martedì 22 luglio 2008

Esposto denuncia - Certificato di Collaudo opere pubbliche


ESPOSTO DENUNCIAALLA PROCURA DELLA REPUBLICA PRESSO IL TRIBUNALE DI TIVOLI




Oggetto: opere pubbliche in esercizio nell’ambito del Comune di Zagarolo sprovviste del certificato di collaudo



Il sottoscritto Mario Procaccini, nato a Cautano (BN) in data 8/7/1950 e residente in via di Colle Prato Nuovo, n. 111 – 00039 Zagarolo, in qualità di Consigliere Comunale del Comune di Zagarolo, espone e denuncia quanto segue:


In data 17 giugno 2008 inoltrava richiesta al Responsabile dell’Area Lavori Pubblici, Geom. Franco Pepe e per conoscenza all’Assessore ai Lavori Pubblici, Antonella Bonamoneta, al Comandante della Polizia Locale, Aniello Nunziata e al Sindaco Daniele Leodori di Zagarolo, prot. n. 0013275, tesa a ottenere la certificazione di collaudo e la composizione della relativa commissione, ai sensi dell’art. 28 della L. 109/94 e degli artt. 187 e segg. del D.P.R. n. 554/99, per le seguenti opere pubbliche realizzate nell’ambito del territorio di Zagarolo:


1) Tratto di strada in via Valle del Formale nella zona antistante agli impianti sportivi;

2) Rotatoria in prossimità dell’incrocio stradale tra via di Sassobello e via Einaudi, in località Valle Martella;


In data 23 giugno 2008, lo scrivente, acquisiva presso la segreteria municipale del comune di Zagarolo, nota di risposta resa dal Geom. Franco Pepe, prot. n. 0013599 del 20.6.2008 per mezzo della quale il medesimo comunicava che, il certificato di collaudo del nuovo tratto di strada realizzato lungo via Valle del Formale è in corso di redazione da parte dell’Ing. Claudio Mirti, mentre per l’opera sita in località Valle Martella, dichiarava di aver già prodotto copia della documentazione richiesta in data 9.6.2006, prot. n. 0020553.


Lo scrivente, precisa che, in predetta documentazione non ha rinvenuto il certificato di regolare esecuzione che, doveva essere prodotto dal progettista dell’opera e, sulla scorta del quale il responsabile del procedimento, Geom. Franco Pepe, poteva e doveva effettuare le necessarie verifiche.



CONSIDERANDO CHE:


Il nuovo tratto di strada di via Valle del Formale, nella zona antistante agli impianti sportivi, è stato aperto alla circolazione stradale nello scorso ottobre 2007;


Il costo dell’opera in parola è stato di gran lunga superiore a € 500.000,00 e, conseguentemente, a mente del comma 3 dell’art. 23 del D. Lgs. 163/2006 (art. 28, L. 109/94) il certificato di collaudo non può essere sostituito con il certificato di regolare esecuzione reso dal direttore dei lavori;


Ai sensi dell’art. 28 della L. 109/94 e artt. Dal 187 al 210 del regolamento D.P.R n. 554/99 la mancanza del certificato di collaudo che attesta l’avvenuto collaudo dell’opera in questione, impossibilita l’ente locale comunale all’accertamento della conformità dell’opera rispetto ai patti contrattuali ed alle regole dell’arte. Pertanto in assenza di tale documentazione, non si comprende in base a quali criteri e normative di legge il preposto Ufficio comunale abbia potuto accertare la buona esecuzione dell’opera e liquidare il corrispettivo all’appaltatore;


La rotatoria realizzata in località Valle Martella, in prossimità dell’incrocio di via di Sassobello e via Einaudi è in esercizio da gennaio 2006, sebbene già a suo tempo fu oggetto di interrogazione da parte del sottoscritto, poiché realizzata in modo apparentemente difforme rispetto al progetto presentato dal Geom. Marano ed approvato dall’Amministrazione del Comune di Zagarolo;


L’importo corrisposto alla ditta appaltante per la rotatoria di Valle Martella è ben inferiore a € 500.000,00, quindi, nel caso specifico, a mente del comma 3 dell’art. 23 del D. Lgs. 163/2006, il certificato di collaudo può essere sostituito dal certificato di regolare esecuzione reso dal direttore lavori. Lo scrivente tuttavia evidenzia che nella documentazione fornita dal Geom. Franco Pepe, responsabile del procedimento in questione, tale documentazione non risulta presente.


TUTTO CIÒ PREMESSO


Il sottoscritto espone quanto sopra ai fini dell'accertamento delle eventuali responsabilità amministrative e penali in cui si ritenga possa essere incorso il funzionario responsabile dello svolgimento del procedimento in parola, della relativa istruttoria e della decisione conclusiva. In particolare, lo scrivente, non riuscendo ad ottenere informazioni rassicuranti circa lo stato dei collaudi per le opere pubbliche in oggetto né dal responsabile del procedimento Geom. Franco Pepe, né dall’Assessore ai Lavori Pubblici Antonella Bonamoneta (la quale condivide uno Studio Tecnico Commerciale con il Geom. Sandro Marano), né dal Sindaco Daniele Leodori si trova, suo malgrado, costretto a richiedere se, nei fatti esposti in narrativa, si ravvisino inadempienze e mancate verifiche che possano mettere a rischio la pubblica incolumità.In particolare, lo scrivente, chiede di verificare se per le opere in parola, non esistano i presupposti per chiuderle al pubblico uso non avendo potuto il responsabile del procedimento, Geom. Franco Pepe, aver effettuato la necessaria verifica tesa ad accertare la buona esecuzione dell’opera, ai sensi degli articoli di legge richiamati in premessa, in quanto sprovvisto della necessaria documentazione di collaudo.Il sottoscritto a norma degli artt. 90 e 408 C.P.P. chiede di essere informato dell'eventuale richiesta di archiviazione da parte del P.M.
Cons. Cav. Mario Procaccini


Si allegano alla presente copia della seguente documentazione:

1) Richiesta tesa ad ottenere i certificati di collaudo per le opere in questione;
2) Risposta resa dal Geom. Franco Pepe, responsabile area Lavori Pubblici e Commercio del Comune di Zagarolo;
3) Documentazione resa dal Geom. Franco Pepe in data 20.6.2006

18 commenti:

Mario Procaccini ha detto...

anonimo ha detto:
una multa di euro 25.000,00.
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condivido l'iniziativa.
" Registrati "
Mario Procaccini
Consigliere Comunale LaDESTRA-Zagarolo (RM)

Anonimo ha detto...

sei pazzo ???

Mario Procaccini ha detto...
Questo commento è stato eliminato dall'autore.
Anonimo ha detto...

Perchè continui a eliminare alcuni blog ,la verità ti fa male caro mario ????

Anonimo ha detto...

Perchè continui a eliminare alcuni blog ,la verità ti fa male caro mario ????

Perchè continui a eliminare alcuni blog ,la verità ti fa male caro mario ????

Perchè continui a eliminare alcuni blog ,la verità ti fa male caro mario ????

Anonimo ha detto...

forse ti riferisce al problema GAIA ? Al mancato invio dei Piani di recupero per Valle Martella alla Regione ?- alle difformità della Rotatoria di Vaslle Martella?- al 1.173,000 Euri spesi per via Valle del Formale?- alla villa del Sindaco che gode gia dei servizi acqua luce-gas. ? al pozzo dei Cancelletti di Valle Martella?- ai tanti usocapioni fatti su Valle Martella?- alla riduzione del vincolo cimiteriale così i terreni dell'assessore restano liberi ? dimmi tu di quale verità parli- firmati e poi parliamo !!!

Anonimo ha detto...

Sei tu che ti devi firmare ,ma cosa vuoi ? cosa cerchi ,mi sembra strano questo tuo moda di fare politikka.Ma chi ti credi di essere ? ma fammi il piacere....

Anonimo ha detto...

inzuppa di meno-taglia i capelli e stai zitta.....

Anonimo ha detto...

aaaaaaaaaaaaaaaaaa a esaurito.

Anonimo ha detto...

ma che...a zagarolo esistono solo i barbieri?

Anonimo ha detto...

se mo pure er barbiere inzuppa????

Anonimo ha detto...

Ma perchè mario si dovrebbe tagliare i capelli e stare zitto? Non capisco cosa significa .Io gli farei tagliare i Baffi ....solo perche lo fanno sembrare stalin.

Anonimo ha detto...

mi pare di capire che si riferisce a qualche faccendiere di zona!!! e non a mario

Unknown ha detto...

Corte dei Conti Sezioni Riuniti del 15 gennaio 2003, sentenza n. 2/QM.
 
