel tempo, di ripristinare secundum jus lo stato dei luoghi, con l'ulteriore conclusione che se l'Autorità emana un provvedimento repressivo (di demolizione, ovvero di irrogazione di una sanzione pecuniaria), non emana un atto «a distanza di tempo» dall'abuso, ma reprime una situazione antigiuridica contestualmente contra jus, ancora sussistente. Se ne ricava, dunque, che nel campo dell'illecito amministrativo la permanenza cessa e il termine quinquennale di prescrizione comincia a decorrere o con l'irrogazione della sanzione pecuniaria o con il conseguimento dell'autorizzazione che, secondo pacifico orientamento, può essere rilasciata anche in via postuma (cfr. Cons. Stato, Ad. Gen., 11.4. 2002, n. 4; Cons. Stato, VI, 12.5. 2003, n. 2653)
lunedì 31 dicembre 2012
buon 2013
mi auguro che il nuovo anno porti tranquillità a tutti e che non si parli solo di violenza sulle donne...ma si parli anche della viiolenza nelle mure domestike!quante donne accoltellano i mariti? Non deve fare scandolo solo la morte di una donna......la violenza è sempre violenza da qualsiasi parte arrivi.AUGURI di buon anno a tutti!
venerdì 28 dicembre 2012
URBANISTICO - Ristrutturazione - Distinzione tra ristrutturazione pesante e
URBANISTICO - Ristrutturazione - Distinzione tra ristrutturazione pesante e
ristrutturazione leggera - Artt. 10, c. 1, lett. c) e 22, c. 1 d.P.R. n.
380/2001 - Titolo abilitante - Sanzioni applicabili in caso di interventi
abusivi.
La distinzione tra le due tipologie di ristrutturazione edilizia
(cd. pesante, disciplinata dall’art. 10, comma 1 lettera c) del D.P.R. 380/2001
e cd. leggera, disciplinata dall’art. 22, comma 1 dello stesso D.P.R.) rileva
sotto un duplice profilo: quanto al titolo abilitante all’edificazione e quanto
alle sanzioni applicabili in caso di interventi abusivi. Sotto il primo profilo,
mentre gli interventi di ristrutturazione edilizia pesante sono subordinati a
permesso di costruire, gli interventi di ristrutturazione edilizia “leggeraâ€
sono realizzabili mediante denuncia di inizio attività ; sotto il secondo
profilo, mentre gli interventi di ristrutturazione edilizia “pesante†sono
sanzionati (allorchè abusivi) con la rimozione o la demolizione dell’opera,
ovvero, nel caso in cui il ripristino dello stato dei luoghi non sia possibile,
con l’applicazione di una sanzione pecuniaria, secondo quanto previsto dall’art.
33 del D.P.R. 380/2001, gli interventi di ristrutturazione edilizia “leggeraâ€,
invece, possono essere sanzionati (ove abusivi) soltanto con l’applicazione di
una sanzione pecuniaria, secondo quanto previsto dall’art. 37, comma 1 D.P.R.
380/2001. Pres. Binachi, Est. Limongelli -
ristrutturazione leggera - Artt. 10, c. 1, lett. c) e 22, c. 1 d.P.R. n.
380/2001 - Titolo abilitante - Sanzioni applicabili in caso di interventi
abusivi.
La distinzione tra le due tipologie di ristrutturazione edilizia
(cd. pesante, disciplinata dall’art. 10, comma 1 lettera c) del D.P.R. 380/2001
e cd. leggera, disciplinata dall’art. 22, comma 1 dello stesso D.P.R.) rileva
sotto un duplice profilo: quanto al titolo abilitante all’edificazione e quanto
alle sanzioni applicabili in caso di interventi abusivi. Sotto il primo profilo,
mentre gli interventi di ristrutturazione edilizia pesante sono subordinati a
permesso di costruire, gli interventi di ristrutturazione edilizia “leggeraâ€
sono realizzabili mediante denuncia di inizio attività ; sotto il secondo
profilo, mentre gli interventi di ristrutturazione edilizia “pesante†sono
sanzionati (allorchè abusivi) con la rimozione o la demolizione dell’opera,
ovvero, nel caso in cui il ripristino dello stato dei luoghi non sia possibile,
con l’applicazione di una sanzione pecuniaria, secondo quanto previsto dall’art.
33 del D.P.R. 380/2001, gli interventi di ristrutturazione edilizia “leggeraâ€,
invece, possono essere sanzionati (ove abusivi) soltanto con l’applicazione di
una sanzione pecuniaria, secondo quanto previsto dall’art. 37, comma 1 D.P.R.
380/2001. Pres. Binachi, Est. Limongelli -
lunedì 24 dicembre 2012
BUON NATALE
Auguro inoltre a tutti Voi di accogliere l'Anno Nuovo con tutte le speranze e le aspettative che Vi hanno accompagnato fino ad ora, nell'attesa di costruire insieme tutte quelle che si realizzeranno per rendere migliore la qualità della nostra vita.
martedì 18 dicembre 2012
SINCERI AUGURI DI BUONE FESTIVITA'
Sinceri auguri di Buone Festività
Carissimi, condivido con Voi e le Vostre famiglie, il calore e i valori del Santo Natale.
Auguro inoltre a tutti Voi di accogliere l'Anno Nuovo con tutte le speranze e le aspettative che Vi hanno accompagnato fino ad ora, nell'attesa di costruire insieme tutte quelle che si realizzeranno per rendere migliore la qualità della nostra vita.
