mercoledì 6 maggio 2009

VALLE MARTELLA .LEODORI BOCCIA LA COMMISSIONE

Promette di sanare tutti...ma nel frattempo manda le lettere di diniego........Arma ricattatoria per le prossime elezioni . Il lupo cambia il pelo ma non il vizio.....................

3 commenti:

Anonimo ha detto...

lettera d, comma 27 articolo 32 Legge 24 novembre 2003

http://www.parlamento.it/leggi/03326l.htm

Mario Procaccini ha detto...

REPUBBLICA ITALIANA
In nome del popolo italiano
TRIBUNALE AMMINISTRATIVO REGIONALE
PER LA PUGLIA
LECCE
TERZA SEZIONE

Registro Dec.: 1782/2008
Registro Generale: 807/2008

Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Puglia, Terza Sezione di Lecce, nelle persone dei signori Magistrati:
ANTONIO CAVALLARI Presidente
TOMMASO CAPITANIO Primo Referendario , relatore
SILVIO LOMAZZI Referendario
ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nella camera di consiglio dell’11 giugno 2008
sul ricorso n. 807/2008, proposto da Raffaele De Giovanni, rappresentato e difeso dall’avv. Francesco Baldassarre, ed elettivamente domiciliato presso lo studio del medesimo, in Lecce, Via Imperatore Adriano, 9,
contro
COMUNE di LECCE, in persona del Sindaco p.t., rappresentato e difeso dagli avv. Maria Luisa De Salvo ed Elisabetta Ciulla, ed elettivamente domiciliato presso il Settore Avvocatura comunale, in Lecce, Via F. Rubichi,

per l'annullamento, previa sospensione dell'esecuzione,
della determinazione del Dirigente del Settore Urbanistico – Ufficio Condono Edilizio del Comune di Lecce prot. n. 42118 del 28.3.2008, con la quale è stata denegata la domanda di condono presentata dal ricorrente ai sensi della L. n. 326/2003; di ogni altro atto presupposto, connesso e consequenziale, ivi compresa la nota prot. n. 105679 del 10.10.2006, avente per oggetto comunicazioni ai sensi dell’art. 10 bis della L. n. 241/1990.

Visti gli atti e i documenti depositati con il ricorso;
Vista la domanda cautelare proposta unitamente al ricorso;
Visto l'atto di costituzione in giudizio del Comune di Lecce;
Uditi nella camera di consiglio dell’11 giugno 2008 il relatore, Primo Ref. Tommaso Capitanio, e, per le parti, gli avv. Baldassarre e Astuto (quest’ultima in sostituzione degli avv. De Salvo e Ciulla).

Considerato che nel ricorso sono dedotti i seguenti motivi:
 Violazione e falsa applicazione di legge: art. 32, commi 26 e 27, del D.L. 30/9/03 n. 269. eccesso di potere per errore nei presupposti di fatto e di diritto. Carenza istruttoria. Difetto di motivazione. Violazione del giusto procedimento.
 Violazione e falsa applicazione art. 32, comma 25, e segg. della L. n. 326/03 sotto altro concorrente profilo. Violazione art. 146 D.Lgs. 22/1/04 n. 42. Violazione del Piano Urbanistico Territoriale e Tematico Paesaggio approvato dalla Regione Puglia con delibera di G.R. n. 1748 del 15/12/00. Violazione e falsa applicazione art. 65 N.T.A. del PRG del Comune di Lecce. Eccesso di potere per errore nei presupposti di fatto e di diritto..

Il ricorso è manifestamente fondato, onde può essere deciso con sentenza resa in forma immediata, ai sensi degli artt. 3 e 9 della L. 21.7.2000, n. 205.
Il ricorrente impugna il provvedimento con cui il Comune di Lecce gli ha negato il rilascio del titolo edilizio in sanatoria, richiesto dal sig. De Giovanni, ai sensi del D.L. n. 269/2003, convertito in L. n. 326/2003, in relazione ad un immobile realizzato dall’interessato in assenza di permesso di costruire in località Torre Chianca.
Il diniego si fonda sull’assunto per cui nelle zone sottoposte a vincolo le uniche opere suscettibili di sanatoria ex post sono solo quelle indicate nei numeri 4, 5 e 6 della tabella allegata al D.L. n. 269/2003 (opere di restauro, risanamento conservativo, manutenzione straordinaria e opere non valutabili in termini di superficie e volume), mentre nel caso di specie si è in presenza di una nuova costruzione.