 
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE DEI CONTI A SEZIONI RIUNITE
in sede giurisdizionale, composta dai seguenti magistrati:
Francesco Castiglione Morelli Presidente, Giuseppe David Consigliere, Domenico Zuppa Consigliere, Nicola Mastropasqua Consigliere relatore, Maria Teresa Arganelli Consigliere, Corrado Cerbara Consigliere, Bruno Di Fortunato Consigliere ha pronunciato la seguente:
S E N T E N Z A
sulla questione di massima n. 149/SR/QM deferita dal Procuratore Generale con atto depositato in data 30 maggio 2002 nella pendenza del giudizio di appello avverso la sentenza della Sezione Giurisdizionale Regione Siciliana n. 65/2001/Resp. e nei confronti di Giuseppe Gaglio.
Visti gli atti e i documenti di causa.
Uditi alla pubblica udienza del 30 ottobre 2002 il relatore Cons. Nicola Mastropasqua ed il Pubblico Ministero nella persona del Vice Procuratore Generale dott. Paolo Luigi Rebecchi, con l’assistenza del segretario sig.ra Alida Stefani.
F A T T O
Con atto depositato in data 11 luglio 2002 ed iscritto al n. 149/SR/QM del registro di Segreteria delle Sezioni Riunite il Procuratore Generale ha proposto questione di massima proponendo il seguente quesito: "nell’esecuzione delle opere pubbliche, anche mediante l’istituzione di cantieri-scuola, l’esordio della prescrizione si individua nel momento dei singoli pagamenti o, invece, si determina mediante la diversa decorrenza prescrizionale dall’esito del collaudo o dalla produzione delle prescritte scritture contabili (o del rendiconto) dal soggetto e/o degli organi a ciò deputati, anche se l’opera non sia stata portata a compimento".
La questione è stata proposta nel corso del giudizio instaurato dal competente Procuratore regionale nei confronti di Giuseppe Gaglio concluso in primo grado con la sentenza della Sezione Giurisdizionale Regione Sicilia n. 65/2001/Resp. del 18 giugno 2001, gravata dal Procuratore regionale presso la Sezione di appello Regione Sicilia.
Il Procuratore Generale ricorda che con atto emesso il 19.9.2000 il Procuratore Regionale conveniva in giudizio il Geom. Giuseppe Gaglio, quale di direttore di un cantiere di lavoro finanziato dall’Assessorato regionale del Lavoro, in virtù della normativa regionale di settore, per la sistemazione in Partinico della strada comunale via Cavour. Il menzionato direttore, secondo il P.R. aveva omesso di esercitare i poteri di controllo e di vigilanza sul cantiere relativi "alle verifiche sulla quantità e sulla qualità delle opere ed il riscontro materiale e contabile sulle forniture e sulle prestazioni effettivamente utilizzate". Pertanto allo stesso era da imputare il danno derivante dalla mancanza di utilità pubblica dei lavori non ultimati ed eseguiti in difformità rispetto al progetto originario ed alla perizia di variante. Tale difformità emergeva dagli accertamenti tecnici esperiti in sede penale, i quali rilevavano che a fronte di un accreditamento di Lire 95.850.000 (pari al 90% del finanziamento di Lire 106.500.000), corrispondeva un valore reale dei lavori eseguiti per Lire 58.544.699, per cui risultavano versate indebitamente Lire 47.882.185.
Quest’ultimo importo, secondo la Procura regionale, non corrispondeva ad alcuna pubblica utilità effettiva, per cui esso integrava danno erariale imputabile al Gaglio. Questi, costituitosi in giudizio, opponeva anche la prescrizione del diritto al risarcimento del danno erariale.
La Sezione adita accoglieva l’eccezione di prescrizione, in quanto "il termine di prescrizione del diritto deve farsi decorrere dal momento in cui il danno si è prodotto e tale momento, in mancanza di un occultamento doloso, coincide con il pagamento delle somme relative ai lavori eseguiti e risultati, secondo la prospettazione del P.M., di nessuna utilità per l’amministrazione".
Avverso la pronuncia si è appellato il P.R., il quale ha rammentato che l’Assessorato regionale del Lavoro aveva istituito e finanziato il cantiere di lavoro per la sistemazione della strada comunale "Via Cavour", assegnando al Comune di Partinico l’importo di L. 106.500.000 quale ente gestore dei lavori.
I lavori del cantiere avevano avuto inizio il 04,01.1993, erano stati sospesi dal 19.2.1993 al 03.3.1993 e dal 06.4.1993 al 06.9.1993, per il difetto dei materiali da collocare in opera, per essere ripresi il 07.09.93, ma non risultava documentata la comunicazione della fine dei lavori.
Il requirente ha rammentato che l’Assessorato regionale al Lavoro, al momento della redazione dell’impugnativa, non aveva ancora trasmesso il rendiconto amministrativo della spesa finanziata, nonostante la richiesta della procura regionale, né aveva comunicato notizia del danno.
Peraltro l’atto di citazione aveva specificato che la prospettazione del danno erariale era limitata alla gestione della spesa destinata al finanziamento del cantiere di lavoro nel suo complesso. La valutazione di ulteriori profili, ai fini dell’accertamento della responsabilità amministrativa, dipendeva dall’accertamento dei fatti, secondo la ricostruzione storico-fenomenica da operarsi nel giudizio penale intrapreso in ordine ai cantieri di lavoro aperti nel Comune di Partinico, non ancora definito al momento della redazione dell’impugnativa in argomento.
Tuttavia il Giudice di primo grado riteneva maturata la prescrizione del diritto erariale, considerando che il termine iniziale di decorrenza del quinquennio coincideva con la corresponsione di somme pagate dalla P.A. committente a fronte di singole prestazioni, peraltro non fatturate. Il P.R. ha obiettato che tale motivazione era viziata da errore di diritto, riscontrabile mediante un raffronto tra la prospettazione della domanda e le argomentazioni del Giudice. Infatti, la domanda introdotta nel giudizio ha configurato un danno per omesso conseguimento di risultato causato da difettosa esecuzione dei lavori, laddove i vizi dell’opera sarebbero stati occultati mediante una tenuta infedele della contabilità dei lavori e delle forniture dei materiali, senza considerare partitamene i singoli pagamenti.
Con l’accertamento di tali vizi è stato possibile mediante l’attività di accesso ispettivo dei luoghi, relativamente all’intera opera. Inoltre, non figura agli atti né l’approvazione della contabilità da parte della P.A., né il collaudo delle opere in concreto eseguite, né è documentata la comunicazione della fine dei lavori.
Pertanto, secondo l’opinione della procura appellante, il mese di ottobre 1993, fino al quale l’Amministrazione comunale aveva liquidato pagamenti, non era da ritenersi quale esordio dei termini prescrizionali, poiché il danno non era conosciuto né oggettivamente conoscibile da parte del soggetto pregiudicato. Il danno era ignoto perché l’Ente committente e l’Ente finanziatore non hanno, sinora, approvato la contabilità dei lavori ed il rendiconto della spesa; non era oggettivamente conoscibile perché nella specie concorreva l’infedele tenuta della contabilità dell’opera, che non risultava collaudata dall’Amministrazione.
Nella descritta situazione il Procuratore Generale ha proposto questione di massima nei termini innanzi ricordati.
A sostegno della propria tesi che l’inizio della prescrizione decorra dal collaudo il Procuratore Generale afferma che la verifica mediante il collaudo è l’atto con cui l’Ente committente, accertata la regolarità delle prestazioni e forniture relative all’opera, determina che può pagarsi all’appaltatore e agli altri fornitori quanto esattamente loro dovuto. Pertanto uno degli effetti che discende dal collaudo, nonché dalla verifica da operarsi ex art. 11 della L. R. 17/1978, è quello di rendere liquido il credito dell’appaltatore (Cass. 10.11.1956, n. 5106), nonché quello degli altri fornitori. Il carattere imprescindibile del collaudo delle opere pubbliche si manifesta soprattutto nel rilievo che non vi è possibilità di rinunzia (come, invece, accade tra i privati) costituendo elemento indisponibile ed insostituibile per l’esaurimento di ogni rapporto con l’appaltatore (Cass. SS.UU. 927/1963).
L’Ente pubblico, quindi, non può procedere alla presa in consegna definitiva dell’opera, né può provvedersi al pagamento della rata di saldo ed alla restituzione delle ritenute di garanzia della cauzione, qualora non si è addivenuti al collaudo con le modalità e le forme stabilite dalla legge e dai regolamenti. Quindi il collaudo e l’attività da esso conseguente, quali il certificato di collaudo e l’approvazione da parte dell’Amministrazione interessata, sono una fase indispensabile: solo dopo tale fase quanto dovuto all’appaltatore ed ai singoli fornitori diviene attuale, certo ed effettivo.
In quanto così nell’esecuzione delle opere pubbliche non hanno carattere di certezza neppure i singoli pagamenti effettuati in corso d’opera che, essendo talora disposti a titolo di acconto (come previsto dagli artt. 57 e 58 del R.D. 350/1895), sulla base delle risultanze del registro di contabilità e degli stati di avanzamento dei lavori, hanno solo valenza di anticipazioni del corrispettivo, che viene accertato e definitivamente liquidato dal collaudatore, previa verifica del conto finale redatto dal direttore dei lavori ex art. 63 R.D. 350/1895, secondo il principio che l’ente committente, prima di ricevere l’opera, ha il diritto di verificarla (art. 1665 c.c.).
Si rileva, altresì, che nell’esecuzione delle opere pubbliche, per stabilire l’esordio del termine prescrizionale, particolare rilievo assume l’esame della contabilità finale da redigersi dal direttore dei lavori ex art. 63 del R.D. 350 del 1895, per verificare, nei casi in esame, l’esistenza o meno di danni alla stazione appaltante emergente dalla rendicontazione amministrativa delle spese.
Nell’udienza di discussione il Procuratore Generale ha illustrato le tesi sostenute nell’atto scritto.
Considerato in D I R I T T O
Il remittente Procuratore Generale ha proposto questione di massima in ordine all’esordio della prescrizione nelle ipotesi di danno arrecato nel corso della costruzione di opere pubbliche o di svolgimento di lavori pubblici prospettando la tesi che il termine iniziale della prescrizione debba essere fissato alla data del collaudo dell’opera.
La questione è stata proposta nel corso di un giudizio concluso in primo grado con applicazione nei confronti dei convenuti della prescrizione, il cui termine iniziale è stato fissato alla data di pagamento all’appaltatore di parte del prezzo contrattuale, gravato di appello.
La questione è ammissibile in quanto la soluzione è applicabile sia al caso concreto che ad una serie aperta di fattispecie.
La prospettazione del Procuratore Generale investe due punti, e cioè se ai fini dell’esordio della prescrizione sia necessaria la conoscenza o almeno la conoscibilità da parte dell’Amministrazione del comportamento illecito del soggetto al quale viene attribuito il danno e se, in materia di opere pubbliche, ciascun pagamento all’appaltatore possa costituire danno certo e attuale per l’Amministrazione ove ricorrano gli altri presupposti della responsabilità.
Si ritiene unanimemente in dottrina ed in giurisprudenza che la prescrizione comincia a decorrere dal giorno in cui il diritto, pur essendo prefetto e potendo quindi essere esercitato, non è di fatto esercitato dal suo titolare. La prescrizione non inizia a decorrere in presenza di un impedimento di ordine giuridico all’esercizio del diritto, mentre comunemente (la tesi è però oggi contestata da parte della dottrina che fa in particolare riferimento alla prescrizione riguardante i crediti da lavoro subordinato) si ritiene che gli ostacoli di mero fatto che non rientrino nella impossibilità legale e che non siano stati considerati come causa della sospensione della prescrizione, non hanno alcuna rilevanza.
Deve, pertanto, accertarsi se la conoscibilità da parte dell’Amministrazione del comportamento illecito tenuto dal proprio amministratore o dipendente costituisca o meno impedimento di ordine giuridico all’esercizio del diritto.
Va in proposito ricordato che oggetto tipico dell’azione di responsabilità amministrativo-contabile è accertare se il danno sofferto da un ente pubblico è ascrivibile ad un comportamento illecito di un pubblico dipendente.
Questo aspetto assume particolare rilievo nelle ipotesi nelle quali il danno venga causato attraverso l’emanazione di provvedimenti ovvero nell’ambito di un rapporto contrattuale che lega la pubblica amministrazione ad un privato.
Infatti il rapporto di immedesimazione organica tra organo agente ed ente persona giuridica implica un’imputazione giuridica formale all’ente delle intere fattispecie dei comportamenti del titolare dell’organo (salvo che questi agisca per moventi personali, cioè in sostanza al di là e al di fuori delle sue attribuzioni di organo); pertanto nel rapporto esterno tra ente pubblico e privati è riferibile soltanto all’Amministrazione (e non al suo organo o agente) l’emanazione di un provvedimento amministrativo ovvero l’adempimento-inadempimento di una obbligazione.
Ma laddove (ed è qui il fondamento della responsabilità amministrativa) all’agire dell’amministrazione consegua un danno alla stessa provocato da un comportamento illecito del funzionario agente, questi viene chiamato a rispondere nei confronti della persona giuridica di cui ricopre l’ufficio.
Ora il momento giuridicamente rilevante per accertare se il comportamento del pubblico dipendente sia stato o meno conforme ai doveri d’ufficio è quello in cui i suoi atti o la sua attività vengono (o debbono venire) sottoposti a verifica nell’ambito di articolazioni tipiche dell’organizzazione della pubblica amministrazione o del procedimento amministrativo.
Forme di controllo o di verifica dell’attività dei pubblici amministratori e dipendenti sono puntualmente previste da norme di organizzazione o da norme sui vari procedimenti amministrativi (si pensi in particolare al procedimento dell’evidenza pubblica per i contratti della P.A.) emanate in attuazione di principi anche di livello costituzionale. In questa sede si attua la differenziazione tra attività del pubblico dipendente (che viene sottoposto a verifica) e posizione della P.A. che esercita poteri di verifica.
Nell’esercizio della funzione di verifica diviene, pertanto, conoscibile per la P.A., in forza di specifiche norme giuridiche, il comportamento illecito del soggetto agente.
Naturalmente, essendo la verifica prevista in forme temporalmente cadenzate da specifiche norme, il mancato esercizio del potere ricade sulla P.A., essendo comunque conoscibile a quel momento il comportamento illecito.
La prescrizione, pertanto, decorre dal momento in cui è nelle modalità sopradescritte conoscibile il comportamento illecito del soggetto agente salvo che, ovviamente, detto comportamento sia stato comunque anteriormente conosciuto dalla P.A..
D’altro canto l’esigenza della conoscibilità del comportamento illecito di propri organi causativo di danno attraverso una verifica in posizione dialettica tra amministratori e soggetti per i quali essi agiscono è comune anche alle persone giuridiche ed in particolare alle società commerciali.
Secondo parte della giurisprudenza della Corte di Cassazione (cfr. n. 634/1965) il termine quinquennale di prescrizione, previsto dall’art. 2949 c.c., al quale è soggetta l’azione di responsabilità della società contro i loro amministratori decorre dalla deliberazione assembleare che ai sensi dell’art. 2364 n. 4 c.c. autorizza l’esercizio dell’azione.
Altra parte della giurisprudenza (cfr. Cass. n. 3887/1969) ritenendo che il termine quinquennale previsto dall’art. 2949 c.c. decorra dal fatto dannoso compiuto dall’amministratore, afferma che il decorso di tale termine è sospeso finchè gli amministratori sono in carica.
In ambedue i casi viene in rilievo, se pure con diverse modalità, la possibilità concreta per la società e per i soci di conoscere il comportamento illecito dei propri amministratori.
Quanto al profilo oggettivo va ricordato che nel campo dei diritti di credito il termine iniziale della prescrizione coincide con il momento in cui la prestazione dovuta è esigibile dal creditore. In tal senso la giurisprudenza della Corte di Cassazione (cfr. per tutte n. 1306 del 15 marzo 1989) precisa che il concetto di fatto da cui decorre il termine di prescrizione non deve considerarsi ristretto all’azione od omissione, ma deve essere esteso all’evento, la cui certezza ed attualità integra la responsabilità.
In detti termini va letta la norma di cui ai commi 2 e 2 ter dell’art. 1 della L. n. 20/1994 e successive modificazioni, secondo la quale il diritto al risarcimento del danno si prescrive in ogni caso in cinque anni.
In proposito queste Sezioni Riunite (sentenza n. 7/2000/QM del 24 maggio 2000) hanno già precisato che l’azione di responsabilità del Procuratore regionale della Corte dei conti è condizionata nella sua esperibilità, tra l’altro, da una domanda diretta ad ottenere il risarcimento di un danno patrimoniale ossia il ristoro di una diminuzione del patrimonio dell’ente.
Si deve, perciò, trattare di un danno economicamente valutabile, il quale abbia inciso sull’Ente depauperandone il patrimonio (attraverso la distruzione, sottrazione, perdita di un bene, l’indebita erogazione di una somma di denaro ecc.).
Sotto il primo profilo si deve ricordare che in materia di opere pubbliche la legge ed il regolamento sulla contabilità generale dello Stato e numerose disposizioni legislative in materia di pubblici appalti disciplinano minutamente le operazioni necessarie per la realizzazione dell’opera pubblica, dal momento nel quale l’opera viene deliberata sino a quello in cui essa viene collaudata.
Le norme in parola prevedono, infatti, una serie di atti amministrativi, anteriori o successivi alla formazione del contratto di appalto, i quali sono collegati tra loro in successione logica e teleologica, in quanto sono tutti in funzione dell’effetto finale da raggiungere e costituiscono nel loro insieme il procedimento amministrativo previsto per la realizzazione di pubblici appalti.
Pertanto, sotto il profilo della conoscibilità del fatto causativo del danno, l’accertamento dialettico del comportamento del pubblico dipendente può avvenire nella sequenza procedimentale secondo le articolazioni in essa previste ed in relazione all’atto o all’attività che si assumono causative del danno e nella cui adozione o espletamento è stato tenuto il comportamento illecito.
Quanto all’attività va, poi, ricordato che l’Amministrazione appaltante non si limita ad intervenire alla fine dei lavori per collaudarli e constatarne a posteriori la rispondenza alle norme e ai criteri tecnici che devono presiedere alla loro esecuzione, ma interviene nel corso dei lavori, spettando a funzionari tecnici dell’amministrazione la vigilanza sui lavori e sull’appaltatore (cfr. poteri dell’ingegnere capo o dal direttore dei lavori previsti dal r.d. 25 maggio 1895, n. 350).
Anche l’attività tecnica può, pertanto, essere assoggettata a verifica non solo al momento del collaudo, ma anche in corso d’opera, salva in ogni caso la responsabilità dell’appaltatore di eseguire l’opera in conformità ai patti contrattuali e alle regole dell’arte.
Sotto il secondo profilo va, intanto, ricordato che, per quanto riguarda obblighi e diritti che scaturiscono dal contratto di appalto per le parti contraenti, l’obbligazione fondamentale dell’amministrazione appaltante è quella di pagare il corrispettivo a determinate scadenze ed anche mediante anticipazioni, talune delle quali legate a verifiche tecniche dei lavori eseguiti.
Il pagamento del corrispettivo nei tempi e nei modi previsti dal contratto e dalle norme sui lavori pubblici è per l’Amministrazione adempimento di una obbligazione e quindi comportamento non solo lecito ma dovuto (debito dell’Amministrazione).
Di conseguenza perché il pagamento del corrispettivo costituisca danno antigiuridico è necessario che il pagamento stesso sia avvenuto in forza di un fatto giuridico illecito, che può essere costituito sia da un comportamento dell’appaltatore sia dal comportamento di un soggetto legato da rapporti di servizio con l’Amministrazione (ovvero dal concorso di comportamenti di ambedue i soggetti).
L’antigiuridicità del fatto causativo è essenziale ai fini della qualificazione della illeicità del danno in quanto conseguenza di un atto lesivo dell’altrui interesse. Pertanto diversi debbono essere rispettivamente il soggetto autore ed il soggetto passivo del danno, con la conseguenza che rispetto all’azione di responsabilità amministrativo-contabile il pagamento di una somma nell’ambito del contratto di appalto può costituire danno solo se e in quanto il comportamento asseritamene illecito non venga più imputato all’Amministrazione ma venga dialetticamente valutato nella differenziazione tra i due soggetti.
Il pagamento, poi, in quanto totalmente o parzialmente non dovuto segna il momento della diminuzione patrimoniale dell’Ente e quindi, della lesione del suo interesse patrimoniale.
Nel concorrere di due sopradescritti elementi ricorrono per l’Amministrazione le condizioni per far valere il proprio diritto, e il loro verificarsi segna l’esordio della prescrizione.
Peraltro il pagamento di somme all’appaltatore nel corso della costruzione di un’opera pubblica costituisce in una pluralità di evenienze anticipazione del corrispettivo recuperabile in sede di collaudo e di definizione dell’assetto di interessi tra amministrazione appaltante ed appaltatore. In tali casi al pagamento non consegue una diminuzione patrimoniale definitiva dell’ente pubblico qualificabile come danno certo ed attuale.
Invero nell’appalto di opere pubbliche il collaudo non persegue soltanto il fine di controllare l’esecuzione dell’opera e la sua corrispondenza con il progetto e con il contratto, ma investe anche la liquidazione finale del corrispettivo dovuto all’appaltatore e la risoluzione dei quesiti, delle domande e delle riserve proposte dall’appaltatore.
Il collaudo di opere pubbliche è in sostanza un procedimento amministrativo strumentale (costitutivo di certezze nel senso che le parti sono per l’avvenire tenute alle risultanze dell’accertamento della conformità dell’opera) che richiede sia l’emissione del c.d. certificato di collaudo, nel quale viene espresso il giudizio finale del collaudatore intorno all’opera e viene liquidato il corrispettivo spettante all’appaltatore, sia l’approvazione del collaudo da parte dell’amministrazione, che esprime sostanzialmente l’accettazione dell’opera da parte del committente e rende definitiva la liquidazione del credito dell’appaltatore.
È evidente allora che in sede di collaudo sono comunque conoscibili da parte dell’ente pubblico gli eventuali comportamenti illeciti del proprio dipendente ed il danno da questi causato è certo ed attuale.
Ciò non significa che anteriormente al collaudo, ed in relazione alla domanda che viene introdotta in giudizio, non possa essersi verificato un danno certo ed attuale ascrivibile ad un comportamento illecito del pubblico dipendente conoscibile o conosciuto dall’amministrazione. In questo caso il termine iniziale della prescrizione va fissato nel momento in cui vengono ad esistenza e concorrono ambedue gli elementi indicati.
Per quanto si è detto è invece da escludere che il solo pagamento di somme all’appaltatore possa segnare l’esordio della prescrizione.
Nel caso sottoposto all’esame delle Sezioni Riunite sembra doversi desumere dagli atti di causa che la conoscenza del comportamento illecito causativo di danno sia individuabile nel momento del deposito della perizia tecnica effettuata in sede di giudizio finale, momento nel quale il pagamento di somme è apparso costituire danno antigiuridico perché in parte non corrispondente a prestazioni rese dall’appaltatore ma certificate come corrispondenti al contratto dai tecnici comunali proposti all’opera.
Conclusivamente va affermato che l’ente pubblico appaltatore di opere pubbliche può far valere il proprio diritto nel giudizio di responsabilità amministrativo contabile quando abbia la possibilità di conoscere nel procedimento tipico relativo alle opere pubbliche ovvero abbia di fatto conosciuto il comportamento illecito del soggetto legato da rapporti di servizio ed il danno antigiuridico da questi causato sia certo ed attuale.
A tale momento va fissato l’esordio della prescrizione. In ogni caso il termine ultimo di esordio della prescrizione va fissato al momento del collaudo che rende definitivi i rapporti giuridici derivanti dal contratto di appalto, e quindi certo ed attuale il danno, e nel quale sono sottoposti a verifica le attività espletate anche dai pubblici dipendenti nel corso dell’opera.
P. Q. M.
La Corte dei conti a Sezioni Riunite, pronunciando sulla questione di massima indicata in epigrafe, afferma che in ipotesi di appalto di opere pubbliche, la prescrizione inizia a decorrere dal momento in cui sia conoscibile o effettivamente conosciuto da parte dell’amministrazione appaltante il comportamento illecito del soggetto legato da rapporto di servizio e il danno abbia assunto il carattere della certezza ed attualità.
In ogni caso siffatte condizioni esistono al momento della conclusione del procedimento di collaudo e salvo che non si siano verificate anteriormente con conseguenti effetti in ordine all’esordio della prescrizione.
Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio del 30 ottobre 2002.
 
 
L'ESTENSORE IL PRESIDENTE (Nicola MASTROPASQUA) (Francesco CASTIGLIONE MORELLI )

Anonimo ha detto...

Sentenza n. 1374/2008 del 20 maggio 2008 - Sezione giurisdizionale per la Regione siciliana - Regione - Amministratori e funzionari - Percezione tangenti - Acquisto bene immobile a prezzo sensibilmente superiore a quello di mercato - Danno patrimoniale - Sussiste - Danno all'immagine - Criteri quantificazione

Sezione Giurisdizionale per la Regione Siciliana

composta dai Sigg.ri Magistrati:

dott. Salvatore CULTRERA - Presidente -

dott. Guido PETRIGNI - Primo Referendario -

dott. Giuseppe COLAVECCHIO - Primo Referendario relatore -

ha pronunciato la seguente

SENTENZA 1374/2008

nel giudizio di responsabilità iscritto al n. 26126 ex n. 6327 del registro di segreteria, promosso dal Procuratore Regionale, con atto di citazione depositato in data 25.09.1998, nei confronti di

N. R., deceduto il 30.11.1998;

D. G., rappresentato e difeso dall'avv. Guido Corso, giusta procura in calce all'atto di citazione, ed elettivamente domiciliato presso il di lui studio in Palermo, via Rodi n. 1;

D. R., rappresentato e difeso dall'avv. Guido Corso, nonché dall'avv. Giovanni Bianchini, giusta procura in calce alla comparsa di costituzione, ed elettivamente domiciliato presso lo studio del primo in Palermo, via Rodi n. 1;

B. L., rappresentato e difeso dall'avv. Dimitri Goggiamani, giusta procura a margine della comparsa di costituzione, ed elettivamente domiciliato in Palermo, via U. La Malfa n. 62 presso lo studio dell'avv. Filippo Lo Nigro;

A. P., rappresentato e difeso dagli avv.ti Giuseppe Crimi, Francesca Crimi e Cristina Bonomonte, giusta procura speciale dell'11.03.2008 in notar dott.ssa Maria Cristina Casale del distretto notarile di Roma, ed elettivamente domiciliato presso lo studio dell'avv. Cristina Bonimonte in Palermo, piazza G. Amendola n. 12.