Cav. Procaccini Mario
mercoledì 5 dicembre 2012
E' NATALE
E' NATALE se ami, è natale se doni,se chiami qualcuno che è solo a stare con te, è natale se vivi,se dai un sorriso a chi non sa farlo,se sei vicino a c hi soffre più di te: E' NATALE se stringi al tuo cuore un bambino come se fosse tuo figlio anche se non lo è, E' natale ogni giorno se sai dare amore anche a chi non sa amare. E' NATALE auguri con amore a tutti voi.
Cav Mario Procaccini
Cav Mario Procaccini
martedì 13 novembre 2012
Cassazione: Non commette reato l’ex che non versa l’assegno di mantenimento se la moglie può mantenere i figli
8/10/10
Cassazione: Non commette reato l’ex che non versa l’assegno di mantenimento se la moglie può mantenere i figli
Cambio di rotta della Cassazione sugli obblighi verso i figli. Infatti, l’ex marito che non versa l’assegno di mantenimento alla moglie e ai figli non commette reato, se la donna non è indigente e non fa mancare ai minori i mezzi di sussistenza. Si tratta di un’inadempienza civilistica che non ha alcuna rilevanza penale.
Lo ha sancito la Suprema Corte che, con la sentenza 36190 di oggi, ha accolto il ricorso di un padre condannato per violazione degli obblighi familiari. L’uomo non aveva versato l’assegno di appena duecento euro che doveva dare all’ex moglie per contribuire al mantenimento dei figli, e sia il Tribunale di Taranto sia la Corte d’Appello di Lecce l’avevano condannato per il reato previsto dall’art. 570 del codice penale, che punisce chi fa mancare ai figli i mezzi di sussistenza. Condanna annullata dalla sesta sezione penale, con una decisione che sembra andare controcorrente rispetto alla linea solitamente adottata dalla giurisprudenza sul tema, che ha più volte ribadito come il padre non possa sottrarsi agli obblighi di assistenza familiare nei confronti dei figli, solo perché questi sono aiutati economicamente da terzi. Senza andare troppo in là nel tempo, proprio una sentenza del 2009, la 2736, aveva stabilito che “in tema di violazione degli obblighi di assistenza familiare, lo stato di bisogno e l'obbligo del genitore di contribuire al mantenimento dei figli minori non vengono meno quando gli aventi diritto siano assistiti economicamente da terzi, anche in relazione alla percezione di eventuali elargizioni a carico della pubblica assistenza.” La decisione di oggi assolve invece il padre dal reato, se la madre può comunque provvedere ai figli. “L'unico comportamento penalmente rilevante del coniuge obbligato al versamento di un assegno di mantenimento in favore dell'altro coniuge dal quale viva separato, o dei figli minori od inabili a questi affidati” si legge infatti in sentenza “si realizza allorché l'omissione totale o parziale del versamento faccia mancare i mezzi di sussistenza ai beneficiari dell'assegno, ne consegue che non risponde del reato di cui al comma 1 dell’art. 570 c.p. il coniuge che non versa l’assegno di mantenimento ai figli, qualora la capacità economica del coniuge affidatario, non indigente, sia sufficiente a garantirgli i mezzi di sussistenza.”
ECCO L'ESTRATTO DELLA SENTENZA:
Ex coniuge non versa l’assegno di mantenimento - Non si configura un reato ma solo una inadempienza senza rilievo penale se la moglie non versa in stato di indigenza
Corte di Cassazione Sez. Sesta Pen. - Sent. del 08.10.2010, n. 36190
FATTO
Chiamato a rispondere del reato ex artt. 388-570 cpv. cp., per non avere ottemperato all’obbligo di corrispondere, a titolo di concorso nel mantenimento dei figli, fra cui uno minore, l’assegno mensile di € 206,58 disposto con sentenza di separazione passata in giudicato il 21.10.1999, così facendo mancare i mezzi di sussistenza, (…) ritenuto responsabile dal Tribunale di Taranto del reato di cui al comma 1 dell’art. 570 cp., così modificata la rubrica, essendosi ritenuto che l’accertata inadempienza dell’imputato al predetto obbligo civilistico non potesse integrare l‘ipotesi di cui al cpv. del cit art. 570 c.p., stante l’assenza delle condizioni di indigenza in capo alla ex moglie del (…) affidataria dei figli.
Adita dall’impugnazione del prevenuto, la Corte di Appello di Lecce, Sez. Dist. di Taranto, con sentenza del 12.02.2009, confermava la pronuncia di primo grado.
Propone ricorso per cassazione l’imputato a mezzo del difensore, deducendo che la Corte di merito non ha adeguatamente motivato in ordine alla capacità economica del (…) e ha illegittimamente respinto l’eccezione con cui si era denunciata l’impossibilità di ricondurre la condotta ascritta alla fattispecie di cui all’art. 570, comma 1,c.p.
DIRITTO
Il ricorso è fondato nei sensi di cui appresso.
Nella specie, invero, il Tribunale, dando rilievo alla capacità economica della ex moglie affidataria dei figli, ebbe, da un lato, ad escludere che la condotta omissiva contestata all’imputato avesse fatto loro mancare i mezzi di sussistenza, e ritenne, dall’altro, che la condotta stessa integrasse la fattispecie di cui al comma 1 dell’art. 570 c.p., per la quale condannò il prevenuto, previa modificazione della rubrica.
La decisione del primo giudice, non impugnata dal P.M., è stata confermata dalla Corte di appello.
E’ evidente che in tal modo i giudici di merito sono incorsi nel duplice errore di omettere di pronunciare l’assoluzione del (…) per insussistenza del fatto, così come contestatogli, e al riqualificare la (residua) mera inadempienza civilistica, di per sé penalmente irrilevante, come reato previsto e punito a sensi del primo comma dell’art. 570 c.p.