Il provvedimento è censurato dal sig. De Giovanni per i seguenti motivi:
 ai sensi dell’art. 32 del D.L. n. 269/2003, il condono non è assentibile unicamente in presenza di tre condizioni, che debbono sussistere contestualmente (assenza di titolo abilitativo, sussistenza di vincoli paesistici, idrogeologici, etc., e non conformità dell’opera alle norme urbanistiche);
 poiché la norma summenzionata fa salva l’applicazione degli artt. 32 e 33 della L. n. 47/1985, la non condonabilità può essere affermata solo in presenza di vincoli che implicano l’inedificabilità assoluta;
 nel caso di specie, per quanto riguarda il vincolo idrogeologico la Regione ha già concesso il nulla osta, ritenendo l’opera sanabile, mentre, per quanto concerne il vincolo paesaggistico, il terreno di proprietà del ricorrente non ricade in un’area sottoposta ad inedificabilità assoluta (anzi, la zona è tipizzata dal vigente PRG come B22 – residenziale di ristrutturazione degli insediamenti costieri e rurali);
 dal punto di vista urbanistico l’opera è conforme, essendo l’area in questione pressoché completamente urbanizzata.

Ciò detto, il Collegio ritiene il ricorso meritevole di accoglimento, in quanto la normativa sul condono edilizio del 2003, seppure con una formulazione non troppo lineare, stabilisce, in sostanza, che il condono non è concedibile quando sussistono, contestualmente, tre condizioni, ossia l’assenza di titolo abilitativo, la difformità dell’opera rispetto allo strumento urbanistico e il contrasto con vincoli imposti prima della realizzazione dell’opera e implicanti l’inedificabilità assoluta.
Ciò si desume dalla lettura combinata delle seguenti disposizioni:
a) art. 32, commi 26 e 27, del D.L. n. 269/2003;
b) art. 2 L.R. pugliese n. 28/2003, come modificata dalla L.R. n. 19/2004;
c) artt. 32 e 33 L. n. 47/1985, richiamati espressamente dall’art. 32, comma 27, del D.L. n. 269/2003.
In effetti, la prima disposizione, alla lettera a) del comma 26, prevede che le tipologie di abusi di cui ai numeri 1, 2 e 3 dell’allegato 1 al D.L. n. 269/2003 (fra cui rientra anche l’abuso realizzato dal ricorrente) sono sanabili in tutto il territorio nazionale. La stessa norma, alla lettera b), rimanda invece alla legislazione regionale il compito di stabilire se le tipologie di abusi di cui ai commi 4, 5 e 6, commessi su aree non sottoposte a vincoli, sono sanabili.
Al fine di dare attuazione alla norma statale, l’art. 2 della L.R. n. 28/2003 ha consentito nella Regione Puglia la sanabilità di tali abusi, per cui la dizione utilizzata nel citato art. 2 non può essere intesa come volta a limitare la condonabilità delle altre tipologie di abuso edilizio, per le quali dispone direttamente la legge statale.
L’art. 32, comma 27, esclude dal condono le opere abusive realizzate su aree soggette a vincoli preesistenti e che siano difformi dagli strumenti urbanistici, facendo però salva l’applicazione degli artt. 32 e 33 della L. n. 47/1985, il che significa che i limiti entro i quali si deve verificare la condonabilità di un’opera abusiva vanno ricavati dalla legge del 1985. Ebbene, l’art. 33 della L. n. 47/1985 prevede il divieto di sanatoria nel caso in cui l’opera sia stata realizzata su area sottoposta a vincolo di inedificabilità assoluta, mentre il precedente art. 32 stabilisce che, in tutti gli altri casi, l’ente preposto alla tutela del vincolo deve valutare se l’opera è comunque compatibile con il vincolo.
Pertanto, in casi come quello in esame, il Comune deve valutare la compatibilità urbanistica dell’opera e acquisire o rilasciare direttamente il parere di compatibilità in relazione ai vincoli gravanti sull’area (nella specie, vincolo idrogeologico e vincolo paesaggistico).
Il ricorrente, da parte sua, ha già acquisito dalla Regione il parere di compatibilità idrogeologica, mentre il Comune di Lecce avrebbe dovuto valutare sia la conformità dal punto di vista urbanistico sia la compatibilità con il P.U.T.T., adottato dalla G.R. pugliese con deliberazione n. 1748/2000, il quale, per la zona in questione, non impone un vincolo di inedificabilità assoluta.