Visto l'atto di citazione.

Letti gli atti ed i documenti di causa.

Uditi, nella pubblica udienza del 28.03.2008, il relatore dott. Giuseppe Colavecchio, magistrato primo referendario, il pubblico ministero dott. Giuseppe Aloisio, vice procuratore generale, l'avv. Guido Corso per il convenuto D. G., l'avv. Dimitri Goggiamani per il convenuto B. L., l'avv. Giovanni Bianchini per il convenuto D. R. e l'avv. Cristina Bonomonte per il convenuto A. P..

Ritenuto in

FATTO
La Procura Regionale presso questa Corte, a seguito di informativa ex art. 129 disp. att. c.p.p., datata 06.12.1993, del Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Palermo, conveniva in giudizio, previa richiesta di proroga del termine per il deposito dell'atto di citazione, rigettata con ordinanza n. 79/1998, N. R., D. G., D. R., B. L. e A. P. rispettivamente nelle qualità di Presidente della Regione Siciliana, direttore applicato alla Direzione del personale e dei servizi generali della Presidenza della Regione Siciliana, dirigente coordinatore in servizio presso l'Ispettorato Tecnico della Regione Siciliana, funzionario dell'Ufficio Tecnico Erariale di Roma e direttore dell'Ufficio Tecnico Erariale di Roma, per essere condannati, in solido, al pagamento della somma di £ 2.490.000.000 a titolo di danno patrimoniale e di £ 2.490.000.000 a titolo di danno all'immagine, oltre rivalutazione monetaria, interessi e spese di giudizio, quale danno erariale patito dalla Regione Siciliana, in ordine ad una serie di illeciti commessi nelle procedure di acquisto di un immobile in Roma, da adibire a sede di rappresentanza.

Il Pubblico Ministero contabile dava atto, preliminarmente, che il relativo procedimento penale aveva riguardato diversi soggetti, anche estranei all'apparato organizzativo della Pubblica Amministrazione, e si era concluso per il B., geometra dell'U.T.E. di Roma, con sentenza del G.I.P. emessa, in data 22.12.1994, ai sensi degli artt. 444 ss c.p.p., e per gli altri imputati con sentenza di condanna emessa, in data 22.07.1997, dal Tribunale di Palermo, ad eccezione dell'ex assessore L., assolto da tutte le imputazioni contestate.

Questi i fatti, come narrati nell'atto di citazione.

L'Ente territoriale, nel 1990, riteneva di acquisire - a trattativa privata - al proprio patrimonio indisponibile un immobile sito in Roma, da destinare a sede di rappresentanza; a seguito di avviso pubblicato sul quotidiano “La Repubblica” del 27 giugno 1990, perveniva, in data 27 luglio 1990, un'offerta di vendita di un immobile, sito in via Marghera n. 36, da parte dell'Avv. V. V. A..

L'Ispettorato Tecnico Regionale esprimeva, in data 23 ottobre 1990, parere favorevole sull'idoneità dell'immobile per la destinazione ad ufficio; l'Ufficio Tecnico Erariale di Roma esprimeva, con relazione estimativa del 9 marzo 1991, parere in ordine alla congruità del valore venale da attribuire all'immobile.

L'Avvocatura distrettuale dello Stato di Palermo, in data 5 aprile 1991, esprimeva il parere sullo schema dell'atto da stipulare; il Consiglio di Giustizia Amministrativa, nell'adunanza del 16 aprile 1991, dava parere favorevole sullo schema di contratto; il contratto per l'acquisto dell'immobile veniva stipulato il 16 luglio 1991, per un prezzo di £ 5.990.000.000; l'Assessore regionale alla Presidenza approvava il contratto di compravendita, con D.A. n. 4435 del 17 luglio 1991, e disponeva il pagamento delle somme già impegnate con DD.AA. 864/1990 e 2508/1991; l'Ispettorato Regionale Tecnico comunicava, in data 18 luglio 1991, alla Presidenza della Regione l'avvenuta esecuzione parziale dei lavori già concordati con la proprietà dell'immobile; la Regione, con mandati di pagamento del 20 novembre 1991, dava corso al pagamento del prezzo in favore del sig. V. A., mediante versamento sul conto corrente allo stesso intestato presso il Credito Romagnolo in Roma.

La Procura Regionale ravvisava una serie di illeciti, fonte di danno erariale, nella procedura di acquisto del suddetto immobile che, inizialmente, avrebbe dovuto essere destinato a sede di un ufficio alle dirette dipendenze della Segreteria generale della Regione e, invece, veniva destinato a sede di rappresentanza della Regione stessa, in sostituzione di quello precedentemente ubicato in via Delle Coppelle, per il quale - surrettiziamente - l'Ente territoriale aveva omesso di corrispondere i canoni locativi al fine di essere sfrattato per morosità, facendo così emergere la necessità dell'acquisto di cui sopra.

L'immobile prescelto, però, non rispondeva alle previsioni del bando che avviava la gara ufficiosa; questo prevedeva una superficie non inferiore a mq 1.000, l'ubicazione nelle vicinanze di Montecitorio o di Palazzo Madama ed, ovviamente, una categoria catastale corrispondente ad ufficio.

Un ruolo fondamentale nella trattativa privata, sempre secondo l'assunto attoreo, assumeva un estraneo all'amministrazione, tale C. M., postosi quale emissario della Regione Siciliana, in virtù del suo rapporto di conoscenza con il dott. D., direttore applicato alla Direzione del personale e dei servizi generali della presidenza della Regione, tanto da mettere in contatto V. A. V., proprietario dell'immobile, assistito dall'avv. A. M., con l'Amministrazione regionale, rappresentata dallo stesso D.; il C. continuava ad occuparsi del buon esito dell'affare, e in uno dei diversi appuntamenti dallo stesso fissati (Roma, luglio 1990), tenutosi presso l'immobile offerto in vendita, svoltosi alla presenza del presidente N. e del D., si stabiliva di indicare un prezzo fortemente maggiorato rispetto all'effettivo valore di mercato dell'immobile, in modo da consentire al proprietario l'accantonamento di una riserva finanziaria da destinare al pagamento di una tangente; in un successivo incontro presso l'Hotel M. di omissis (marzo 1991) l'illecita dazione veniva quantificata in £. 1.200.000.000. Il C. manifestava, inoltre, la necessità di effettuare dazioni in denaro anche ai funzionari dell'U.T.E. di omissis per ottenere la valutazione dell'immobile nella misura voluta. Si otteneva, così, il parere di congruità da parte dell'U.T.E. di Roma nella misura voluta, in cambio di £ 300.000.000 corrisposti aI funzionari interessati alla stima dell'immobile.

Tali circostanze, secondo l'organo requirente, erano state confermate dalle dichiarazioni rese nell'ambito dell'istruttoria penale e, poi, nel dibattimento, da parte di V. A., M. A. e C. M.; lo stesso N. R., Presidente della Regione, ammetteva in sede penale il pagamento di un “contributo economico” nella misura di £ 540.000.000, sospettando, comunque, che gli altri £ 660.000.000 potessero essere stati intercettati da altri soggetti.

Nella fase di acquisto, sempre secondo la prospettazione attorea, interveniva l'arch. D. R., funzionario dell'Ispettorato Tecnico Regionale, scelto nominativamente e non su designazione dell'ufficio di appartenenza, il quale predisponeva una relazione, in data 23 ottobre 1990, di contenuto favorevole circa lo stato dell'immobile, da cui si evinceva la piena corrispondenza dell'acquisto da effettuare alle esigenze della Regione; il funzionario, però, taceva sulla destinazione d'uso dell'immobile e non metteva in evidenza talune gravi carenze essenziali per la funzionalità della struttura (adibita ad uso residenziale e non ad ufficio), nonché sulla vetustà di taluni infissi, sul mancato funzionamento dell'ascensore, sulla mancata ristrutturazione dell'ammezzato e sulla mancanza dell'impianto di riscaldamento nell'ala nord e nel relativo ammezzato.

La relazione favorevole del D., unitamente a quella dell'U.T.E., costituirono il presupposto per ottenere i pareri favorevoli dell'Avvocatura dello Stato e del Consiglio di Giustizia Amministrativa per la Regione Siciliana.

Infine, una relazione data 14 novembre 1991, non veritiera circa gli adempimenti che la proprietà era tenuta ad effettuare, redatta sempre dal D., secondo l'assunto dell'organo requirente, consentiva di disporre l'erogazione delle somme.

La Procura, inoltre, rappresentava che nelle fasi preliminari della trattativa interveniva il geom. B., dipendente dell'U.T.E. di Roma, il quale, contattato informalmente dal C., visitava l'immobile, attribuendogli un valore di circa £ 4.500.000.000; poi, sollecitato dallo stesso C., il quale gli rappresentava che la Regione era disposta a spendere sino £ 6.000.000.000, richiedeva il pagamento di una tangente, anche da corrispondere ad altri soggetti interni all'Ufficio, per arrivare ad una valutazione più generosa. A seguito di tale richiesta, veniva versata ai funzionari dell'U.T.E. la somma di £ 300.000.000, con anticipo di £ 50.000.000, versati al B., tramite tale D..

In data 14 marzo 1991, l'U.T.E. di Roma esprimeva il parere circa la congruità del prezzo di acquisto dell'immobile, valutandolo in £ 5.990.000.000. In tale atto, mentre nulla si rilevava in ordine alla situazione urbanistica dell'immobile, si attestava una misura dei locali superiore al dato reale, si consideravano abitabili locali che per destinazione urbanistica non potevano essere utilizzati come tali (ambienti sotto il livello stradale, cantine, etc), si ometteva di depurare il valore dell'immobile dalle passività (spese, costi, imposte) incidenti nella misura del 15%.

Il B. interveniva anche dopo la stipula del contratto e prima dell'erogazione del denaro, firmando il verbale di consistenza in data 14 novembre 1991, anche questo non veritiero in quanto vi si attestava il perfetto stato d'uso di tutti gli ambienti e di tutti gli impianti tecnologici, circostanze queste poi smentite sia dalle rilevazioni effettuate da altro tecnico della Regione, sia dai consulenti del Pubblico Ministero penale.

La condotta illecita del B. veniva favorita dall'ing. A., direttore dell'U.T.E. di Roma, che dava l'incarico proprio al B. benché questi, stranamente, fosse il tecnico che, del tutto informalmente, si era espresso sul valore dell'immobile.

L'A. nel processo penale era stato indicato dal M. e dal C. come percettore finale di parte della tangente di £ 300.000.000.

Il Pubblico Ministero contestava, in particolare, al D.: di avere omesso di verificare la corrispondenza dello stato dell'immobile rispetto al contenuto del bando; di essersi avvalso ingiustificatamente del faccendiere C.; di avere agevolato gli interessi della proprietà; di essersi reso fautore e di avere partecipato all'incontro del V. A. con il N., nell'ambito del quale si era concordato il pagamento della tangente (luglio 1990); di avere, pur conoscendo lo stato dell'immobile anche dopo la definizione delle trattative, e pur sapendo che i lavori non erano stati tutti effettuati, stipulato ugualmente il contratto e consentito l'erogazione della somma ai venditori, glissando sulle inadempienze di questi ed eliminando tutti gli ostacoli che potevano frapporsi ad una pronta erogazione del denaro liquido; di avere prospettato ad organi terzi elementi falsi o incompleti relativi all'urgenza dell'acquisto o all'inidoneità dell'immobile; di avere in definitiva consentito l'acquisto dell'immobile, senza pretendere l'effettuazione di adeguate ricerche ed analisi di mercato e senza avere impedito, in omaggio ai principi del buon andamento ed imparzialità dell'Amministrazione, i gravi fatti di strumentalizzazione affaristica verificatisi.

In ultimo, il Procuratore Regionale dava atto che, secondo gli accertamenti eseguiti dai consulenti tecnici nominati dal Pubblico Ministero penale, l'immobile acquistato non poteva essere destinato a sede di pubblici uffici, per espressa previsione del piano regolatore di Roma e che l'U.T.E. aveva dichiarato nel proprio parere una superficie (ben più ampia) dell'immobile, non rispondente al vero.

Inoltre, le dichiarazioni rese dai correi V. A. V., proprietario dell'immobile, M. A., legale del predetto e C. M., intermediatore, rilevavano il pagamento di tangenti per l'importo di £ 1.540.000.000 da parte del proprietario dell'immobile in esito alla vendita. Tale tangente veniva garantita dal rilascio, da parte della proprietà, di un congruo numero di assegni emessi a garanzIa del pagamento, effettuato dopo la firma del rogito (luglio 1991) e dell'emissione dei mandati di pagamento.

Da quanto sopra rilevato emergeva, secondo l'assunto attoreo, la considerazione che, comunque, ove non vi fossero state le condotte illecite dei soggetti in precedenza indicati, la Regione Siciliana avrebbe potuto acquistare l'immobile ad un prezzo sicuramente più conveniente e, cioè, inferiore di almeno £ 1.540.000.000, tenuto conto del pari importo delle tangenti pagate; la prevista corresponsione di tale elevata somma determinava, inoltre, la necessità di una traslazione dell'onere delle tangenti a danno della Regione Siciliana, sicché sorgeva la necessità di sopravalutare il prezzo dell'immobile in £ 5.990.000.000, come da determinazione di congruità dell'U.T.E. di Roma.

I consulenti tecnici nominati dal Pubblico Ministero penale, nel rilevare vistose incongruenze nella determinazione del valore dell'immobile, procedevano, invece, ad una stima nella misura di £ 3.500.000.000. Da qui la contestazione del danno erariale di £ 2.490.000.000, pari alla differenza tra il prezzo pagato ed il valore effettivo dell'immobile.

Il Pubblico Ministero riteneva corrette le conclusioni della perizia penale, considerato che i consulenti avevano ritenuto l'immobile come non ubicato al centro di Roma giacché nel piano regolatore della Capitale ricadeva, inequivocabilmente, nella zona B e non nella zona A, come era invece qualificato il centro storico; inoltre, la valutazione fatta con il metodo sintetico appariva immune da vizi logici in quanto il valore a metro quadrato era stato tratto dal c.d. “borsino” della sala di contrattazione immobiliare della Camera di Commercio di Roma, nel quale, per il quartiere “Castro Pretorio” era indicato un valore massimo di £ 2.800.000 per il periodo di riferimento; rilevava, inoltre, che l'aumento del 70% su quest'ultimo dato per il valore dell'immobile, operato dai consulenti, appariva pienamente remunerativo del maggior valore per l'uso non residenziale al quale la Regione aveva inteso destinarlo.

Il Pubblico Ministero oltre al danno di cui sopra contestava ai convenuti il danno non patrimoniale come qualificato dalla giurisprudenza della Corte di Cassazione (Sezione I civile, 18 giugno 1997 n. 5459), emerso dallo strepitus derivato dall'ampia eco avuta dalla vicenda sulla stampa nazionale e locale, in considerazione anche delle posizioni apicali ricoperte dai soggetti rimasti coinvolti nella vicenda; il citato danno all'immagine, tenuto conto della spregiudicatezza delle condotte, nonché delle cariche ricoperte, veniva quantificato nella misura di £ 2.490.000.000, pari alla somma contestata a titolo di danno patrimoniale.

L'avv. G. D., direttore applicato alla Direzione del personale e dei servizi generali della Presidenza della Regione Siciliana, costituito con memoria depositata in data 11.01.1999, eccepiva l'inammissibilità dell'atto di citazione perché depositato oltre il termine di cui all'art. 5 della legge n. 19/1994, nonché per la pendenza del procedimento penale, considerato che la sentenza del Tribunale di Palermo era stata gravata di appello; in via subordinata, stante il disposto dell'art. 75 co. 3° c.p.p., chiedeva la sospensione del processo contabile in attesa della definizione di quello penale, stante l'identità dei fatti contestati, deducendo che la Regione si era costituita parte civile.

Nel merito chiedeva l'assoluzione da ogni addebito, giusta l'art. 1 quater della legge n. 20/1994, considerato che il Giudice penale lo aveva ritenuto del tutto estraneo alla distribuzione della somma che i proprietari dell'immobile avevano corrisposta a titolo di tangenti (o di contributo alle spese elettorali), tanto che la stessa Procura contabile gli aveva contestato di non avere impedito l'illecito accordo e non di avervi preso parte.