E’ noto, infatti, che nell’art. 570 c.p. sono previste due diverse ipotesi criminose, la prima (comma 1) relativa alla violazione degli obblighi di assistenza morale, la seconda (comma 2) relativa alla mancata assistenza materiale (v., fra le altre, Cass. 01.05.1973 e che l’unico comportamento penalmente rilevante del coniuge obbligato al versamento di un assegno di mantenimento in favore dell’altro coniuge dal quale viva separato, o dei figli minori od inabili a questi affidati, si realizza allorché l’omissione totale o parziale del versamento faccia mancare i mezzi di sussistenza ai beneficiaci dell’assegno (Cass. 21.11.1991)
Alla stregua di tanto, ed essendo mancata nella specie ogni impugnativa da parte del P.M.
non può che annullarsi senza rinvio la sentenza impugnata in ordine al reato di cui al comma 2 dell’art. 570 c.p, così sussiste riqualificata I’imputazione, perché il fatto non sussiste.
P.Q.M.
Visti gli artt. 615 e 620 c.p.p., annulla senza rinvio la sentenza impugnata in ordine al reato di cui all’art. 570, secondo comma, c.p., così riqualificata l’imputazione, perché il fatto non sussiste.
Depositata in Cancelleria il 08.10.2010
Cassazione: Non commette reato l’ex che non versa l’assegno di mantenimento se la moglie può mantenere i figli
Cambio di rotta della Cassazione sugli obblighi verso i figli. Infatti, l’ex marito che non versa l’assegno di mantenimento alla moglie e ai figli non commette reato, se la donna non è indigente e non fa mancare ai minori i mezzi di sussistenza. Si tratta di un’inadempienza civilistica che non ha alcuna rilevanza penale.
Lo ha sancito la Suprema Corte che, con la sentenza 36190 di oggi, ha accolto il ricorso di un padre condannato per violazione degli obblighi familiari. L’uomo non aveva versato l’assegno di appena duecento euro che doveva dare all’ex moglie per contribuire al mantenimento dei figli, e sia il Tribunale di Taranto sia la Corte d’Appello di Lecce l’avevano condannato per il reato previsto dall’art. 570 del codice penale, che punisce chi fa mancare ai figli i mezzi di sussistenza. Condanna annullata dalla sesta sezione penale, con una decisione che sembra andare controcorrente rispetto alla linea solitamente adottata dalla giurisprudenza sul tema, che ha più volte ribadito come il padre non possa sottrarsi agli obblighi di assistenza familiare nei confronti dei figli, solo perché questi sono aiutati economicamente da terzi. Senza andare troppo in là nel tempo, proprio una sentenza del 2009, la 2736, aveva stabilito che “in tema di violazione degli obblighi di assistenza familiare, lo stato di bisogno e l'obbligo del genitore di contribuire al mantenimento dei figli minori non vengono meno quando gli aventi diritto siano assistiti economicamente da terzi, anche in relazione alla percezione di eventuali elargizioni a carico della pubblica assistenza.” La decisione di oggi assolve invece il padre dal reato, se la madre può comunque provvedere ai figli. “L'unico comportamento penalmente rilevante del coniuge obbligato al versamento di un assegno di mantenimento in favore dell'altro coniuge dal quale viva separato, o dei figli minori od inabili a questi affidati” si legge infatti in sentenza “si realizza allorché l'omissione totale o parziale del versamento faccia mancare i mezzi di sussistenza ai beneficiari dell'assegno, ne consegue che non risponde del reato di cui al comma 1 dell’art. 570 c.p. il coniuge che non versa l’assegno di mantenimento ai figli, qualora la capacità economica del coniuge affidatario, non indigente, sia sufficiente a garantirgli i mezzi di sussistenza.”
ECCO L'ESTRATTO DELLA SENTENZA:
Ex coniuge non versa l’assegno di mantenimento - Non si configura un reato ma solo una inadempienza senza rilievo penale se la moglie non versa in stato di indigenza
Corte di Cassazione Sez. Sesta Pen. - Sent. del 08.10.2010, n. 36190
FATTO
Chiamato a rispondere del reato ex artt. 388-570 cpv. cp., per non avere ottemperato all’obbligo di corrispondere, a titolo di concorso nel mantenimento dei figli, fra cui uno minore, l’assegno mensile di € 206,58 disposto con sentenza di separazione passata in giudicato il 21.10.1999, così facendo mancare i mezzi di sussistenza, (…) ritenuto responsabile dal Tribunale di Taranto del reato di cui al comma 1 dell’art. 570 cp., così modificata la rubrica, essendosi ritenuto che l’accertata inadempienza dell’imputato al predetto obbligo civilistico non potesse integrare l‘ipotesi di cui al cpv. del cit art. 570 c.p., stante l’assenza delle condizioni di indigenza in capo alla ex moglie del (…) affidataria dei figli.
Adita dall’impugnazione del prevenuto, la Corte di Appello di Lecce, Sez. Dist. di Taranto, con sentenza del 12.02.2009, confermava la pronuncia di primo grado.
Propone ricorso per cassazione l’imputato a mezzo del difensore, deducendo che la Corte di merito non ha adeguatamente motivato in ordine alla capacità economica del (…) e ha illegittimamente respinto l’eccezione con cui si era denunciata l’impossibilità di ricondurre la condotta ascritta alla fattispecie di cui all’art. 570, comma 1,c.p.
DIRITTO
Il ricorso è fondato nei sensi di cui appresso.