Per quanto precede, il ricorso va accolto, con conseguente annullamento del provvedimento impugnato.

Sussistono tuttavia giusti motivi per disporre la compensazione delle spese fra le parti.

Sentiti i difensori delle parti costituite in ordine alla possibilità di definire nel merito il presente giudizio con sentenza in forma semplificata, ai sensi degli artt. 3 e 9 della L. 21.7.2000, n. 205.

P.Q.M.

Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Puglia – Terza Sezione di Lecce – accoglie il ricorso indicato in epigrafe.
Spese compensate.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’Autorità Amministrativa.
Così deciso in Lecce, nella camera di consiglio dell’11 giugno 2008.
Presidente Dott. Antonio Cavallari

Estensore Dott. Tommaso Capitanio


Pubblicato mediante deposito
in Segreteria il 16.06.2008

Mario Procaccini ha detto...

Consiglio Nazionale del Notariato Studio n. 5484/C

LA SANATORIA EDILIZIA NEL LAZIO

Legge Regionale 8 novembre 2004 n. 12

(Approvato dalla Commissione studi in data 11 gennaio 2005)



Sommario: 1. Generalità - 2. Gli ambiti di operatività della legge regionale disegnati dalle fonti primarie - A) D.L. 30 settembre 2003 n. 269 - B) Sentenza della Corte Costituzionale n. 196 del 28 giugno 2004 - C) D. L. 12 luglio 2004, n. 168 - 3. Opere sanabili - 3.1 Generalità - 3.2 Requisito temporale - 3.3. Opere non conformi alle norme urbanistiche e alle prescrizioni degli strumenti urbanistici approvati o adottati al 31 marzo 2003 - 3.3.1 Ampliamenti - 3.3.1.1 Limiti generali di sanabilità degli ampliamenti - 3.3.1.2 Opere finalizzate a centri che perseguono finalità di assistenza e cura a persone disagiate - 3.3.2 Nuove costruzioni - 3.3.2.1 Limiti generali di sanabilità delle Nuove costruzioni - 3.3.2.2 Limiti volumetrici - 3.3.2.3 Limiti di destinazione d’uso - 3.3.2.4 Prima casa - 3.3.3 Ristrutturazione - 3.3.3.1 Limiti generali di sanabilità delle Ristrutturazioni - 3.3.3.2 Ristrutturazione di immobili ad uso commerciale - 3.3.3.3 Demolizione e ricostruzione - 3.4 Opere conformi alle norme urbanistiche e alle prescrizioni degli strumenti urbanistici approvati o adottati al 31 marzo 2003 - 3.5 Altre opere - 4. Cause ostative alla sanatoria edilizia - 4.1. Generalità - 4.2. Opere su aree demaniali - 4.3 Opere su aree vincolate - 4.3.1 Vincoli previsti dalla legge regionale - 4.3.2 Vincoli non previsti dalla legge regionale ma dalla legge statale - 4.3.3 Monumenti naturali, siti di importanza comunitaria e zone a protezione speciale - 4.3.4 Epoca di apposizione del vincolo - 4.3.5 Opere interne su aree vincolate - 4.4 Cambio di destinazione su superficie originariamente destinata a parcheggio - 5. Domanda del titolo abilitativo edilizio in sanatoria - 5.1 Termine di presentazione - 5.2 Modalità di presentazione - 5.3 Documentazione da allegare alla domanda - 5.4 Documentazione integrativa - 5.5. Verifica della regolarità della domanda del titolo abilitativo edilizio in sanatoria - 6. Silenzio – assenso - 7. Oblazione e oneri concessori - 7.1 Aumento della misura dell’oblazione e degli oneri concessori - 7.2 Termini di versamento - 7.3 Competenza alla riscossione dell’integrazione dell’oblazione - 7.4 Determinazione definitiva degli oneri concessori - 7.5 Conseguenze del mancato pagamento - 8. Domande di concessione del titolo abilitativo edilizio in sanatoria presentate anteriormente alla data di entrata in vigore della legge regionale - 8.1 Disciplina applicabile alle domande anteriori - 8.2 Integrazione dei versamenti per le domande anteriori - 8.3 Rinuncia alle domande anteriori.