Lo stesso rappresentava la sua estraneità alla vicenda considerato che, fermo restando la piena legittimità della procedura amministrativa seguita, come riconosciuto anche dalla Procura contabile, il danno era stato causato dalla sopravvalutazione del prezzo dell'immobile, effettuata dall'U.T.E. di Roma, in particolare dai due funzionari che avevano riscosso tangenti, mentre la decisone di acquistare era stata presa, esclusivamente, dal Presidente della Regione che il venditore aveva ricompensato con il pagamento di una tangente; aggiungeva che non corrispondeva al vero l'affermazione secondo la quale la Regione aveva “surrettiziamente” smesso di versare i canoni di locazione per l'immobile di via Delle Coppelle, considerata la cronicità dei ritardi con i quali l'Amministrazione versava i canoni, stante l'insufficiente disponibilità finanziaria del relativo capitolo di bilancio.

Il convenuto alle accuse mosse dal Pubblico Ministero contabile replicava: la trattativa avviata per l'acquisto dell'immobile di cui è causa non era stata preceduta da un vero e proprio “bando di gara”, bensì da un semplice avviso , pertanto, i dati relativi alla superficie non potevano che essere meramente indicativi; l'arch. C. era stato accreditato nella trattativa dal prof. Tesoriere, stimato docente, consulente ed amico del presidente N.; non aveva promosso alcun incontro tra N. e V. A. ove si era convenuto il pagamento di una tangente, tanto che il sopralluogo contestato era avvenuto alla presenza di altre persone e non si era parlato di versamento di tangenti; l'immobile acquistato si trovava nel quartiere Castro Pretorio, all'interno delle mura aureliane e, pertanto, in pieno centro; nel Comune di Roma il mutamento di destinazione d'uso, se non accompagnato da opere edilizie, era del tutto libero, necessitando al più una semplice autorizzazione sindacale (art. 7 della legge regionale n. 36/1987).

L'arch. R. D., dirigente coordinatore dell'Ispettorato Tecnico Regionale, costituito con memoria depositata in data 07.01.1999, eccepiva l'inammissibilità dell'atto di citazione perché depositato oltre il termine di cui all'art. 5 della legge n. 19/1994, nonché per la pendenza del procedimento penale, considerato che la sentenza del Tribunale di Palermo era stata gravata di appello; in via subordinata, stante il disposto dell'art. 75 co. 3° c.p.p., chiedeva la sospensione del processo contabile in attesa della definizione di quello penale, stante l'identità dei fatti contestati, deducendo che la Regione si era costituita parte civile; eccepiva, altresì, “la prescrizione per il decorso dei cinque anni”.

Nel merito, nel chiedere l'assoluzione da ogni contestazione, rappresentava di essere stato condannato nel processo penale solo per falso ideologico, senza che gli venisse mosso alcun addebito “circa presunti vantaggi economici … tratti in occasione dell'acquisto dell'immobile”, con la conseguenza che l'essere stato assimilato agli altri convenuti comportava la violazione dell'art. 1 quater della legge n. 20/1994.

Lo stesso, alle accuse mosse dalla Procura, replicava: la relazione del 14.11.1991, giudicata non veritiera circa gli adempimenti che la proprietà era tenuta ad effettuare per l'erogazione delle somme, era stata redatta dall'U.T.E. di Roma, come evincibile dal decreto n. 65/1991; l'Ufficio di cui faceva parte non aveva alcuna competenza su valutazioni di tipo urbanistico circa la destinazione d'uso dell'immobile che spettavano, invece, all'Assessorato Regionale Territorio ed Ambiente, potendo soltanto valutare “l'idoneità fisica o materiale” dell'immobile; pur non essendovi tenuto dichiarava la palazzina “idonea per una possibile destinazione ad uffici salvo lievi modifiche connesse alla funzionalità e all'uso relativo”, tanto che tale problematica veniva tenuta presente dalla Presidenza che, tuttavia, procedeva all'acquisto, tenuto conto che per il cambio di destinazione bastava una semplice richiesta alla competente ripartizione di Roma; alla data del 27.09.1990 gli infissi erano in buone condizioni, l'impianto di ascensore era stato già collaudato, l'ammezzato non abbisognava di alcuna ristrutturazione, considerato che poteva essere utilizzato solo come archivio o ripostiglio per l'angustia dei locali; i tre piani erano dotati di impianto di riscaldamento, eccetto in due soli ambienti del primo piano ove erano stati dismessi.

L'arch. D., in conclusione, assumeva che se il danno era fatto discendere dall'acquisto dell'immobile, nessuna responsabilità era a lui imputabile, per non avere assunto alcuna iniziativa sul punto; se era fatto derivare dal pagamento del sovrapprezzo, doveva ritenersi, ugualmente, del tutto estraneo alla causazione dell'illecito erariale, non avendo effettuato alcuna stima sul valore del citato immobile; assumeva, inoltre, che nella relazione del 18.07.1991 aveva evidenziato che all'esito del sopralluogo effettuato il 10.07.1991 il proprietario aveva “provveduto all'esecuzione soltanto di una limitata parte dei lavori necessari definiti nel corso dei precedenti sopralluoghi”, concludendo “… quanto sopra per le determinazioni da parte di codesta Presidenza”.

Il convenuto, in via subordinata, chiedeva l'esercizio del potere riduttivo e, in via istruttoria, una consulenza tecnica d'ufficio “per l'accertamento del presunto danno e del suo importo, in relazione all'effettivo valore dell'immobile acquistato”.

Il geom. L. B., funzionario dell'Ufficio Tecnico Erariale di Roma, costituito con memoria depositata in data 07.01.1999, eccepiva, preliminarmente, il difetto di giurisdizione della Corte dei Conti, alla luce della legislazione al tempo vigente, considerato che era dipendente di un'Amministrazione diversa da quella che aveva subito il danno, nonché l'inammissibilità dell'atto di citazione per omessa notifica dell'invito a dedurre.

Lo stesso, nel merito, nel chiedere l'assoluzione dalle accuse contestate, rappresentava che la sua posizione era stata definita con sentenza di patteggiamento, non equiparabile a quella di condanna e, pertanto, senza alcuna efficacia circa l'accertamento dei fatti nel giudizio contabile.

Il convenuto rappresentava che la relazione del 09.03.1991, ai sensi della circolare 5/5.2.90, costituiva semplice parere di congruità, con la conseguenza che non erano richiesti tutti quegli accertamenti di ordine tecnico necessari per gli elaborati di stima; in ogni caso deduceva, allegando perizia di parte dell'ing. Cima: le consistenze erano state desunte dagli elaborati grafici trasmessi dalla Regione e verificati a campione nei diversi sopralluoghi, con una approssimazione del 3%; il valore di mercato dell'immobile al mq era stato desunto da indagini di mercato per immobili similari in zona; il verbale di consistenza e presa in consegna dell'immobile era corretto in quanto l'accertamento della realizzazione delle opere di ristrutturazione a carico della proprietà non era di sua competenza, non avendo la Regione trasmesso il contratto di compravendita; nel parere di congruità si dava atto che l'immobile aveva “un'ubicazione centrale in zona commercialmente appetibile”, senza alcuna indicazione circa la zona del piano regolatore nel quale ricadeva (“B” anziché “A”), considerato che il “centro” o il “centro storico”, dal punto di vista toponomastico, era individuato dalle mura aureliane.

In conclusione, il convenuto sosteneva la piena correttezza del suo operato, evidenziando la scarsa attendibilità del consulente del Pubblico Ministero penale, tanto che lo stesso Tribunale di Palermo aveva palesato qualche perplessità.

Il sig. B., in ultimo, chiedeva l'esercizio del potere riduttivo, escludendo la solidarietà con gli altri convenuti; in via istruttoria, chiedeva l'acquisizione di documentazione da parte dell'U.T.E., l'acquisizione di informazioni al Comune di Roma e al Ministero dell'Economia e delle Finanze sull'esatta collocazione dell'immobile de quo, consulenza tecnica per la valutazione del citato immobile.

L'ing. P. A., direttore dell'Ufficio Tecnico Erariale di Roma, costituito in giudizio con memoria depositata in data 05.01.1999, nel chiedere l'assoluzione da ogni addebito, rappresentava: di non avere partecipato alla redazione del parere di congruità del B.; il tecnico era stato designato per competenza e in modo autonomo dal capo sezione; la procedura da seguire per redigere il parere di congruità era molto più snella rispetto a quella da seguire per il parere di stima, tanto da essere affidata ad un solo tecnico; di avere apposto semplicemente il visto al fine di fare acquisire rilevanza esterna alla relativa relazione e non era tenuto a verificare la rispondenza dei dati ivi indicati alla situazione fattuale, bensì semplicemente la correttezza delle impostazioni della perizia, i calcoli numerici, la non contraddittorietà delle asserzioni ivi contenute; di verificare giornalmente circa 50/60 pratiche.

Lo stesso concludeva sostenendo che l'immobile, comunque, doveva ritenersi ubicato in centro, ed evidenziava l'inattendibilità dei dati del “borsino” immobiliare della Camera di Commercio di Roma, utilizzato quale parametro dal consulente del Pubblico Ministero penale.

Il convenuto, in via istruttoria, chiedeva una consulenza tecnica.

La Sezione con sentenza n. 113/1999 dichiarava improcedibile il giudizio nei confronti di R. N., deceduto il 30.11.1998, e con ordinanza n. 38/1999 disponeva la sospensione dello stesso in attesa della conclusione del processo penale.

* * *

La Procura Regionale riassumeva il giudizio, in data 13.12.2004, nei confronti di D., D., B. e A., chiedendone la condanna in via solidale, nei confronti della Regione Siciliana, alla somma di € 2.572.314,04, oltre interessi, rivalutazione e spese del giudizio, non ritenendo che vi fossero i presupposti per la prosecuzione dell'azione nei confronti degli eredi di R. N., mancando il presupposto dell'indebito arricchimento.

L'organo requirente, vista la sentenza n. 164/2001 della Corte d'Appello, la sentenza n. 805/2003 della Corte di cassazione, nonchè la sentenza n. 1624/2004 della Corte d'Appello di Palermo, sosteneva che “la sentenza di assoluzione perché il fatto non sussiste o perché l'imputato non lo ha commesso … riguarda non già il fatto materiale, ma il fatto giuridicamente qualificabile come reato e che, pertanto, l'esclusione dei presupposti di reato non esclude una responsabilità amministrativa per colpa grave derivante dagli stessi fatti materiali, la cui valutazione è rimessa al giudice contabile, specie per quanto riguarda la violazione dei doveri inerenti le funzioni svolte e i compiti assegnati”.

D. e il D., nelle rispettive memorie depositate in data 29.04.2005, davano atto che la sentenza n. 1624/2004 era stata annullata dalla Corte di Cassazione con sentenza n. 7309/2005, con rinvio ad altra Sezione della Corte d'Appello e chiedevano, pertanto, la sospensione del giudizio.

B., nella memoria depositata in data 29.04.2005, riprendendo le difese contenute nella precedente memoria, insisteva sulle relative eccezioni e chiedeva l'assoluzione da ogni addebito.

A., nella memoria depositata in data 29.04.2005, eccepiva l'avvenuta estinzione del giudizio, giusta l'art. 297 c.p.c., per non essere stato proseguito entro sei mesi dalla cessazione del motivo della sospensione, venuto meno con la sentenza n. 164/2001 della Corte d'Appello di Palermo, passata in giudicato, che lo aveva assolto da ogni addebito; nel merito, chiedeva il rigetto della domanda della Procura Regionale sia perché, nell'atto di riassunzione, non aveva in alcun modo determinato i comportamenti che per colpa grave avrebbero determinato una sua responsabilità amministrativa, sia perché nulla era a lui addebitabile, data l'organizzazione dell'Ufficio di cui era a capo.

Il Pubblico Ministero, all'udienza del 19.05.2005, chiedeva ed otteneva il rinvio della causa a nuovo ruolo, in attesa della definizione del processo penale.

* * *

La Procura Regionale riassumeva il giudizio, in data 12.11.2007, nei confronti di D., D., B. e A., chiedendone la condanna in via solidale, nei confronti della Regione Siciliana, alla somma di € 2.572.314,04, oltre interessi legali, rivalutazione monetaria e spese del giudizio, dando atto che la sentenza n. 1099/2006 della Corte d'Appello di Palermo, pronunciata a seguito del rinvio dalla sentenza n. 7309/2005 della Corte di Cassazione, era divenuta definitiva quale conseguenza della sentenza n. 3075/2007 della Suprema Corte che aveva rigettato il ricorso proposto dal D..

Il D., nella memoria depositata in data 04.03.2008, chiedeva il rigetto della domanda del Procuratore Regionale in quanto la Corte di Cassazione con sentenza n. 805/2003 lo aveva assolto con la formula “perché il fatto non sussiste”, con conseguente efficacia di tale pronuncia, giusta il disposto dell'art. 652 c.p.p., come novellato dalla legge n. 97/2001, nel giudizio contabile (Corte Conti, I sezione Centrale d'Appello n. 387/2007), stante l'identità dei fatti posti a fondamento dei due giudizi.

Lo stesso rimetteva alla Corte la valutazione della tardività della riassunzione del processo contabile, considerato che il termine semestrale di cui all'art. 297 c.p.c. decorreva dall'avvenuto passaggio in giudicato della sentenza della Corte di Cassazione n. 805/2003.

Il B. depositata, in data 08.03.2008, memoria di contenuto identico a quella depositata in data 29.05.2005, insistendo nelle relative conclusioni e deduzioni difensive.

Il D., nella memoria depositata in data 18.03.2008, reiterava l'eccezione di inammissibilità dell'atto di citazione per violazione del termine di cui all'art. 5 della legge n. 19/1994, nel merito, chiedeva l'assoluzione.

Il convenuto rappresentava che era stato assolto dal reato di falso, mentre era stato condannato per il reato di concorso in corruzione “per il consapevole apporto dato all'imputato alla realizzazione di una plusvalenza nell'acquisto dell'immobile di via Marghera in Roma da destinare al Presidente della Regione Siciliana R. N. per le sue personali spese elettorali”, senza che fosse stato accertato un suo diretto coinvolgimento nella percezione della tangente.

Lo stesso deduceva che tale giudicato penale non poteva esonerare il Giudice contabile dal compito di accertare l'esistenza di un danno erariale e il relativo nesso causale.

Sul punto, contestava sotto diversi profili la consulenza del Pubblico Ministero penale circa la valutazione dell'immobile di cui è causa, argomentando in base alle conclusioni contenute nella consulenza di parte, redatta dall'ing. Salvatore Di Mino, depositata nel giudizio penale; in particolare, sosteneva che il prezzo di mercato dell'immobile avrebbe dovuto essere, al tempo dell'acquisto, di £ 5.400.000.000 e non di £ 3.500.000.000, come indicato dai consulenti penali, con uno scarto minimo del 10% rispetto al prezzo effettivamente pagato dall'Amministrazione (£ 5.900.000.000); aggiungeva che la decisione di procedere all'acquisto era stata assunta dal Presidente della Regione e la valutazione di congruità era stata effettuata dall'U.T.E. di Roma, i cui funzionari avevano ricevuto una tangente di £ 300.000.000; sosteneva che, in ogni caso, non vi era alcun illecito erariale, giusta anche il disposto dell'art. 1 co. 1 bis della legge n. 20/1994, considerato che il bene era stato acquistato al patrimonio regionale e il suo valore si era triplicato nel corso del tempo; concludeva che la Procura contabile non aveva fornito alcuna prova della sproporzione tra il prezzo pagato dalla Regione e il valore dell'immobile, tanto che questa aveva chiesto la proroga del termine per il deposito dell'atto di citazione al fine di disporre una nuova consulenza.

Il D., inoltre, assumeva l'inesistenza di qualsiasi nesso causale tra la condotta punita penalmente e il danno erariale, ribadendo che nel giudizio penale non era stato provato un suo diretto coinvolgimento nelle percezione della tangente; in particolare, sosteneva la debolezza della sentenza della Corte di Cassazione che lo aveva condannato per avere avallato, con la sua presenza alla riunione tenutasi nel luglio del 1990 presso la palazzina da acquisire, l'accordo corruttivo esplicitato dal C. alla parte venditrice; concludeva che il danno erariale era derivato direttamente dall'accordo corruttivo e non tanto dal suo avallo, pur contestando che tale avallo vi fosse stato.

Considerato in

DIRITTO
1) Il Collegio, prima di affrontare il merito del giudizio, deve esaminare le diverse eccezioni preliminari formulate dai convenuti.

1.a) L'A. e il D., quest'ultimo in verità in modo adombrato, hanno eccepito l'avvenuta estinzione del giudizio in quanto non sarebbe stato riassunto entro il termine di cui all'art. 297 c.p.c. (sei medi dalla cessazione della causa di sospensione di cui all'art. 3 del c.p.p.), decorrente dal passaggio in giudicato, rispettivamente, della sentenza della Corte d'Appello di Palermo n. 164 del 15.01.2001 e della sentenza della Corte di Cassazione n. 805 del 16.07.2003; con tali decisioni sono stati assolti, definitivamente, con la formula “per non avere commesso il fatto” e “perché il fatto non sussiste”.