Nella specie, invero, il Tribunale, dando rilievo alla capacità economica della ex moglie affidataria dei figli, ebbe, da un lato, ad escludere che la condotta omissiva contestata all’imputato avesse fatto loro mancare i mezzi di sussistenza, e ritenne, dall’altro, che la condotta stessa integrasse la fattispecie di cui al comma 1 dell’art. 570 c.p., per la quale condannò il prevenuto, previa modificazione della rubrica.
La decisione del primo giudice, non impugnata dal P.M., è stata confermata dalla Corte di appello.
E’ evidente che in tal modo i giudici di merito sono incorsi nel duplice errore di omettere di pronunciare l’assoluzione del (…) per insussistenza del fatto, così come contestatogli, e al riqualificare la (residua) mera inadempienza civilistica, di per sé penalmente irrilevante, come reato previsto e punito a sensi del primo comma dell’art. 570 c.p.
E’ noto, infatti, che nell’art. 570 c.p. sono previste due diverse ipotesi criminose, la prima (comma 1) relativa alla violazione degli obblighi di assistenza morale, la seconda (comma 2) relativa alla mancata assistenza materiale (v., fra le altre, Cass. 01.05.1973 e che l’unico comportamento penalmente rilevante del coniuge obbligato al versamento di un assegno di mantenimento in favore dell’altro coniuge dal quale viva separato, o dei figli minori od inabili a questi affidati, si realizza allorché l’omissione totale o parziale del versamento faccia mancare i mezzi di sussistenza ai beneficiaci dell’assegno (Cass. 21.11.1991)
Alla stregua di tanto, ed essendo mancata nella specie ogni impugnativa da parte del P.M.
non può che annullarsi senza rinvio la sentenza impugnata in ordine al reato di cui al comma 2 dell’art. 570 c.p, così sussiste riqualificata I’imputazione, perché il fatto non sussiste.
P.Q.M.
Visti gli artt. 615 e 620 c.p.p., annulla senza rinvio la sentenza impugnata in ordine al reato di cui all’art. 570, secondo comma, c.p., così riqualificata l’imputazione, perché il fatto non sussiste.
Depositata in Cancelleria il 08.10.2010
domenica 4 novembre 2012
Ristorante "That's Amore" Via Porta Napoletana 1/3
Oggi bellissima giornata in Valmontone, presso il ristorante "That's Amore". Una giornata da non dimenticare sia per il pranzo, per il posto, con una panoramica bellissima ed il ristorante pieno di belle persone. Servizio perfetto e tante cose da mangiare veramente buone. La mia non vuole essere pubblicità, ma abbiamo mangiato veramente bene.
sabato 20 ottobre 2012
La destinazione d’uso di un immobile non si identifica con l’impiego che in concreto ne fa il soggetto che lo utilizza, ma con la destinazione impressa dal titolo abilitativo, e ciò in quanto la nozione di “uso” urbanisticamente rilevante è ancorata alla tipologia strutturale dell’immobile – quale individuata nel titolo edilizio –, senza che essa possa essere influenzata da utilizzazioni difformi rispetto al contenuto degli atti autorizzatori e/o pianificatori
TAR Emilia Romagna (BO) Sez.I n.566 del 17 settembre 2012
Urbanistica. Destinazione d'uso di immobile
La destinazione d’uso di un immobile non si identifica con l’impiego che in concreto ne fa il soggetto che lo utilizza, ma con la destinazione impressa dal titolo abilitativo, e ciò in quanto la nozione di “uso” urbanisticamente rilevante è ancorata alla tipologia strutturale dell’immobile – quale individuata nel titolo edilizio –, senza che essa possa essere influenzata da utilizzazioni difformi rispetto al contenuto degli atti autorizzatori e/o pianificatori
N. 00566/2012 REG.PROV.COLL.
N. 00160/2012 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Emilia Romagna
(Sezione Prima)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 160 del 2012, proposto da:
Salvatore Dargenio e Angela Fiorella, rappresentati e difesi dagli avv. Maria Paola Marani, Alberto Della Fontana, con domicilio eletto presso Segreteria Tar in Bologna, Strada Maggiore 53;,
contro
Comune di Modena, rappresentato e difeso dagli avv. Stefano Maini, Vincenzo Villani, Raffaella Maritan, con domicilio eletto presso Raffaella Maritan in Bologna, via Larga 22/2;
e con l'intervento di
ad adiuvandum:
Cesa Costruzioni S.p.A., rappresentata e difesa dagli avv. Corrado Orienti, Maria Elena Maratia, con domicilio eletto presso Francesca Minotti in Bologna, Galleria Marconi N.2;
per l'annullamentodel provvedimento prot. n. 143975/11 in data 5 dicembre 2011 del Dirigente Responsabile del Settore Trasformazione Urbana e Qualità Edilizia del Comune di Modena, nonchè, in quanto occorrer possa, dell'allegata lettera di motivazioni prot. n. 133386 in data 14.11.2011 a firma del medesimo Dirigente, notificati il 13.12.2011, con il quale è stato ingiunto ai ricorrenti, ai sensi dell'art. 9 comma 1 L.R. 23/2004, di demolire nel termine di novanta giorni le pannellature ed i portoni basculanti installati a chiusura di due posti auto ubicati nell'interrato dell'immobile sito in Modena, Via Cattaneo 30/a, identificato catastalmente al foglio 154 mappali 206-207, al fine di ripristinare la destinazione delle relative aree a "spazi per sosta e parcheggi pubblici in interrato".