1. Generalità

La Regione Lazio ha dato attuazione all'art. 32 del d.l. 269 del 2003, convertito nella l. 326 del 2003, in materia di condono edilizio, con la Legge Regionale 8 novembre 2004 n. 12, pubblicata nel Bollettino Ufficiale Della Regione Lazio N. 31 del 10 novembre 2004, supplemento ordinario n. 5.

Preliminarmente deve precisarsi che, alla stregua di quanto vedremo nel prosieguo della presente trattazione (v. infra § 8.1), la normativa regionale non dà luogo ad un’autonoma fattispecie di condono edilizio rispetto a quella previste dal citato art. 32 del d.l. 269 del 2003, ma ad un’unica ipotesi di sanatoria disciplinata dal combinato disposto della legislazione statale e di quella regionale, alla stregua del nuovo articolo 117 della Costituzione, in base al quale la materia del "governo del territorio" è oggetto di una competenza legislativa concorrente tra Stato e Regioni ordinarie.

Di ciò è ben conscio anche il legislatore regionale, atteso che la legge 8 novembre 2004 n. 12, all’art. 1, esordisce affermando che "La presente legge detta disposizioni ai fini dell’attuazione, nell’ambito del territorio regionale, della sanatoria degli abusi edilizi prevista dall’articolo 32 del decreto legge 30 settembre 2003 n. 269".

A tale fine - ma la precisazione, alla stregua delle esposte considerazioni, appare ovvia - è inoltre disposto che "La disciplina sostanziale e procedurale prevista dal citato articolo 32 e dai relativi allegati del d.l. 269/2003 e successive modifiche si applica, in quanto compatibile con la presente legge, alla sanatoria di cui al comma 1".

Con comunicato stampa del 1° dicembre 2004 della Regione Lazio - Assessorato urbanistica e Casa, sono stati forniti chiarimenti interpretativi sulla legge regionale in oggetto.

Con l’art. 35 della legge regionale 9 dicembre 2004, n. 18, pubblicata sul Bollettino Ufficiale della Regione Lazio del 10 dicembre 2004, n. 34, s. o. n. 7, è stata infine apportata una modificazione all’articolo 3 della legge regionale 8 novembre 2004 n. 12 in materia di abusi su aree vincolate.

2. Gli ambiti di operatività della legge regionale disegnati dalle fonti primarie

Peraltro nella materia di cui trattasi l’individuazione degli ambiti di intervento della legislazione regionale è frutto della complessa, ed a tratti contorta, combinazione di tre fonti normative:


l’articolo 32 del decreto legge 30 settembre 2003 n. 269 convertito, con modificazioni, dalla legge 24 novembre 2003, n. 326;


la sentenza della Corte Costituzionale n. 196 del 28 giugno 2004;


il decreto legge 12 luglio 2004, n. 168 convertito, con modificazioni, dalla legge 30 luglio 2004, n. 191.