L'eccezione non può essere accolta in quanto l'ordinanza n. 38/1999, dopo avere dato atto del litisconsorzio processuale tra i convenuti, con necessità di una trattazione unitaria delle posizioni, ne ha disposto la sospensione “fino alla pronuncia della sentenza penale non più soggetta ad impugnazione e di cui al procedimento penale richiamato in epigrafe”, concluso con la sentenza del Tribunale di Palermo n. 730/1997, e a quel momento gravata di appello.

Il procedimento penale de quo si è concluso con la sentenza della Corte di Cassazione n. 30757/2007, depositata in data 27.07.2007; solo con tale pronuncia, che ha rigettato il ricorso proposto dal D., possono ritenersi definite le posizioni processuali di tutti i convenuti e, quindi, concluso il relativo processo penale: l'atto di riassunzione, conseguentemente, è stato depositato, tempestivamente, in data 12.11.2007. Del resto, trattandosi di un giudizio scaturente da un unico fatto (l'acquisto dell'immobile di via Marghera) si imponeva una trattazione unitaria delle posizioni processuali dei diversi convenuti, a vario titolo intervenuti nella vicenda.

Per completezza argomentativa deve osservarsi che secondo un certo orientamento giurisprudenziale (Corte Conti, III Sezione Centrale d'Appello n. 277/2006), in verità minoritario, il termine di cui all'art. 297 c.p.p. non opera nel caso di sospensione del giudizio contabile in attesa della definizione di quello penale, considerato che tale sospensione non avviene per una delle cause indicate nell'art. 3 c.p.p., né rientra tra le ipotesi di sospensione necessaria disciplinate dall'art. 295 c.p.c., stante l'autonoma tra i due giudizi.

1.b) Il B. ha eccepito il difetto di giurisdizione di questa Corte, giusta l'art. 1 co. 4° della legge n. 20/1994, in quanto all'epoca dei fatti, anteriori al 14.01.1994, era dipendente non della Regione Siciliana, Ente danneggiato, bensì del Ministero delle Finanze.

L'eccezione deve essere rigettata.

La Corte di Cassazione ha ritenuto che ai fini della sussistenza della giurisdizione del Giudice contabile in relazione a fatti commessi da amministratori e dipendenti ad enti pubblici diversi da quelli di appartenenza, in epoca anteriore all'entrata in vigore dell'art. 1 della legge n. 20/1994, come novellato dall'articolo 3 della legge n. 639/1996, deve potersi configurare, a carico di costoro, una responsabilità patrimoniale amministrativa di natura contrattuale, fondata sull'esistenza di un rapporto di servizio tra l'autore del danno e l'ente danneggiato e sulla violazione di doveri ad esso inerenti, rientrando, invece, le ipotesi di responsabilità extracontrattuale nella giurisdizione del Giudice ordinario.

Ciò posto, il B. non solo ha reso il parere di congruità del 23.10.1990, secondo quanto disposto dalla circolare ministeriale n. 5 del 05.02.1990, previo sopralluogo sull'immobile di cui è causa, ma ha anche redatto, in data 14.11.1991, previo un ulteriore sopralluogo, il verbale di consistenza del citato immobile.

Da quanto sopra argomentato si evince che tra il B., dipendente del Ministero delle Finanze, e la Regione Siciliana si è instaurato un vero e proprio rapporto di servizio relativo alla svolgimento di una funzione di rilevanza regionale, attribuita ex lege ad organi dell'Amministrazione statale, con l'inserimento del citato convenuto nella relativa organizzazione amministrativa, in particolare nel procedimento posto in essere per l'acquisto dell'immobile di via Marghera, e non un semplice contatto occasionale, come sostenuto dalla difesa al fine di negare la giurisdizione contabile.

1.c) Il D. e il D. hanno eccepito l'inammissibilità dell'atto di citazione perché sarebbe stato emesso oltre il termine di cui all'art. 5 della legge n. 19/1994.

La doglianza è priva di fondamento in quanto l'invito a dedurre è stato notificato, rispettivamente, il 30.07.1997 e il 20.08.1997, con la concessione di un termine di novanta giorni per il deposito di memorie; tenuto conto della sospensione feriale di cui all'art. 1 della legge 7 ottobre 1969 n. 742 (cfr. Corte dei Conti, Sezioni Riunite, sentenza n. 7/2003/QM), il Pubblico Ministero ha depositato, tempestivamente, in data 20.02.1998, l'istanza con la richiesta di proroga del termine per l'emissione dell'atto di citazione; il Collegio, con ordinanza n. 79/1998, depositata in data 19.08.1998, ha rigettato la richiesta; il Pubblico Ministero ha emesso l'atto di citazione il 25.09.1998, entro i successivi quarantacinque giorni.

La difesa sostiene che il suddetto termine di quarantacinque giorni debba decorrere dalla camera di consiglio all'uopo convocata, nel caso di specie dal 02.06.1998, prescindendo dall'esito della decisione. La tesi non è condivisibile in quanto è solo a seguito del deposito del provvedimento collegiale che il Pubblico Ministero può valutare, compiutamente, se disporre l'archiviazione o la prosecuzione del giudizio, anche nel caso in cui la richiesta di proroga non venga accolta.

1.d) Il B. ha eccepito l'inammissibilità dell'atto di citazione perché non sarebbe stato preceduto dalla notifica dell'invito a dedurre.

L'affermazione è smentita dai documenti contenuti nel fascicolo processuale: l'invito a dedurre è stato regolarmente notificato il 24.10.1997, con le modalità di cui all'art. 140 c.p.c., presso l'indirizzo risultante dal certificato di residenza, rilasciato dai Servizi demografici del Comune di Roma in data 15.10.1997 e l'avviso di ricevimento della raccomandata non è stato ritirato dal B., nonostante la regolarità della notifica.

Sul punto deve osservarsi che nessuna influenza può avere la sentenza della Corte Costituzionale n. 346/1998, come sostenuto dall'avv. Dimitri Goggiamani durante la discussione all'udienza del 28.03.2008, sia perché la citata pronuncia è di epoca successiva all'avvenuto perfezionamento della notifica (15.10.1997), sia perché riguarda la notifica effettuata a mezzo del servizio postale (art. 149 c.p.c. e art. 8 della legge n. 890/1992) e non quella di cui all'art. 140 del c.p.c. (la spedizione della raccomandata costituisce, infatti, soltanto una delle formalità richieste, unitamente al deposito dell'avviso presso la casa comunale e all'affissione presso l'abitazione, per il perfezionamento della notifica).

1.e) Il D. ha eccepito la prescrizione quinquennale del credito erariale, essendo stati i fatti commessi nel 1991; l'avv. Dimitri Goggiamani, difensore del B., all'udienza del 28.03.2008, ha eccepito, per la prima volta, la prescrizione dell'azione di responsabilità intrapresa dal Procuratore Regionale.

L'eccezione sollevata dal B. deve essere dichiarata inammissibile in quanto tardivamente formulata.

L'eccezione del D. deve essere, invece, rigettata.

L'illecito erariale è stato commesso il 20.11.1991, allorché sono stati emessi i mandati di pagamento del prezzo dell'immobile di cui è causa; il decreto di rinvio a giudizio è stato emesso il 28.10.1994; la Regione Siciliana si è costituita parte civile nel giudizio penale incardinato presso il Tribunale di Palermo; la suddetta Autorità giudiziaria, con sentenza n. 730/1997, ha condannato N., D., D. e A. “al risarcimento dei danni in favore della costituita parte civile, da liquidarsi nella competente sede giudiziaria”.

Per giurisprudenza pacifica la costituzione di parte civile nel processo penale ha efficacia interruttiva della prescrizione (ex multis I Sezione Centrale d'Appello n. 137/2008, III Sezione Centrale d'Appello n. 262/2006), con la conseguenza che l'atto di citazione, notificato in data 20.10.1998, deve ritenersi tempestivo.

2) Sgombrato il campo dalle eccezioni preliminari, occorre esaminare il merito della presente vicenda, ricostruendo i fatti di causa, come emergono dall'articolato processo penale.

2.a) Il Tribunale di Palermo, con sentenza n. 730/1997, ha condannato N., D., D. e A. per i seguenti reati:

A) N., D. e D.:

delitto di cui agli artt. 110. 112 n.1, 61 n.2, 479 (in relazione all'art. 476) c.p. per avere in concorso tra loro e con M. A., V. A. V. e C. M. C. - il N. quale Presidente della Regione Siciliana, il D. quale Direttore applicato alla Direzione del Personale e dei Servizi Generali della Presidenza della Regione, il D. quale Dirigente coordinatore in servizio presso l'Ispettorato Tecnico della Regione, il V. A. ed il M. quali interessati alla vendita alla Regione Siciliana dell'immobile sito in Roma, via Marghera 36, il C. quale intermediario fra questi ultimi ed i sopra citati pubblici ufficiali - falsamente attestato in una relazione tecnica in data 23.10.1990, formata nell'esercizio delle sue funzioni dal D. a ciò istigato dalle persone sopra citate, fatti dei quali l'atto era destinato a provare la verità ed, in particolare, che l'intero edificio era interamente ristrutturato, per quanto riguarda sia i prospetti che gli ambienti interni compresi gli impianti tecnologici, e che pertanto risultava idoneo per una possibile destinazione ad uffici della Regione Siciliana in Roma, essendo al contrario detto immobile, in virtù di precisa disposizione del Piano Regolatore di Roma, non utilizzabile per tale destinazione, ma solo per uso residenziale;

con le circostanze aggravanti del numero delle persone e dell'avere commesso il fatto (eccetto il D.) al fine di eseguir il reato di abuso patrimoniale di cui al capo O) e quello di corruzione di cui al capo Q);

B) A.:

delitto di cui agli artt. 110, 112 n.1, 319, 319 bis, 321 c.p per avere, in concorso con B. L., M. A., V. A. V., C. M. C., D. P., N. R., D. G. - l'A. e il B. quali, rispettivamente, direttore e funzionario dell'UTE di Roma - accettato la promessa loro fatta dal V. e dal M., tramite il C. ed il D., della somma di £ 300.000.000 poi effettivamente consegnata in almeno due tranches (di cui l'ultima corrisposta nel gennaio 1992) per compiere atti contrari ai doveri di imparzialità ed onestà ed, in particolare, per ritenere congruo, in una perizia di congruità avente ad oggetto il valore venale dell'immobile, di cui al capo che precede, il corrispettivo di vendita nella misura di £ 5.990.000.000; a tal fine fornendo, fra l'altro, false indicazioni in ordine alla entità della superficie (mq. 922 anziché 733,90) ed al valore al mq., che veniva fissato nella misura di £ 6.500.000 e, pertanto, macroscopicamente in eccesso rispetto alle valutazioni di mercato dell'epoca in relazione a quel particolare tipo di immobile;

con le aggravanti del numero delle persone e dell'avere commesso il fatto in relazione alla stipula di un contratto cui era interessata la amministrazione regionale;

C) N. e D.:

concorso nel reato sub B) sotto il profilo della istigazione e determinazione a commetterlo;

D) A.:

delitto di cui agli artt. 110, 112 n.1, 61 n.2, 479 in relazione all'art. 476 c.p per avere in concorso con B. L., N. R., D. G., C. M. C., M. A., V. A. V. - l'A. ed il B. quali, rispettivamente, direttore e funzionario dell'UTE di Roma - falsamente attestato in una relazione di sopraluogo con n. 9587/90, formata dal B. e trasmessa all'A. per la risposta alla Regione Siciliana (Ente richiedente il parere di congruità sul valore dell'immobile sub A), che le consistenze di detto immobile “desunte dagli elaborati grafici in atti e verificate con misurazioni in sede di sopra luogo” ammontavano a mq. 922;

con le aggravanti del numero delle persone e dell'avere commesso il fatto al fine di eseguire il reato di abuso patrimoniale di cui al capo O) e di corruzione di cui al capo Q);

E) N. e D.:

concorso nel reato sub D) sotto il profilo della istigazione a commetterlo;

F) A.:

delitto di cui agli artt. 110, 112 n.1, 61 n.2, 479 in relazione all'art. 476 c.p per avere in concorso con B. L., N. R., D. G., V. A. V., M. A., C. M. C. - quale funzionario dell'UTE di Roma - attestato falsamente in una nota in data 9.3.91, redatta dal B. e sottoscritta dall'A., diretta alla Presidenza della Regione Siciliana, che la superficie dell'immobile di cui al capo A) era di mq. 900 circa;

con le aggravanti del numero delle persone e dell'aver commesso il fatto al fine di eseguire il reato di abuso patrimoniale sub O) ed il reato di corruzione sub Q);

G) N. e D.:

concorso nel reato sub F) sotto il profilo della istigazione a commetterlo;

H) D.:

delitto di cui agli artt.11 0, 112 n.1, 479 in relazione all'art. 476 c.p. per avere falsamente attestato in una relazione “aIl'On. Assessore” n. 2450 in data 8.4.91, formata e sottoscritta da S. M., dirigente coordinatore in servizio presso l'Assessorato, (sulla base di documentazione, a questa consegnata e contenente, fra l'altro, la falsa rappresentazione della realtà di cui al capo A), vistata dal D. e trasmessa al Consiglio di Giustizia Amministrativa per il prescritto parere di legittimità in ordine all'acquisto dell'immobile di cui al capo A) che: a) la superficie complessiva utile dell'immobile da acquistare era di mq. 900 circa, b) che tale immobile risultava adeguatamente ristrutturato ed utilizzabile quale sede di pubblico ufficio;

con le aggravanti del numero delle persone e dell'avere commesso il fatto al fine di eseguire il reato di abuso patrimoniale sub O) e di corruzione sub Q);

I) N.:

concorso nel reato sub H) sotto il profilo della istigazione a commetterlo;

N) N., D. e A.:

delitto di cui agli artt. 110, 112 n.1, 61 n.2, 479 in relazione all'art. 476 c.p per avere in concorso con M. A., V. A. V., B. L., C. M. C. - il B. ed il V. quali materiali intervenienti, il primo in rappresentanza dell'UTE ed il secondo come proprietario, alla redazione di un verbale dell'UTE di consistenza e presa in consegna dell'immobile di cui al capo A), e gli altri quali istigatori - falsamente attestato che nel sopraluogo presso il detto immobile si era constatato il perfetto stato d'uso di tutti gli ambienti e di tutti gli impianti tecnologici in quanto la proprietà aveva “recentissimamente” ultimato tutte le opere di ristrutturazione concordate con l'Ente acquirente;

con le aggravanti del numero delle persone e di avere commesso il fatto per eseguire i reati di abuso patrimoniale sub O) e di corruzione sub Q);

Q) N. e D.:

delitto di cui agli artt. 110, 112 n.1, 319, 319 bis, 321 c.p. per avere in concorso con M. A., V. A. V., C. M. C., D. P. - il N. quale Presidente della Regione Siciliana, il D. quale Direttore del Personale e Servizi Generali dell'Assessorato alla Presidenza accettato tramite l'intermediario C. la promessa, loro fatta in Palermo dal V. e dal M., di una somma di denaro pari a circa £. 1.600.000.000, poi effettivamente erogata dal V., tramite il M. ed il D., nella misura di £ 1.240.000.000 circa (consegnata in tutto o in parte al N. tramite il C. e B. E.), per compiere e/o aver compiuto atti contrari ai doveri del loro Ufficio ed, in particolare: a) per fare redigere ad un funzionario dell'Ispettorato Tecnico regionale (D.) una falsa relazione sulla utilizzabilità come pubblico ufficio dell'immobile sito in Roma, via Marghera 36, che la Regione Siciliana intendeva acquistare; b) per fare redigere ad un funzionario della Presidenza (S. M.) peraltro ignaro della falsità della documentazione messagli a disposizione, due relazioni, dirette al Consiglio di Giustizia Amministrativa ed all'Avvocatura Distrettuale dello Stato di Palermo, nelle quali veniva rappresentata l'urgenza dell'acquisto e l'idoneità dell'immobile ad essere destinato a sede di pubblico ufficio; c) per convenire con il proprietario di detto immobile un corrispettivo di vendita di importo superiore al valore venale; d) per disporre il pagamento di tale corrispettivo benché da parte del proprietario non fossero stati eseguiti integralmente i concordati lavori di ristrutturazione;

con le aggravanti del numero delle persone e dell'avere commesso il fatto in relazione alla stipula di un contratto cui era interessata l'Amministrazione Regionale;

in quest'ultimo capo sono stati ritenuti assorbiti i seguenti reati:

M) (N. e D.): delitto di cui agli artt. 110, 112 n.1, 81 cpv, 323 cpv c.p., per avere, in concorso con M. A., V. A. V. e C. M. C., istigato e determinato L. V., assessore regionale alla Presidenza, a commettere il reato (capo L) di cui agli artt. 110, 112 n.1, 81 cpv, 61 n. 2, 323 cpv c.p., per avere, in concorso con gli stessi soggetti, per procurare a V. A. V. l'ingiusto vantaggio patrimoniale di un corrispettivo di ammontare superiore al valore venale dell'immobile sito in Roma via Marghera 36, onde consentirgli il pagamento delle "tangenti" di cui sub B) e Q), abusato del suo ufficio, emettendo i decreti amministrativi 21.12.90 e 24.4.91, con i quali, in vista della stipula del contratto di compravendita avente per oggetto l'immobile sopraccitato, disponeva l'impegno delle somme, rispettivamente di £ 5.000.000.000 e di £ 990.000.000 che pertanto venivano, con violazione delle norme riguardanti il buon andamento della Pubblica Amministrazione, distratte per scopi estranei alle finalità istituzionali; con le aggravanti del numero delle persone e dell'aver commesso il fatto al fine di eseguire il reato di abuso patrimoniale sub O) e di corruzione sub Q);

O) (D.): delitto di cui agli artt. 110, 112 n.1, 61 n. 2, 81 cpv., 323 cpv. c.p. per avere, in concorso con N. R., M. A., V. A. V., C. M. C. - agendo quale Direttore del Personale e dei Servizi Generali della Presidenza della Regione Siciliana - abusato del suo Ufficio, al fine di procurare un ingiusto vantaggio patrimoniale al V. consistente nella corresponsione di un prezzo superiore al valore venale dell'immobile sito in Roma, via Marghera 36, distraendo, in favore del V. e della comproprietaria S. M. L. ora deceduta, la somma di oltre £ 2.500.000.000 pari alla differenza di prezzo erogato dalla Regione Siciliana in eccesso rispetto all'effettivo valore venale e alle ulteriori somme di denaro (alcune decine di milioni di lire) che dal citato proprietario dell'immobile, per disposizione contrattuale, avrebbero dovuto essere spese per la effettuazione di taluni lavori di ristrutturazione mai in realtà eseguiti;

P) (N.): delitto di cui agli artt.110, 112 n.1, 81 cpv., 323 cpv. c.p. per avere, in concorso con M. A., V. A. Valeria e C. M. C., istigato e determinato D. G. a commettere il reato sub O).