Visti il ricorso e i relativi allegati;
Visto l'atto di costituzione in giudizio di Comune di Modena;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell'udienza pubblica del giorno 12 luglio 2012 il dott. Ugo Di Benedetto e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO e DIRITTO
Proprietari pro indiviso di due posti-auto ubicati nel piano interrato dell’immobile di via Cattaneo n. 30/A del Comune di Modena, i ricorrenti si vedevano ingiunta dall’Amministrazione comunale, ai sensi dell’art. 9, comma 1, della legge reg. n. 23 del 2004, la demolizione delle pannellature e dei portoni basculanti in acciaio ivi installati, al fine di rimuovere i “…box auto chiusi destinati al solo utilizzo privato …” e ripristinarne la destinazione a “spazi per sosta e parcheggi pubblici in interrato” (v. provvedimento prot. n. 143975/11 del 5 dicembre 2011, a firma del Dirigente responsabile del Settore Trasformazione urbana e Qualità edilizia - Unità Abusivismo e Condono edilizio).
Avverso tale provvedimento hanno proposto impugnativa gli interessati. Assumono erroneo il presupposto secondo cui tutti i posti auto del piano interrato di quell’immobile costituirebbero, sebbene privati, parcheggi funzionali alle attività terziarie e direzionali insediate negli edifici del comparto realizzato con il piano particolareggiato del 1991, e quindi rappresenterebbero “spazi per sosta e parcheggi pubblici in interrato”, ai sensi dell’art. 81.2 delle n.t.a. del piano regolatore dell’epoca, ovvero spazi destinati ad operare come strutture aperte non suddivise in box; adduce che, in realtà, la concessione edilizia rilasciata nel 1993 riguardava l’esecuzione di lavori di “interrato sottopiazza ad uso parcheggi di pertinenza” e che le convenzioni urbanistiche a suo tempo stipulate tra il Comune di Modena e la Agoracinque S.c.a.r.l. – soggetto attuatore del piano particolareggiato – non contemplavano il diritto di uso pubblico dei posti-auto, tanto che nessuna servitù pubblica o altro similare onere di carattere reale è stato mai trascritto per gli effetti di cui agli artt. 2643 e 2644 cod.civ.; insistono, quindi, per la qualificazione di detti posti-auto come ordinari parcheggi di pertinenza ex art. 41-sexies della legge urbanistica, anche per non potersi opporre un eventuale vincolo di destinazione pubblica – non trascritto – ai terzi acquirenti degli stessi e per non risultare neppure applicabile lo ius superveniens di cui alle nuove norme di PSC-POC-RUE; invoca, infine, il principio, codificato nell’art. 26, comma 3, della legge reg. n. 31 del 2002, secondo cui la destinazione d’uso dell’immobile è quella stabilita dal titolo abilitativo che ne ha autorizzato la costruzione. Di qui la richiesta di annullamento dell’atto impugnato, previa accertamento incidenter tantum (art. 8 cod.proc.amm.) dell’inesistenza di qualsivoglia diritto o servitù di uso pubblico sui posti-auto di proprietà del ricorrente.
Si è costituito in giudizio il Comune di Modena, resistendo al gravame.
Ha spiegato atto di intervento ad adiuvandum la CESA Costruzioni S.p.A., che aveva illo tempore venduto al ricorrente i posti-auto oggetto della controversia.
All’udienza del 12 luglio 2012, ascoltati i rappresentanti delle parti, la causa è passata in decisione.
Il ricorso è infondato.
Va premesso che, secondo un costante orientamento giurisprudenziale, la destinazione d’uso di un immobile non si identifica con l’impiego che in concreto ne fa il soggetto che lo utilizza, ma con la destinazione impressa dal titolo abilitativo (v., ex multis, Cons. Stato, Sez. V, 9 febbraio 2001 n. 583; TAR Liguria, Sez. I, 25 gennaio 2005 n. 85), e ciò in quanto la nozione di “uso” urbanisticamente rilevante è ancorata alla tipologia strutturale dell’immobile – quale individuata nel titolo edilizio –, senza che essa possa essere influenzata da utilizzazioni difformi rispetto al contenuto degli atti autorizzatori e/o pianificatori (v., tra le altre, TAR Lombardia, Milano, Sez. II, 7 maggio 1992 n. 219). Tale principio, d’altra parte, risulta codificato anche nella legislazione della Regione Emilia-Romagna, laddove è previsto che la “destinazione d’uso in atto dell’immobile o dell’unità immobiliare è quella stabilita dal titolo abilitativo che ne ha previsto la costruzione o l’ultimo intervento e recupero o, in assenza o indeterminatezza del titolo, dalla classificazione catastale attribuita in sede di primo accatastamento ovvero da altri documenti probanti” (art. 26, comma 3, legge reg. n. 31/2002).
Ciò posto, emerge dagli atti di causa che, allorquando la Agoracinque S.c.a.r.l. chiese in data 29 aprile 1992 il rilascio della concessione edilizia per i lavori di «interrato sottopiazza ad uso parcheggi di pertinenza», l’Amministrazione comunale istruiva la pratica e acquisiva l’avviso positivo del Settore Gestione controlli trasformazioni urbanistiche (con la precisazione: “…Il Planivolumetrico prevedeva la realizzazione nell’interrato di posti auto da utilizzarsi come parcheggi di pertinenza al servizio delle attività direzionali dei fabbricati limitrofi. Parere favorevole a condizione che siano ricavati parcheggi di pertinenza anziché box chiusi. 16-7-92 …”) e il parere favorevole della Commissione edilizia (con la motivazione: “…a condizione … che venga rispettato il P.P. e vengano ricavati nell’interrato parcheggi di pertinenza di uso pubblico e non garages o box chiusi …”), atti istruttori che, per venire in modo esplicito richiamati nella concessione edilizia del 18 febbraio 1993, non impugnata, rappresentano evidentemente elementi costitutivi della volontà ivi espressa dall’Amministrazione comunale e quindi indici essenziali per definire la reale portata del provvedimento. Ben si comprende, allora, come il titolo abilitativo, nel quadro del piano particolareggiato c.d. “zona Corassori” e delle relative dotazioni di standard, intendesse destinare quei posti-auto al soddisfacimento delle necessità di parcheggio degli utenti della attività direzionali insediate nel comparto, vincolo di destinazione che – come si è detto – viene a connotare in modo stabile le relative opere, indipendentemente dall’uso che se ne è poi in concreto fatto nel periodo successivo da parte degli interessati, e che resta quindi ancora rilevante quando, pur a distanza di un considerevole arco di tempo, le caratteristiche strutturali di quelle aree sono state modificate in termini tali (trasformazione in veri e propri “box auto” chiusi) da renderle oggettivamente inidonee all’uso a suo tempo autorizzato, giustificando l’intervento repressivo dell’Amministrazione comunale, ai sensi dell’art. 9, comma 1, della legge reg. n. 23 del 2004 (“Lo Sportello unico per l’edilizia, quando accerti l’inizio o l’esecuzione di opere, realizzate senza titolo o in difformità dallo stesso, su aree assoggettate, da leggi statali, regionali o da altre norme urbanistiche vigenti, a vincolo di inedificabilità o destinate ad opere e spazi pubblici … ordina l’immediata sospensione dei lavori e ingiunge al proprietario e al responsabile dell’abuso di provvedere entro novanta giorni alla demolizione delle opere e al ripristino dello stato dei luoghi …”). Resta naturalmente estranea al presente giudizio, in assenza di una domanda giudiziale in tal senso, ogni verifica circa la conformità della concessione edilizia del 1993, non impugnata, rispetto alla disciplina di piano dell’area allora vigente, primaria o attuativa.
Né contrasta la suindicata conclusione la circostanza, addotta dal ricorrente, che l’omessa trascrizione del vincolo nei registri immobiliari si tradurrebbe nella inopponibilità dello stesso ai terzi acquirenti del bene. In realtà, essendo il vincolo di destinazione d’uso il risultato dell’efficacia costitutiva del rilascio della concessione edilizia, le limitazioni connesse a tale destinazione si risolvono in una qualità obiettiva del fondo che, proprio perché formata da un provvedimento amministrativo, si presenta opponibile anche ai terzi acquirenti, fatti salvi i rimedi giurisdizionali e amministrativi azionabili nei confronti del titolo abilitativo eventualmente illegittimo; d’altra parte, come è noto, la tutela dei terzi è assicurata in materia con la pacifica accessibilità agli atti urbanistico/edilizi del comune e con la conseguente possibilità di conoscenza della destinazione d’uso impressa ad ogni singolo immobile oggetto di interesse dei consociati, secondo modalità che garantiscono un’adeguata pubblicità e quindi una sufficiente circolazione delle informazioni. Quanto, poi, all’obiezione secondo cui dall’art. 81.2 delle n.t.a. del piano regolatore dell’epoca si evincerebbe un vero e proprio “obbligo di trascrizione” della convenzione da redigere per la costituzione della servitù di pubblico passaggio relativa ai parcheggi, osserva il Collegio che, quale che sia l’effettivo àmbito di operatività della norma di piano invocata, una sua eventuale disapplicazione non pregiudicherebbe in ogni caso l’efficacia della concessione edilizia allora rilasciata e il conseguente vincolo di destinazione ivi previsto, a fronte – come si è detto – dell’autonoma capacità del medesimo vincolo ad esplicare effetti verso gli aventi causa dell’originario richiedente.
In conclusione, per risultare sufficientemente legittimato l’ordine di demolizione dalla destinazione d’uso impressa dalla concessione edilizia del 1993, si può prescindere dalle questioni che investono direttamente il piano particolareggiato c.d. “zona Corassori”. Di qui il rigetto del ricorso.
Attesa la peculiarità della controversia, si ravvisa la sussistenza di giusti motivi per disporre la compensazione delle spese di lite.
P.Q.M.
Il Tribunale Amministrativo Regionale per l'Emilia Romagna (Sezione Prima)
definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo respinge.
Spese compensate.
Urbanistica. Destinazione d'uso di immobile
La destinazione d’uso di un immobile non si identifica con l’impiego che in concreto ne fa il soggetto che lo utilizza, ma con la destinazione impressa dal titolo abilitativo, e ciò in quanto la nozione di “uso” urbanisticamente rilevante è ancorata alla tipologia strutturale dell’immobile – quale individuata nel titolo edilizio –, senza che essa possa essere influenzata da utilizzazioni difformi rispetto al contenuto degli atti autorizzatori e/o pianificatori