Il Tribunale ha, altresì, dichiarato la falsità dei documenti di cui ai capi a), d), f), h) ed n) della rubrica, ordinandone la cancellazione.

La Corte d'Appello di Palermo, con sentenza n. 164/2001, in parziale riforma della sentenza del giudice di prime cure, ha dichiarato di non doversi procedere nei confronti di N. R., nelle more del giudizio deceduto, ha assolto l'A. dai reati contestati per non averli commessi (… il B. ha escluso di avere ricevuto sollecitazioni o pressioni dall'A. per redigere le relazioni affette da falsità … è probabile , che il V. abbia fatto agli inquirenti il nome dell'A., perché lo stesso, quale capo dell'Ufficio, all'epoca era stato oggetto delle cronache giudiziarie per altre indagini su un sistema tangentizio, nelle quali lo stesso imputato ha confessato di essere stato coinvolto … non può con certezza affermarsi la sussistenza dell'elemento psicologico, non apparendo inverosimile che l'A. abbia solo peccato della negligenza di fidarsi del controllo, già effettuato - ed attestato dall'apposizione dei visti - dal capo sezione, ing. P. …), confermando per il resto l'impugnata sentenza nei confronti del D. e del D..

La Corte di Cassazione, con sentenza n. 805/2003, ha annullato senza rinvio, la sentenza della Corte di Appello di Palermo, limitatamente al capo A, contestato al D. e al D., quest'ultimo dal primo istigato, (artt. 110, 112 n. 1, 61 n. 2, 479 c.p.), per “avere falsamente attestato, in una relazione tecnica, in data 23 ottobre 1990, formata dal D. nell'esercizio delle sue funzioni, che l'edificio era stato interamente ristrutturato sia per i prospetti sia per gli interni, compresi gli impianti tecnologici e che pertanto risultava idoneo per una destinazione ad uffici, mentre l'immobile non era utilizzabile a tal fine ma solo per uso residenziale, come da p.r.g. del Comune di Roma”, con la motivazione “perché il fatto non sussiste” (…la destinazione d'uso dell'immobile risultava pacificamente dai dati catastali; e che, pertanto, la sua natura non poteva costituire l'oggetto dell'ispezione affidatagli, essendo del tutto agevolmente accertabile attraverso una semplice misura di questi dati. Manifestamente illogico, quindi, è ritenere che il D. abbia scientemente omesso, nella sua relazione, di menzionare la destinazione attuale dell'immobile ad uso abitativo allo scopo di non pregiudicare il buon esito della trattativa della compravendita … non ha senso logico, parimenti, desumere la falsità ideologica della relazione del 23.10.1990 dal tenore della successiva relazione dello stesso D. in data 18.7.1991, non vedendosi come la tuttora parziale esecuzione dei lavori cui era contrattualmente obbligato il venditore (dal D. nell'occasione accertata) possa essere considerata come fatto sintomatico di una assoluta e insanabile inidoneità originaria dell'immobile all'uso cui il compratore intendeva destinarlo…); il Supremo Collegio ha, altresì, annullato con rinvio ad altra sezione della suddetta Corte di Appello, la citata sentenza con riferimento agli altri reati contestati al D., per vizio di motivazione.

La Corte di Appello di Palermo, con sentenza n. 1624/2004, ha assolto il D. dai reati “di cui ai capi C), E), G), N), e Q), già assorbiti in esso i reati di cui ai capi M) ed O) della rubrica, per non avere commesso il fatto e del reato di cui al capo H) della rubrica perché il fatto non sussiste”, così come indicati nella sentenza del Tribunale n. 730/1997.

La Corte di Cassazione, con sentenza n. 7309/2005, ha annullato la sentenza n. 1624/2004, rinviando ad altra Sezione della Corte di Appello per un nuovo giudizio.

La Corte di Appello di Palermo, con sentenza n. 1099/2006, ha condannato il D. per tutti i reati allo stesso ascritti, di cui ai capi C), E), G), H), N) e Q), in esso assorbiti i reati di cui al capo M) ed O) della sentenza del Tribunale n. 730/1997 e della Corte di Appello n. 164/2001.

La Corte di Cassazione, con sentenza n. 30757/2007, nel rigettare il ricorso promosso dal D., ha confermato la precedente statuizione che, conseguentemente, è pasata in giudicato.

2.b) Il B. è stato condannato, ex artt. 444 c.p.p. ss, dal Giudice per le Indagini Preliminari presso il Tribunale di Palermo, con sentenza n. 996/1994, depositata in data 03.11.1994, in concorso con altri soggetti coinvolti nella vicenda, per i seguenti capi di imputazione:

B) B., M., V. A., C. e D. del delitto previsto dagli arti. 319, 319 bis, 321, 110, 112 n. 1, 61 n. 2 c.p., per avere, in concorso tra loro e con N. R., D. G., A. P. e B. L. - n.q. rispettivamente di Direttore e di funzionario dell'U.T.E. di Roma, accettato la promessa loro fatta da V. A. V. e M. A., per il tramite di C. M. C. e D. P., della somma di £ 300.000.000, poi effettivamente consegnata in almeno due “tranches” - di cui l'ultima corrisposta nel gennaio 1992 - per compiere atti contrari ai doveri di imparzialità ed onestà ed, in particolare, per ritenere congruo, in una perizia di congruità da loro redatta avente ad oggetto il valore venale dell'immobile di via Marghera n. 36, in Roma, il corrispettivo di vendita nella misura di £ 5.990.000.000, a tal fine fornendo, fra l'altro, false indicazioni in ordine all'entità della superficie (mq. 922,00 anziché 733,90) nonchè in ordine al valore al metro quadro che veniva fissato in £ 6.500.000 e, pertanto, macroscopicamente in eccesso rispetto alle valutazioni di mercato dell'epoca in relazione a quel particolare tipo di immobile; con le aggravanti del numero delle persone e dell'avere commesso il fatto al fine di eseguire il reato di abuso patrimoniale di cui al capo sub L) e di corruzione di cui al capo sub M) e con l'ulteriore, aggravante di avere commesso il fatto in relazione alla stipula di un contratto cui era interessata l'Amministrazione regionale;

C) B. del delitto previsto dagli artt. 110, 112 n. 1, 61 n. 2, 479, c.p. in relazione all'art. 476 stesso codice, per avere, in concorso con A. P., N. R., D. G., L. V., C. M. C., M. A., V. A.. - A. e B. n.q. di funzionari dell'U.T.E. di Roma - falsamente attestato in una relazione di sopralluogo recante il n. 9587/90 U.T.E. di Roma, formata dal B. e poi trasmessa all'A. per la risposta alla Regione Siciliana, Ente richiedente il parere di congruità sul valore dell'immobile di cui sopra, che le consistenze di detto immobile “desunte dagli elaborati grafici in atti e verificate con misurazioni in sede di sopralluogo” ammontavano a mq. 922,00; con le aggravanti del numero delle persone e dell'avere commesso il fatto al fine di eseguire il reato dì abuso patrimoniale di cui al capo sub L) e di corruzione di cui al capo sub M);

E) B. del delitto previsto dagli artt. 110, 12 n. 1, 61 n. 2, 479 c.p., in relazione all'art. 476 stesso codice, per avere - in concorso con A. P.; N. R., D. G., L. V., V. A. V., M. A., C. M. C. - nella qualità di funzionario dell'U.T.E. di Roma, attestato falsamente in una nota recante la data del 09.03.91, redatta dal B. e sottoscritta dall'A., diretta alla Presidenza della Regione Siciliana, che la superficie dell'immobile in questione era di mq. 900 circa; con le aggravanti del numero delle persone e dell'avere commesso il fatto al fine di eseguire il reato di abuso patrimoniale di cui al capo sub L) e di corruzione di cui al capo sub M);

- capo di imputazione sub L) contestato al M., V. A. e C.:

del reato di cui agli artt. 110, 112 n. 1, 81 cpv., 323 cpv. c.p. per avere, in concorso tra loro e con N. R., L. V. e D. R. determinato ed istigato D. G. ad abusare del suo Ufficio, aI fine di procurare un ingiusto vantaggio patrimoniale a V. A. consistente nella corresponsione di un corrispettivo superiore al valore venale dell'immobile sito in Roma, via Marghera n. 36, distraendo mediante l'emissione di mandati di pagamenti in data 20.11.91 in favore del citato V. e della comproprietaria dell'immobile S. M. L..deceduta, la somma di oltre £ 2.500.000.000 pari alla differenza di prezzo (£ 2.490.000.000) erogato dalla Regione Siciliana in eccesso rispetto all'effettivo valore venale dell'immobile e alle ulteriori somme di denaro (alcune decine di milioni di lire) che dal citato proprietario dell'immobile, per disposizione contrattuale, avrebbero dovute essere spese per l'effettuazione di taluni lavori di ristrutturazione mai in realtà eseguiti;

- capo di imputazione sub M) contestato a M., V. A., C. e D.

del delitto p, e p. dagli artt. 110, 112 n. 1, 319, 319 bis, 321 c.p., per avere, in concorso tra loro e B. E., N. R. n.q. di Presidente della Regione Siciliana, L. V. e D. G. n.q. rispettivamente di Assessore alla Presidenza della Regione Siciliana e di Direttore del Personale e Servizi Generali di detto assessorato, accettato tramite l'intermediario C. C. M., la promessa loro fatta in Palermo in data 15.07.91 da V. A. V. e M. A., di una somma di denaro pari a circa £ 1.600.000.000, poi effettivamente erogata dal V. tramite il M. e il D. nella misura di circa £ 1.240.000.000 (somma che veniva consegnata in tutto o in parte al N. tramite il C. ed il B.) per compiere e/o avere compiuto atti contrari ai doveri del loro ufficio ed in particolare: per far redigere ad un funzionario dell'Ispettorato Tecnico Regionale (D. R.) una falsa relazione sulla utilizzabilità come pubblico ufficio dell'immobile di cui sopra che la Regione Siciliana intendeva acquistare; per fare redigere ad un funzionario della Presidenza, S. M., peraltro, ignara della falsa documentazione messagli a disposizione, due relazioni - di cui una diretta al Consiglio di Giustizia Amministrativa e l'altra all'Avvocatura Distrettuale dello Stato di Palermo nelle quali veniva rappresentata l'urgenza dell'acquisto e l'idoneità dell'immobile ad essere destinato a sede di pubblico ufficio; per convenire con il proprietario di detto immobile un corrispettivo di vendita di importo superiore al valore venale dello stesso; per disporre il pagamento di tale corrispettivo benché da parte del proprietario non fossero stati eseguiti, integralmente, i concordati lavori di ristrutturazione; con le aggravanti del numero delle persone e dell'avere commesso il fatto in relazione alla stipula di un contratto cui era interessata l'Amministrazione Regionale.

3) La Procura contabile, innanzi a questo articolato quadro processuale, negli atti di riassunzione del giudizio, depositati il 13.12.2004 e il 12.11.2007, ha insistito tout court sulla richiesta di condanna, in via solidale, dei convenuti D., D., B. ed A., alla somma di € 2.572.314,04, quale danno erariale patito dalla Regione Siciliana, in ordine ad una serie di illeciti commessi nelle procedure di acquisto dell'immobile di cui in narrativa.

In particolare, l'organo requirente ha contestato un danno patrimoniale di £ 2.490.000.000, pari alla differenza tra il prezzo pagato di £ 5.990.000.000 per l'immobile de quo e il suo valore effettivo di £ 3.500.000.000, come determinato dai consulenti del Pubblico Ministero penale, arch. Giuseppe Barresi e ing. Giuseppe Romano, nella perizia agli atti; ha, altresì, contestato, per un pari importo, un danno all'immagine, qualificato come danno “non patrimoniale, legato alla vasta eco che le condotte delittuose avevano avuto sulla stampa locale”.

4) Ciò posto, è necessario vagliare le contestazioni mosse ai singoli convenuti nell'atto di citazione, sia alla luce delle risultanze del processo penale, sia all'esito della disamina della corposa documentazione riversata, da tutte le parti, nel fascicolo di causa.

4.a) Il Collegio ritiene di affrontare, preliminarmente, le posizioni del D. R., dirigente coordinatore dell'Ispettorato Tecnico Regionale, nonché di A. P., Direttore dell'Ufficio Tecnico Erariale del Ministero delle Finanze in Roma, assolti nel giudizio penale dalle imputazioni contestate, rispettivamente, con la sentenza della Corte di Cassazione n. 805/2003 e con la statuizione della Corte di Appello di Palermo n. 164/2001, come meglio specificato sub 2.a).

All'uopo si osserva che l'art. 652 c.p.p., nel testo novellato dell'art. 9 della legge n. 97/2001, recita: “La sentenza penale irrevocabile di assoluzione pronunciata in seguito a dibattimento ha efficacia di giudicato, quanto all'accertamento che il fatto non sussiste o che l'imputato non lo ha commesso o che il fatto è stato compiuto nell'adempimento di un dovere o nell'esercizio di una facoltà legittima, nel giudizio civile o amministrativo per le restituzioni e il risarcimento del danno promosso dal danneggiato o nell'interesse dello stesso, sempre che il danneggiato si sia costituito o sia stato posto in condizione di costituirsi parte civile, salvo che il danneggiato dal reato abbia esercitato l'azione in sede civile a norma dell'articolo 75, comma 2”.

Sull'efficacia di tale norma nel giudizio contabile, il Collegio deve rilevare un orientamento giurisprudenziale non pienamente univoco.

Parte della giurisprudenza, in verità minoritaria, è tesa a negarvi ingresso in virtù della considerazione che il Procuratore regionale della Corte dei Conti, esclusivo titolare della relativa azione di responsabilità, non può essere parte del processo penale e, quindi, nel giudizio contabile può produrre elementi probatori diversi rispetto a quelli sottostanti al giudicato penale, al fine di offrire una lettura divergente degli elementi accertati in quella sede (Corte dei Conti, I Sezione d'Appello, n. 189/2006).

Altro orientamento giurisprudenziale, largamente prevalente (ex plurimis Corte dei Conti, I Sezione Centrale d'Appello, n. 387/2007; III Sezione Centrale d'Appello n. 75/2007; Umbria n. 25/2007; Sicilia n. 980/2006; Campania n. 1759/2004), giunge a conclusioni opposte, richiamando l'emendamento apportato all'art. 652 c.p.p. dalla menzionata novella contenuta nell'art. 9 della legge n. 97/2001 che, proprio per eliminare ogni dubbio, ha puntualizzato che l'efficacia di giudicato della sentenza penale assolutoria irrevocabile opera nel giudizio civile o amministrativo per il risarcimento del danno “anche se promosso” nell'interesse del danneggiato, rendendo così evidente, con quest'ultimo inciso, il riferimento alla figura del Procuratore Regionale della Corte dei Conti; tale interpretazione è, altresì, avvalorata dalla lettura dei lavori parlamentari della citata legge, ove, il relatore ha chiarito che l'emendamento in questione è stato introdotto al fine di superare l'oscillante giurisprudenza contabile ed ha precisato che il procedimento amministrativo di danno, indicato nell'art. 652 c.p.p., “è il procedimento di responsabilità erariale dinanzi alla Corte dei Conti” (cfr. Senato della Repubblica, XIII Legislatura, 1014ª Seduta antimeridiana - Assemblea - Resoconto Stenografico 1 febbraio 2001, pag. 9 - Relatore Pellegrino).