N. 00566/2012 REG.PROV.COLL.
N. 00160/2012 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Emilia Romagna
(Sezione Prima)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 160 del 2012, proposto da:
Salvatore Dargenio e Angela Fiorella, rappresentati e difesi dagli avv. Maria Paola Marani, Alberto Della Fontana, con domicilio eletto presso Segreteria Tar in Bologna, Strada Maggiore 53;,
contro
Comune di Modena, rappresentato e difeso dagli avv. Stefano Maini, Vincenzo Villani, Raffaella Maritan, con domicilio eletto presso Raffaella Maritan in Bologna, via Larga 22/2;
e con l'intervento di
ad adiuvandum:
Cesa Costruzioni S.p.A., rappresentata e difesa dagli avv. Corrado Orienti, Maria Elena Maratia, con domicilio eletto presso Francesca Minotti in Bologna, Galleria Marconi N.2;
per l'annullamentodel provvedimento prot. n. 143975/11 in data 5 dicembre 2011 del Dirigente Responsabile del Settore Trasformazione Urbana e Qualità Edilizia del Comune di Modena, nonchè, in quanto occorrer possa, dell'allegata lettera di motivazioni prot. n. 133386 in data 14.11.2011 a firma del medesimo Dirigente, notificati il 13.12.2011, con il quale è stato ingiunto ai ricorrenti, ai sensi dell'art. 9 comma 1 L.R. 23/2004, di demolire nel termine di novanta giorni le pannellature ed i portoni basculanti installati a chiusura di due posti auto ubicati nell'interrato dell'immobile sito in Modena, Via Cattaneo 30/a, identificato catastalmente al foglio 154 mappali 206-207, al fine di ripristinare la destinazione delle relative aree a "spazi per sosta e parcheggi pubblici in interrato".
Visti il ricorso e i relativi allegati;
Visto l'atto di costituzione in giudizio di Comune di Modena;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell'udienza pubblica del giorno 12 luglio 2012 il dott. Ugo Di Benedetto e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO e DIRITTO
Proprietari pro indiviso di due posti-auto ubicati nel piano interrato dell’immobile di via Cattaneo n. 30/A del Comune di Modena, i ricorrenti si vedevano ingiunta dall’Amministrazione comunale, ai sensi dell’art. 9, comma 1, della legge reg. n. 23 del 2004, la demolizione delle pannellature e dei portoni basculanti in acciaio ivi installati, al fine di rimuovere i “…box auto chiusi destinati al solo utilizzo privato …” e ripristinarne la destinazione a “spazi per sosta e parcheggi pubblici in interrato” (v. provvedimento prot. n. 143975/11 del 5 dicembre 2011, a firma del Dirigente responsabile del Settore Trasformazione urbana e Qualità edilizia - Unità Abusivismo e Condono edilizio).
Avverso tale provvedimento hanno proposto impugnativa gli interessati. Assumono erroneo il presupposto secondo cui tutti i posti auto del piano interrato di quell’immobile costituirebbero, sebbene privati, parcheggi funzionali alle attività terziarie e direzionali insediate negli edifici del comparto realizzato con il piano particolareggiato del 1991, e quindi rappresenterebbero “spazi per sosta e parcheggi pubblici in interrato”, ai sensi dell’art. 81.2 delle n.t.a. del piano regolatore dell’epoca, ovvero spazi destinati ad operare come strutture aperte non suddivise in box; adduce che, in realtà, la concessione edilizia rilasciata nel 1993 riguardava l’esecuzione di lavori di “interrato sottopiazza ad uso parcheggi di pertinenza” e che le convenzioni urbanistiche a suo tempo stipulate tra il Comune di Modena e la Agoracinque S.c.a.r.l. – soggetto attuatore del piano particolareggiato – non contemplavano il diritto di uso pubblico dei posti-auto, tanto che nessuna servitù pubblica o altro similare onere di carattere reale è stato mai trascritto per gli effetti di cui agli artt. 2643 e 2644 cod.civ.; insistono, quindi, per la qualificazione di detti posti-auto come ordinari parcheggi di pertinenza ex art. 41-sexies della legge urbanistica, anche per non potersi opporre un eventuale vincolo di destinazione pubblica – non trascritto – ai terzi acquirenti degli stessi e per non risultare neppure applicabile lo ius superveniens di cui alle nuove norme di PSC-POC-RUE; invoca, infine, il principio, codificato nell’art. 26, comma 3, della legge reg. n. 31 del 2002, secondo cui la destinazione d’uso dell’immobile è quella stabilita dal titolo abilitativo che ne ha autorizzato la costruzione. Di qui la richiesta di annullamento dell’atto impugnato, previa accertamento incidenter tantum (art. 8 cod.proc.amm.) dell’inesistenza di qualsivoglia diritto o servitù di uso pubblico sui posti-auto di proprietà del ricorrente.
Si è costituito in giudizio il Comune di Modena, resistendo al gravame.
Ha spiegato atto di intervento ad adiuvandum la CESA Costruzioni S.p.A., che aveva illo tempore venduto al ricorrente i posti-auto oggetto della controversia.
All’udienza del 12 luglio 2012, ascoltati i rappresentanti delle parti, la causa è passata in decisione.
Il ricorso è infondato.
Va premesso che, secondo un costante orientamento giurisprudenziale, la destinazione d’uso di un immobile non si identifica con l’impiego che in concreto ne fa il soggetto che lo utilizza, ma con la destinazione impressa dal titolo abilitativo (v., ex multis, Cons. Stato, Sez. V, 9 febbraio 2001 n. 583; TAR Liguria, Sez. I, 25 gennaio 2005 n. 85), e ciò in quanto la nozione di “uso” urbanisticamente rilevante è ancorata alla tipologia strutturale dell’immobile – quale individuata nel titolo edilizio –, senza che essa possa essere influenzata da utilizzazioni difformi rispetto al contenuto degli atti autorizzatori e/o pianificatori (v., tra le altre, TAR Lombardia, Milano, Sez. II, 7 maggio 1992 n. 219). Tale principio, d’altra parte, risulta codificato anche nella legislazione della Regione Emilia-Romagna, laddove è previsto che la “destinazione d’uso in atto dell’immobile o dell’unità immobiliare è quella stabilita dal titolo abilitativo che ne ha previsto la costruzione o l’ultimo intervento e recupero o, in assenza o indeterminatezza del titolo, dalla classificazione catastale attribuita in sede di primo accatastamento ovvero da altri documenti probanti” (art. 26, comma 3, legge reg. n. 31/2002).