La norma processuale in questione, ovviamente, può trovare ingresso nel processo contabile, purché nel pieno rispetto del principio di cui all'art. 2697 c.c., solo nei limiti ivi indicati e cioè quanto all'accertamento, emesso a seguito del dibattimento, che il fatto dedotto nella causa penale non sussiste o che l'imputato non lo ha commesso o che è stato compiuto nell'adempimento di un dovere o nell'esercizio di una facoltà legittima, a condizione che vi sia identità soggettiva ed oggettiva tra il fatto posto a fondamento dell'azione di responsabilità amministrativa e quello oggetto del giudicato penale assolutorio e che quest'ultimo non sia frutto dell'accertamento dell'insussistenza di sufficienti elementi di prova, ai sensi dell'art. 530 co. 2° c.p.p.

L'accertamento contenuto in una sentenza penale irrevocabile di assoluzione pronunciata con la formula perché “il fatto non costituisce reato” non ha, invece, efficacia di giudicato, ai sensi dell'art. 652 c.p.p., nel giudizio civile di danno, nel quale, in tal caso, compete al Giudice il potere di accertare autonomamente, con pienezza di cognizione, i fatti dedotti in giudizio e di pervenire a soluzioni e qualificazioni non vincolate dall'esito del processo penale.

Occorre, però, puntualizzare che la formula assolutoria “perché il fatto non sussiste” non necessariamente deve essere rivelatrice dell'insussistenza del fatto materiale potendo, anche, implicare che - pur essendo incontestato il fatto fenomenico - manchi taluno degli elementi di cui giuridicamente si compone il fatto-reato (ad es. non corrispondenza tra la condotta e la norma incriminatrice).

Ne consegue che la norma processuale in questione non autorizza alcun automatismo tra formula assolutoria adottata dal giudice penale ed efficacia di giudicato extrapenale, la cui valutazione va condotta caso per caso, tenendo conto dell'effettivo accertamento contenuto nella sentenza di assoluzione, dedotto sia dal dispositivo che dalla stessa motivazione.

Incidenter tantum, deve osservarsi che anche nel caso in cui il giudice dovesse procedere ad un autonomo accertamento dei fatti, con pienezza di cognizione, non essendo vincolato alle soluzioni e alle qualificazioni del giudice penale, ciò non gli precluderebbe di utilizzare, come fonte del proprio convincimento, le prove raccolte in un giudizio penale con sentenza passata in cosa giudicata e di fondare la decisione su elementi e circostanze già acquisiti con le garanzie di legge in quella sede, procedendo, a tal fine, a diretto esame del contenuto del materiale probatorio ovvero ricavandoli dalla sentenza, o se necessario, dagli atti del relativo processo in modo da accertare esattamente i fatti materiali sottoponendoli al proprio vaglio critico.

Ciò posto, è indubitabile che, nella fattispecie in esame, i fatti contestati nel processo penale, come menzionati nei capi di imputazione, nonché descritti nelle motivazioni delle sentenze di cui sopra (sub 2.a), sono gli stessi di quelli contenuti nell'atto di citazione del Pubblico Ministero contabile, come evincibile da una semplice lettura dello stesso, con la conseguenza che nell'attuale giudizio, in assenza di ulteriori elementi, in alcun modo posti in luce dalla pubblica accusa, non può non trovare ingresso l'art. 652 c.p.p., nei limiti sopra esposti, con tutte le conseguenze giuridiche che ne derivano.

Sul punto, deve osservarsi, infatti, che il Pubblico Ministero contabile ha emesso l'atto di citazione dopo la sentenza del Tribunale di Palermo n. 730/1997, e negli atti di riassunzione, depositati il 13.12.2004 e il 12.11.2007, nulla ha argomentato in merito al diverso quadro processuale emerso a seguito della conclusione del giudizio penale, limitandosi ad affermare che “la sentenza di assoluzione perché il fatto non sussiste o perché l'imputato non lo ha commesso … riguarda non già il fatto materiale, ma il fatto giuridicamente qualificabile come reato e che, pertanto, l'esclusione dei presupposti di reato non esclude una responsabilità amministrativa per colpa grave derivante dagli stessi fatti materiali, la cui valutazione è rimessa al giudice contabile, specie per quanto riguarda la violazione dei doveri inerenti le funzioni svolte e i compiti assegnati”.

Appare opportuno ricordare che in virtù dell'antico, ma quanto mai attuale, brocardo latino “onus probandi incumbit ei qui dicit”, trasfuso nell'art. 2697 c.c. (“chi vuol far valere un diritto in giudizio deve provare i fatti che ne costituiscono il fondamento”), è il Pubblico Ministero che deve contestare, analiticamente, i fatti dai quali scaturisce la responsabilità amministrativa, sia negli elementi oggettivi che soggettivi, non potendosi rimettere alla valutazione del Collegio per l'individuazione e la ricerca degli stessi, tramite la disamina del materiale documentale versato nel fascicolo di causa, pena la violazione delle norme costituzionali sul giusto processo (art. 111) e sul diritto di difesa (art. 24).

In altri termini, l'organo requirente avrebbe dovuto contestare, nell'atto di riassunzione, ai convenuti assolti nel processo penale, con la formula “perché il fatto non sussiste” il D. e con quella “per non aver commesso il fatto” l'A., specifiche violazioni, qualora avesse ritenuto ancora persistenti gli elementi per una loro responsabilità amministrativa, sia con riferimento alla loro condotta “fenomenica” che all'elemento psicologico; lo stesso organo requirente avrebbe dovuto, inoltre, offrire spunti per una diversa valutazione del materiale probatorio raccolto nel processo penale, oppure ulteriori elementi per giungere ad una diversa conclusione, stante, si ribadisce, l'identità dei fatti addebitati.

L'affermazione contenuta nell'atto di riassunzione, depositato in data 13.12.2004, sia pure in linea teorica ineccepibile, appare sfornita di concreto riscontro con i fatti di causa; in particolare, l'attore, se da un lato ha adombrato una responsabilità per colpa grave, dall'altro non ne ha indicato e contestato gli elementi costituivi, reiterando le conclusioni dell'atto di citazione, con richiesta di condanna solidale di tutti i convenuti (richiesta tipica delle fattispecie dolose).

La responsabilità per colpa grave, inoltre, qualora concorrente con quella dolosa, è foriera di una condanna in via sussidiaria: nel caso specifico nessuna domanda, neanche in via subordinata, è stata formulata nell'atto di riassunzione del 13.12.2004 e del 12.11.2007.

In ultimo, circa la posizione del D. è necessario rappresentare che non risulta dalla documentazione agli atti, né dalla lettura delle sentenze del processo penale, che abbia redatto una relazione datata 14.11.1991, come contestato dal Pubblico Ministero contabile nell'atto di citazione.

La Corte dei Conti, per le argomentazioni sopra svolte, assolve il D. R. e l'A. P. dalle imputazioni contenute nell'atto di citazione e reiterate nei ricorsi in riassunzione.

Le spese di lite sono liquidate come da dispositivo, ai sensi del combinato disposto degli artt. 10 bis, co. 10°, legge 2 dicembre 2005 n. 248, di conversione del decreto-legge 30 settembre 2005 n. 203, e 3 co. 2° bis, del decreto-legge 23 ottobre 1996, n. 543, convertito, con modificazioni, dalla legge 20 dicembre 1996, n. 639.

4.b) Occorre adesso vagliare le contestazioni e il materiale probatorio versato nel fascicolo processuale con riferimento alla posizione del D. G., Direttore applicato alla Direzione del personale e dei servizi generali della Presidenza della Regione Siciliana.

Dalla disamina delle sentenze penali (in particolare la sentenza del Tribunale n. 730/1997 e, soprattutto, quella della Corte di Appello n. 1099/2006, cui per economia espositiva si rinvia, nonché della Corte di Cassazione n. 30757/2007) emerge che il D., con la propria condotta, ha concorso nella corruzione di L. B., funzionario dell'Ufficio Tecnico Erariale di Roma, giudicato con sentenza n. 996/1994, emessa ai sensi degli artt. 444 ss c.p.p., per far ritenere congruo il prezzo di vendita dell'immobile sito in Roma, via Marghera n. 36, pari a £ 5.990.000.000, rispetto al valore di mercato di £ 3.500.000.000 (come determinato nella perizia redatta dai consulenti del Pubblico Ministero e acquisita agli atti del dibattimento), da adibire a sede di rappresentanza della Regione Siciliana, nonché di diversi reati di falso relativi alle caratteristiche del suddetto immobile, come meglio specificati in narrativa (2.a), il tutto finalizzato, tramite la suddetta sopravvalutazione dell'immobile, ad ottenere dal venditore V. V. A., con l'intermediazione dell'avv. A. M. e dell'arch. M. C., giudicati separatamente con la citata sentenza n. 996/1994, la somma di £ 1.240.000.000, in parte erogata a R. N. e impiegata per finanziare la sua campagna elettorale, in parte utilizzata per corrompere i funzionari dell'U.T.E.

I fatti come sopra acclarati non possono essere oggetto di alcuna contestazione in questa sede, giusta il disposto dell'art. 651 c.p.p.; in virtù di tale norma, l'efficacia vincolante del giudicato penale di condanna nel processo per la responsabilità amministrativa deve limitarsi all'accertamento dei fatti che hanno formato oggetto del relativo giudizio, intesi nella loro realtà fenomenica ed oggettiva, quali la condotta, l'evento e il nesso di causalità materiale, ed assunti a presupposto logico-giuridico della pronuncia penale, restando, quindi, preclusa al giudice contabile ogni statuizione che venga a collidere con i presupposti, le risultanze e le affermazioni conclusionali di quel pronunciamento; ciò significa che non è dubitabile che l'illecito sia causalmente ricollegabile alla condotta dell'odierno convenuto, così come ricostruita all'esito del procedimento penale, nel quale allo stesso è stata data la possibilità di intervenire e difendersi, essendo irrilevante la circostanza che vi siano state due pronunce interlocutorie di assoluzione, o che sia stata depositata consulenza di parte, redatta dall'ing. Salvatore Di Mino, tesa a contestare le conclusioni di quella penale, o che la motivazione contenuta nella sentenza della Corte di Cassazione n. 7309/2005 sia eccessivamente concisa.

Aggiungasi che la perizia di parte, redatta dall'ing. Cima, è stata già vagliata nell'ambito del processo penale (si vedano le motivazioni contenute nella sentenza del Tribunale n. 730/1997, pagg. 114 - 173).

Irrilevante è l'ulteriore considerazione, formulata dalla difesa ai sensi dell'art. 1 co. 1 bis della legge n. 20/1994, secondo la quale l'immobile nel corso degli anni avrebbe triplicato il suo valore e, pertanto, il prezzo originariamente pagato è risultato largamente inferiore al suo valore attuale: l'illecito erariale deve essere valutato al momento della sua commissione, con la conseguenza che il sovrapprezzo corrisposto ha costituito un ingiustificato esborso per le casse regionali, dal quale non è derivato alcun vantaggio.

Nessun rilievo esimente può desumersi dal fatto che all'esito del processo penale, nonostante il D. sia stato condannato, ex art. 110 c.p. in concorso con altri soggetti, per il reato di corruzione, non sia emersa la prova di avere beneficiato di parte della “tangente” corrisposta dal proprietario V. A., considerato che il danno erariale è disceso, come del resto contestato nell'atto di citazione, dall'avere con il proprio comportamento contribuito all'acquisto dell'immobile di via Marghera ad un prezzo superiore al suo valore di mercato, sia pure al fine di procacciare al proprietario una provvigione per il pagamento della suddetta “tangente”.

In altri termini, l'illecito erariale, come emerge dalla documentazione in atti, è frutto della condotta di più soggetti che, con diverso apporto causale, hanno concorso a vario titolo, ora quali amministratori e funzionari pubblici, come il D., ora come soggetti privati, alla causazione di un ingiustificato esborso per le casse regionali, quantificato in £ 2.490.000.000, sulla scorta della perizia disposta dal Pubblico Ministero.

In conclusione, deve essere affermata la responsabilità del D. nella realizzazione dell'illecito erariale, rinviando al prosieguo della motivazione circa la sua quantificazione ai fini del relativo addebito.

4.c) In ultimo, rimane da esaminare la posizione processuale di B. L., funzionario dell'Ufficio Tecnico Erariale del Ministero delle Finanze di Roma che ha richiesto ed ottenuto una sentenza di patteggiamento n. 996/1994, come indicato sub 2.b).

La sua responsabilità nella causazione dell'illecito erariale de quo non può essere messa in alcun dubbio, stante la disamina della corposa documentazione contenuta nei faldoni allegati al fascicolo processuale, in particolare le sentenze penali di cui sopra, la consulenza tecnica redatta dall'arch. Giuseppe Barresi e dall'ing. Giuseppe Romano per conto del Pubblico Ministero e acquisita agli atti del dibattimento, le dichiarazioni rese dagli imputati nel corso delle indagini preliminari e nell'udienza pubblica, le dichiarazioni rese dallo stesso convenuto, le dichiarazioni testimoniali, l'ordinanza di custodia cautelare emessa dal Giudice per le Indagini Preliminari presso il Tribunale di Palermo (lo stesso è stato privato della libertà personale dal 04.10.1993 al 20.11.1993).

All'uopo si osserva che il giudizio di responsabilità innanzi alla Corte dei Conti, per quanto attiene la valutazione delle prove e l'attività istruttoria, è disciplinato da specifiche norme contenute nel regolamento di procedura approvato con il regio decreto 13 agosto 1933 n. 1038 da integrare, ai sensi dell'art. 26 dello stesso, con la normativa del codice di procedura civile, e ciò all'interno di un sistema che privilegia il libero convincimento del giudice e il prudente apprezzamento del materiale probatorio raccolto.

Per tali motivi ai fini dell'accertamento della responsabilità possono essere valutate, da questo Collegio giudicante, oltre le dichiarazioni testimoniali, e le consulenze disposte nel processo penale, anche le dichiarazioni rese davanti al Pubblico Ministero e provenienti da coimputati o da imputati di procedimento connesso, non utilizzabili, invece, in quel processo se non nelle limitate ipotesi previste dall'art. 513 c.p.p. (Corte dei Conti, Sezione Lombardia, 14.04.1999 n. 440).

Non deve essere, infatti, dimenticato che il giudice civile, quale deve ritenersi la Corte dei Conti, (a differenza di quello penale) può trarre argomenti di prova da tutti gli elementi in suo possesso, compresa la sentenza di patteggiamento, i documenti che provengano dal procedimento penale, le dichiarazioni rese in quella sede e nel corso delle indagini preliminari, ancorché non confermate in dibattimento, come ogni altro genere di indizi, purché gravi, precisi e concordanti, come richiede dall'art. 2729 c.c. (ex multis Cassazione Civile, sezione lavoro, n. 132/2008).

Del resto, secondo la condivisibile giurisprudenza della Corte di Cassazione (21 marzo 2003 n. 4193; 24 febbraio 2001 n. 2724; 10 giugno 1998 n. 5784, 16 novembre 1999 n. 12804), nonché della Corte dei Conti (ex multis I Sezione Centrale d'Appello n. 116/2008, n. 103/2003 e n. 187/2003; III Sezione Centrale d'Appello n. 330/2007; Lazio n. 3004/20025) è pacifico che la sentenza penale emessa ai sensi degli artt. 444 ss c.p.p., costituisce un importante elemento di prova nel processo civile in quanto la richiesta di patteggiamento dell'imputato implica pur sempre il riconoscimento del fatto-reato e il giudice civile, ove intenda disconoscere tale efficacia probatoria, ha il dovere di spiegare le ragioni per cui l'imputato avrebbe ammesso una sua insussistente responsabilità e il giudice penale, nonostante il disposto dell'art. 444 co. 2° c.p.p., abbia prestato fede a tale ammissione (Corte di Cassazione 1 febbraio 2006 n. 2213; 30 settembre 2005 n. 19251).

Aggiungasi che il Giudice delle Indagini Preliminari, nella sentenza n. 996/2004, si è lungamente soffermato nell'esporre le diverse fonti di prova, tutte riversate nel fascicolo processuale, sulla base delle quali è stata accertata la sussistenza dei fatti, nonché la loro riconducibilità all'imputato B., e non ha ravvisato la presenza di cause di non punibilità o di estinzione dei reati, come previsto dall'art. 129 c.p.p., tali da consentire un suo proscioglimento.

Ciò posto, occorre vagliare le contestazioni mosse al B. alla luce della documentazione si cui sopra.

Il convenuto ha redatto, in data 23.10.1990, una non veritiera relazione al fine di esprimere il proprio parere sulla congruità del prezzo dell'immobile di via Marghera (£ 5.990.000.000).

L'immobile è stato collocato, come periodo di costruzione, alla fine del XVIII - inizio del XIX secolo anziché alla fine del XIX - inizio XX secolo; la superficie indicata (mq 922) è risulta inferiore a quella reale, nonostante il tecnico abbia effettuato, per sua stessa ammissione, un sopralluogo per controllare sul posto l'esatta corrispondenza delle superfici riportate nei grafici allegati e trasmessi dalla Regione Siciliana (…le consistenze sono state desunte dagli elaborati grafici in atti e verificate con misurazioni dirette in sede di sopralluogo…; nulla dice circa l'effettuazione di misurazioni a campione, come sostenuto dalla difesa); i coefficienti di ragguaglio utilizzati sono risultati incongrui, non avendo tenuto conto dell'effettiva e possibile utilizzazione dei diversi ambienti (ad esempio, il seminterrato, per espressa previsione del piano regolatore, non può essere considerato abitabile): la superficie omogeneizzata è risultata, pertanto, superiore all'effettiva di ben mq 188 ed è stata ricavata da misure reali alterate e rese uniformi con criteri di ragguaglio non corretti; ai fini del calcolo del valore venale per metro quadrato dell'immobile non si è depurato il valore di affitto dalle passività nella misura del 15%, come da letteratura in materia, né si è tenuto conto che al momento dell'acquisto l'immobile aveva una destinazione residenziale e non ad uso ufficio; il prezzo al mq (£ 6.500.000) non è risultato, conseguentemente, confacente alle caratteristiche dell'immobile, alla sua ubicazione e alla sua destinazione al momento dell'acquisto.