Ciò posto, emerge dagli atti di causa che, allorquando la Agoracinque S.c.a.r.l. chiese in data 29 aprile 1992 il rilascio della concessione edilizia per i lavori di «interrato sottopiazza ad uso parcheggi di pertinenza», l’Amministrazione comunale istruiva la pratica e acquisiva l’avviso positivo del Settore Gestione controlli trasformazioni urbanistiche (con la precisazione: “…Il Planivolumetrico prevedeva la realizzazione nell’interrato di posti auto da utilizzarsi come parcheggi di pertinenza al servizio delle attività direzionali dei fabbricati limitrofi. Parere favorevole a condizione che siano ricavati parcheggi di pertinenza anziché box chiusi. 16-7-92 …”) e il parere favorevole della Commissione edilizia (con la motivazione: “…a condizione … che venga rispettato il P.P. e vengano ricavati nell’interrato parcheggi di pertinenza di uso pubblico e non garages o box chiusi …”), atti istruttori che, per venire in modo esplicito richiamati nella concessione edilizia del 18 febbraio 1993, non impugnata, rappresentano evidentemente elementi costitutivi della volontà ivi espressa dall’Amministrazione comunale e quindi indici essenziali per definire la reale portata del provvedimento. Ben si comprende, allora, come il titolo abilitativo, nel quadro del piano particolareggiato c.d. “zona Corassori” e delle relative dotazioni di standard, intendesse destinare quei posti-auto al soddisfacimento delle necessità di parcheggio degli utenti della attività direzionali insediate nel comparto, vincolo di destinazione che – come si è detto – viene a connotare in modo stabile le relative opere, indipendentemente dall’uso che se ne è poi in concreto fatto nel periodo successivo da parte degli interessati, e che resta quindi ancora rilevante quando, pur a distanza di un considerevole arco di tempo, le caratteristiche strutturali di quelle aree sono state modificate in termini tali (trasformazione in veri e propri “box auto” chiusi) da renderle oggettivamente inidonee all’uso a suo tempo autorizzato, giustificando l’intervento repressivo dell’Amministrazione comunale, ai sensi dell’art. 9, comma 1, della legge reg. n. 23 del 2004 (“Lo Sportello unico per l’edilizia, quando accerti l’inizio o l’esecuzione di opere, realizzate senza titolo o in difformità dallo stesso, su aree assoggettate, da leggi statali, regionali o da altre norme urbanistiche vigenti, a vincolo di inedificabilità o destinate ad opere e spazi pubblici … ordina l’immediata sospensione dei lavori e ingiunge al proprietario e al responsabile dell’abuso di provvedere entro novanta giorni alla demolizione delle opere e al ripristino dello stato dei luoghi …”). Resta naturalmente estranea al presente giudizio, in assenza di una domanda giudiziale in tal senso, ogni verifica circa la conformità della concessione edilizia del 1993, non impugnata, rispetto alla disciplina di piano dell’area allora vigente, primaria o attuativa.
Né contrasta la suindicata conclusione la circostanza, addotta dal ricorrente, che l’omessa trascrizione del vincolo nei registri immobiliari si tradurrebbe nella inopponibilità dello stesso ai terzi acquirenti del bene. In realtà, essendo il vincolo di destinazione d’uso il risultato dell’efficacia costitutiva del rilascio della concessione edilizia, le limitazioni connesse a tale destinazione si risolvono in una qualità obiettiva del fondo che, proprio perché formata da un provvedimento amministrativo, si presenta opponibile anche ai terzi acquirenti, fatti salvi i rimedi giurisdizionali e amministrativi azionabili nei confronti del titolo abilitativo eventualmente illegittimo; d’altra parte, come è noto, la tutela dei terzi è assicurata in materia con la pacifica accessibilità agli atti urbanistico/edilizi del comune e con la conseguente possibilità di conoscenza della destinazione d’uso impressa ad ogni singolo immobile oggetto di interesse dei consociati, secondo modalità che garantiscono un’adeguata pubblicità e quindi una sufficiente circolazione delle informazioni. Quanto, poi, all’obiezione secondo cui dall’art. 81.2 delle n.t.a. del piano regolatore dell’epoca si evincerebbe un vero e proprio “obbligo di trascrizione” della convenzione da redigere per la costituzione della servitù di pubblico passaggio relativa ai parcheggi, osserva il Collegio che, quale che sia l’effettivo àmbito di operatività della norma di piano invocata, una sua eventuale disapplicazione non pregiudicherebbe in ogni caso l’efficacia della concessione edilizia allora rilasciata e il conseguente vincolo di destinazione ivi previsto, a fronte – come si è detto – dell’autonoma capacità del medesimo vincolo ad esplicare effetti verso gli aventi causa dell’originario richiedente.
In conclusione, per risultare sufficientemente legittimato l’ordine di demolizione dalla destinazione d’uso impressa dalla concessione edilizia del 1993, si può prescindere dalle questioni che investono direttamente il piano particolareggiato c.d. “zona Corassori”. Di qui il rigetto del ricorso.
Attesa la peculiarità della controversia, si ravvisa la sussistenza di giusti motivi per disporre la compensazione delle spese di lite.
P.Q.M.
Il Tribunale Amministrativo Regionale per l'Emilia Romagna (Sezione Prima)
definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo respinge.
Spese compensate.
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