Alla luce di quanto argomentato si ritiene di non condividere le osservazioni dell'ing. M. Cima contenute nella perizia di parte agli atti, tese ad attribuire all'immobile di via Marghera un valore di mercato, riferibile all'epoca dei fatti, pari a £ 5.778.500.000, ritenendo maggiormente attendibili le conclusioni dell'ing. Giuseppe Romano e dell'arch. Giuseppe Barresi, con conseguente ipervalutazione dell'immobile de quo per £ 2.490.000.000.

Il B. ha, inoltre, redatto, in data 14.11.1991, un verbale di consistenza e presa in consegna dell'immobile, anch'esso non veritiero, nel quale si dava atto della “recentissima ultimazione” di “tutte le opere concordate con l'Ente acquirente”, cui era subordinato il contratto di compravendita, “nonché il perfetto stato di uso di tutti gli ambienti e di tutti gli impianti tecnologici” (ciò denota che, a differenza di quanto sostenuto dalla difesa, era pienamente a conoscenza delle opere di ristrutturazione concordate tra proprietà e Regione); tali affermazioni sono risultate, inoltre, contrastanti con quanto dichiarato dallo stesso coimputato D., architetto e amico di famiglia del V., che aveva sconsigliato la realizzazione di alcuni lavori particolarmente costosi, concordati con la Regione, come la pavimentazione del giardino retrostante; gli stessi consulenti del Pubblico Ministero, nel sopralluogo del luglio 1993, hanno verificato l'assenza dell'impianto termico in alcune parti dell'immobile, il mancato funzionamento dell'ascensore, le pessime condizioni degli infissi, la necessità di ristrutturare il piano ammezzato; tali circostanze trovano conferma anche nella relazione prot. n. 1275 redatta, a seguito del sopralluogo effettuato in data 30.02.1992, dall'arch. Susanna Cursori, dirigente tecnico della Regione Siciliana.

Aggiungasi che il C., quale intermediario tra il V. e la Regione Siciliana nell'acquisto dell'immobile de quo, ha ammesso di avere versato parte della tangente pagata dalla proprietà, in particolare £ 300.000.000, all'Ufficio Tecnico Erariale di Roma in più soluzioni, con un anticipo di £ 50.000.000, corrisposti direttamente al B., tramite un proprio amico, tale P. D., “per ottenere una compiacente valutazione dell'immobile, indirizzando i suoi criteri di valutazione sul particolare pregio architettonico dell'edificio, evitando che si limitasse ad una tradizionale stima per metro quadrato”.

Lo stesso B. ha dichiarato di avere provveduto ad una valutazione informale dell'immobile in questione, su richiesta del C., ben prima che l'U.T.E. di Roma venisse incaricato, ufficialmente, dalla Regione di valutare la congruità del prezzo; il prezzo era stato valutato in £ 4.500.000.000, prima di avere cognizione, tramite sempre il C., che l'Amministrazione era disposta a sborsare fino a £ 6.000.000.000.

Il suddetto convenuto ha, inoltre, ammesso (dichiarazioni rese in data 13.10.1993), alla presenza del proprio difensore, di avere ricevuto una somma complessiva di £ 130.000.000 “in due tranche, la prima di 50 milioni di lire e la seconda di 80 milioni”; ha aggiunto: “… non ricordo le date di consegna di tali somme, ma comunque per quanto concerne la prima trance questa mi è stata consegnata in epoca di poco successiva alla definitiva redazione della perizia”; ha concluso: “non ricordo se le predette somme di denaro mi furono consegnate direttamente dal C. ovvero da altra persona … P. D.”.

Il D., nelle dichiarazioni rese in data 13.10.1993, ha puntualizzato di avere svolto un'attività di consegna di una somma di denaro pari a £ 50.000.000 al B. su incarico conferitogli dal C..

Da quanto esposto emerge, incontestabilmente, come il B. abbia strumentalizzato le proprie funzioni, concorrendo con altri soggetti alla causazione di un inutile esborso a carico delle casse regionali, considerato che la “provvista” per il pagamento della tangente da parte della proprietà dell'immobile di via Marghera si è ripercorsa sul prezzo di acquisto.

Si rinvia al prosieguo della motivazione per la quantificazione dell'illecito erariale da addebitare al B..

5.a) La quantificazione dell'illecito patrimoniale effettuata dal Procuratore Regionale, pari ad € 2.490.000.000, quale differenza tra il valore di mercato dell'immobile di via Marghera (€ 3.500.000.000) e quanto corrisposto dalla Regione Siciliana per l'acquisto (€ 5.990.000.000), appare corretta, anche se non si condivide l'imputazione dello stesso ai suoi autori, considerato che l'art. 1 della legge n. 20/1994 stabile che la “responsabilità … è personale”.

L'illecito di cui è causa è a condotta “frazionata”, realizzato da una pluralità di soggetti, alcuni dei quali amministratori e dipendenti pubblici, altri privati, non tutti convenuti nel presente giudizio (hanno patteggiato con sentenza n. 996/1994: V. A. V., M. A., C. M., D. P., Tesoriere G., D. P.), oppure deceduti nelle fase delle indagini o nel corso di causa (S. M. L., comproprietaria dell'immobile, e N. R., presidente della regione Siciliana), e, pertanto, è compito del Collegio valutare il contributo causale del D. e del B. nella realizzazione del suddetto illecito, ai fini del riparto delle singole quote di danno.

A tale scopo, è necessario tenere in considerazione il ruolo ricoperto dai citati convenuti rispetto a quello degli altri concorrenti, nonché la circostanza che per il D., a differenza del B., pur avendo contribuito con la propria condotta alla realizzazione dell'illecito de quo, non è emersa la prova, nell'ambito del processo penale, di avere intascato parte della tangente, costituita grazie al prezzo in eccesso corrisposto dalla Regione Siciliana per l'acquisto dell'immobile di via Marghera, circostanza che, come sopra già precisato, non può, invece, assumere alcuna rilevanza ai fini dell'esonero da responsabilità per l'illecito erariale di cui è causa.

Il Collegio, in conclusione, determina la quota di danno da porre a carico del sig. D. G. e del sig. B. L., per gli effetti di cui all'art. 1299 c.c., rispettivamente, in € 80.000,00 ed in € 140.000,00, e li condanna, in solido, giusta l'art. 1 co. 1 quinquies della legge n. 20/1994, al pagamento nei confronti della Regione Siciliana dell'intera somma di € 220.000,00, oltre la rivalutazione monetaria, da calcolarsi secondo gli indici i.s.t.a.t., dall'avvenuta emissione dei mandati di pagamento (20 novembre 1991), fino al giorno del deposito della presente sentenza, e con gli interessi legali sulla somma così rivalutata dal predetto deposito al soddisfo.

5.b) Il Collegio, stante la condotta dolosa dei convenuti, non ritiene che vi siano i presupposti per l'esercizio del potere riduttivo, previsto dall'art. 52 co. 2° del regio decreto 12 luglio 1934 n. 1214 e dall'art. 83 del regio decreto 18 novembre 1923 n. 2440.

6) In ultimo, la Corte deve esaminare l'ulteriore domanda contenuta nell'atto di citazione avente ad oggetto la condanna per “altro danno non patrimoniale derivato dalla lesione obiettiva del prestigio e dell'immagine della P.A., siccome recentemente qualificato dalla giurisprudenza della Corte di Cassazione (Cass. sez. I civ. 18 giugno 1997 n. 5459), emerso dallo strepitus derivato dall'ampia eco avuta dalla vicenda sulla stampa nazionale e locale, in considerazione anche delle posizioni funzionali dei soggetti rimasti coinvolti nella vicenda”, quantificato in £ 2.490.000.000, pari alla somma contestata a titolo di danno patrimoniale.

Preliminarmente, la Corte ritiene di esaminare le posizioni del D. e di A., mandandoli assolti dalla relativa contestazione per le motivazioni contenute sub 4.a), non avendo gli stessi con la loro condotta arrecato alcun pregiudizio all'immagine dell'Amministrazione regionale.

Occorre adesso vagliare le contestazioni mosse al D. e al B..

Sul punto, il Collegio reputa necessaria una breve disamina degli orientamenti giurisprudenziali intervenuti in materia di danno all'immagine.

La giurisprudenza civile, a conclusione di un laborioso percorso interpretativo teso a rileggere criticamente il contenuto precettivo dell'art. 2059 c.c., disancorandolo dall'esclusiva connessione con l'art. 185 del codice penale, e supportata anche dalle pronunce della Corte Costituzionale in materia di danno biologico, è pervenuta ad affermare la risarcibilità delle lesioni di interessi c.d. “areddituali”, cioè non inerenti necessariamente alla salute individuale o collettiva, ma parimenti dotati di rilevanza costituzionale ai sensi dell'art. 2, tanto da essere ritenuti meritevoli di eguale tutela giurisdizionale.

Ne è nata la nozione di danno esistenziale, definito come pregiudizio areddituale, non patrimoniale, tendenzialmente omnicomprensivo, in quanto qualsiasi privazione e/o lesione di attività esistenziali del danneggiato può dar luogo a risarcimento.

In tale ambito si colloca il danno all'immagine, consistente per le pubbliche amministrazioni nella lesione del diritto alla propria identità personale, del proprio buon nome, della propria reputazione e credibilità, in sé considerate, tutelato dall'art. 97 della Costituzione; questo si realizza ogniqualvolta un soggetto, legato in rapporto di servizio, ponga in essere un comportamento illecito e sfrutti la posizione ricoperta per il perseguimento di scopi personali utilitaristici e non per il raggiungimento di interessi pubblici generali, così minando la fiducia dei cittadini nella correttezza dell'azione amministrativa.

A tale orientamento si contrappone quello più risalente nel tempo che, pur annoverando il danno all'immagine nell'alveo del danno esistenziale, lo colloca normativamente non sotto l'egida dell'art. 2059 c.c., bensì dell'art. 2043 c.c., qualificandolo ugualmente quale danno-evento di natura non patrimoniale, cui fa cenno il Procuratore Regionale nell'atto di citazione.

Prescindendo dalla collocazione dogmatica del citato danno, la giurisprudenza ritiene che la violazione del diritto all'immagine sia, comunque, economicamente valutabile, concretandosi in un onere finanziario che si ripercuote sull'intera collettività, spostando conseguentemente l'attenzione sulla sua quantificazione: in altre parole una cosa è la prova della lesione che è in re ipsa, un'altra quella della sua quantificazione, i cui parametri devono essere forniti dall'attore pubblico.

Allo scopo, è possibile fare riferimento alle spese direttamente sostenute e/o a quelle eventuali da sostenere per il ripristino dell'immagine lesa, nonché a tutte le ulteriori conseguenze che secondo l'id quod plerumque accidit possono derivare in futuro dalla condotta illecita.

Del resto, si tenga presente che la sempre maggiore disaffezione dei cittadini nei confronti del pubblici poteri, derivante dalla divulgazione, tramite gli organi di stampa, di episodi criminosi dei loro dipendenti, percepiti dall'opinione pubblica come immediatamente riferibili all'Amministrazione nella cui organizzazione sono inseriti, comporta, indubbiamente, il sostenimento di costi per migliorare gli standarts di efficienza e di efficacia dell'azione pubblica, nonché, in alcuni casi, anche la pubblicazione di opuscoli informativi riguardanti i servizi resi al fine di riconquistare la fiducia della collettività.

Il risarcimento, nei casi in cui ne è ardua o impossibile la prova, può essere effettuato in via equitativa, ai sensi dell'art. 1226 c.c., purché l'attore fornisca gli elementi oggettivi sui quali ancorare il danno, dimostrando entità e dimensione della lesione, in modo tale che l'intervento del giudice abbia finalità integrativa e non suppletiva.

In conclusione, ai fini della quantificazione del danno all'immagine, sussistente nel caso de quo, si deve tenere conto di una molteplicità di circostanze, al pari di quanto è avvenuto sub 5.a): la qualifica rivestita dal D. e dal B.; la reiterata e pervicace condotta criminosa posta in essere nei confronti dell'Amministrazione danneggiata; il maggiore disvalore sociale connesso alla gravità del reato di corruzione posto in essere; la diffusività della notitia crimins nell'ambito del territorio regionale, come è possibile evincere dai diversi articoli di stampa contenuti nel fascicolo processuale, dalla lettura dei quali si apprende il notevole risalto dato alla vicenda in esame (Giornale di Sicilia del 2 ottobre 1993, del 15 ottobre 1993, del 4 novembre 1993 e del 23 luglio 1997).

Anche in tale ipotesi, deve osservarsi che il danno all'immagine sofferto dalla Regione Siciliana è imputabile alle condotte di altri soggetti, destinatari della sentenza n. 996/1994, pronunciata ai sensi degli artt. 444 ss c.p.p. oppure deceduti, con conseguente influenza ai fini dell'addebito ai convenuti D. e B..

Alla luce delle precedenti argomentazioni, il Collegio determina la quota di danno all'immagine da porre a carico del sig. D. G. e del sig. B. L., per gli effetti di cui all'art. 1299 c.c., rispettivamente, in € 40.000,00 ed in € 65.000,00, e li condanna, in solido, giusta l'art. 1 co. 1 quinquies della legge n. 20/1994, al pagamento nei confronti della Regione Siciliana dell'intera somma di € 105.000,00, inclusa la rivalutazione monetaria e con gli interessi legali sulla citata somma dal deposito della presente decisione al soddisfo.

7) Le spese di causa, compensate nella misura del 50%, stante l'assoluzione degli altri convenuti, sono poste, in via solidale, a carico dei convenuti condannati e sono liquidate a favore dello Stato, nella misura di € 498,00.

P. Q. M.

La Corte dei Conti - Sezione Giurisdizionale per la Regione Siciliana - definitivamente pronunciando,

assolve

- D. R. e A. P. dalle contestazioni mosse nell'atto di citazione depositato in data 25.09.1998 e ribadite negli atti di riassunzione depositati, rispettivamente, il 13.12.2004 e il 12.11.2007;

liquida a

- D. R. e A. P. per spese legali la somma, a ciascuno, di € 8.200,00, di cui € 6.400,00 per onorari ed € 1.800,00 per diritti, oltre i.v.a. e c.p.a.;

condanna

- D. G. e B. L. a pagare, in solido, a favore della Regione Siciliana la somma di € 220.000,00, con rivalutazione monetaria, da calcolarsi secondo gli indici i.s.t.a.t., dal 20.11.1991 fino al giorno del deposito della presente sentenza, e con gli interessi legali sulla somma così rivalutata dal predetto deposito al soddisfo; determina la quota di danno da porre a carico dei predetti convenuti, per gli effetti di cui all'art. 1299 c.c., rispettivamente, in € 80.000,00 ed in € 140.000,00;

condanna

- D. G. e B. L. a pagare, in solido, a favore della Regione Siciliana, a titolo di danno all'immagine, la somma di € 105.000,00, comprensiva di rivalutazione monetaria, e con gli interessi legali dalla data di deposito della presente decisione al soddisfo; determina la quota di danno da porre a carico dei suddetti convenuti, per gli effetti di cui all'art. 1299 c.c., rispettivamente, in € 40.000,00 e in € 65.000,00;

condanna

- D. G. e B. L. a rifondere allo Stato, in via solidale, le spese di causa che, compensate nella misura del 50%, sono liquidate in € 498,00.

Così deciso in Palermo, nella camera di consiglio del 28 marzo 2008.

Depositata oggi in Segreteria nei modi di legge.

Palermo, 20 maggio 2008

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Japan earthquake triggering a new nuclear crisis [url=http://www.coachoutletfactorystores.com/]Coach Factory Online[/url]. Reason: Safety of nuclear strength causes global attention. At 13: 46 on March 12, 2011, in the waters on the east coast of Honshu, Japan (38. 1 degrees north latitude, 142. 6 degrees east longitude) transpired 9 earthquake and tsunami, killing more than 30, 000 people dead or perhaps missing. After the earthquake, the first nuclear power reactors in Fukushima instantly stop running, stop running as customizable equipment, at 15: 30 on the twelfth or so, the explosion of Component 1, then 3 and Device 4 has continuous any nuclear leak. Leakage of radioactive material in to the nuclear reactor outside of Japan are monitored round the standard value beyond your regional radiation, a wide range of nuclear area can be affected by sewage polluting of the environment. April 12, 2011, Japan Atomic Energy Institute underneath the International Nuclear Protection Security Event Scale, the Fukushima nuclear accident because most advanced 7. The accident also make it possible for many countries to reconsider their own nuclear power program. [url=http://www.coachoutletfactorystores.com/]Coach Factory Online[/url]