A) D.L. 30 settembre 2003 n. 269

L’articolo 32 del decreto legge 30 settembre 2003 n. 269 rinvia alla normativa regionale per le seguenti finalità:


fissazione delle possibilità, delle condizioni e delle modalità per l'ammissibilità a sanatoria delle tipologie di illecito di cui ai nn. 4, 5 e 6, dell'allegato 1 della legge statale nelle aree non soggette ai vincoli di cui all'articolo 32 della legge 28 febbraio 1985, n. 47 (comma 26);


emanazione di norme per la definizione del procedimento amministrativo relativo al rilascio del titolo abilitativo edilizio in sanatoria (comma 33);


possibilità di prevedere, tra l'altro, un incremento dell'oblazione fino al massimo del 10 per cento della misura determinata nella legge statale, ai fini dell'attivazione di politiche di repressione degli abusi edilizi e per la promozione di interventi di riqualificazione dei nuclei interessati da fenomeni di abusivismo edilizio, nonché per l'attuazione di quanto previsto dall'articolo 23 della legge 28 febbraio 1985, n. 47 (comma 33);


possibilità di prevedere che gli oneri di concessione relativi alle opere abusive oggetto di sanatoria siano incrementati fino al massimo del 100 per cento (comma 34) ;


possibilità di prevedere che la domanda di condono sia corredata da ulteriore documentazione rispetto a quella prevista dalla norma statale (comma 35).

B) Sentenza della Corte Costituzionale n. 196 del 28 giugno 2004

La sentenza della Corte Costituzionale n. 196 del 28 giugno 2004 nel dichiarare parzialmente incostituzionale l’art. 32 del decreto legge n. 269, nella sostanza attribuisce, con una pronuncia additiva, alle Regioni le seguenti ulteriori competenze nella materia di cui trattasi:


facoltà di determinare la possibilità, le condizioni e le modalità per l’ammissibilità a sanatoria di tutte le tipologie di abuso edilizio di cui all’Allegato 1 del d.l. n. 269 del 2003;


possibilità di determinare limiti volumetrici delle opere sanabili inferiori a quelle stabilite dalla legge nazionale anche laddove si tratti di beni che insistono su aree di proprietà dello Stato o facenti parte del demanio statale;


possibilità di disciplinare diversamente il silenzio assenso;


determinazione della misura dell’anticipazione degli oneri concessori, nonché delle relative modalità di versamento

C) D. L. 12 luglio 2004, n. 168

Il decreto legge 12 luglio 2004, n. 168 convertito, con modificazioni, dalla legge 30 luglio 2004, n. 191, ha infine attribuito alla legislazione regionale:


la possibilità di stabilire che le domande presentate fino al 7 luglio 2004, non siano salvaguardate agli effetti amministrativi e civilistici e debbano essere ripresentate in base alle nuove norme regionali, fermo restando che, se la legge regionale non disponga in tal senso, dette domande restano salve a tutti gli effetti;


la possibilità di stabilire che le domande presentate dal 12 luglio 2004 al 1° agosto 2004 restino salve non solo agli effetti penali, ma anche ad altri effetti, fermo restando che, se la legge regionale non disponga in tal senso, dette domande restano salve ai soli effetti penali.

Alla stregua di tali disposizioni, in attesa dell’emanazione delle leggi regionali, l’efficacia delle domande di condono poteva così riassumersi in base alla data di presentazione:

TABELLA RIEPILOGATIVA DELLE VARIE FASI TEMPORALI
RISULTANTI DALLA LEGGE DI CONVERSIONE


Periodo di presentazione delle domande relative ad abusi c.d. primari
Effetti sul piano civilistico (commerciabilità)
Effetti sul piano amministrativo (procedibi-lità della domanda)
Effetti sul piano penale (sospensione del procedimento penale e di quello per le sanzioni amministrative; estinzione dei reati con il pagamento dell’intera oblazione)

Sino al 7 luglio 2004
Sì, fino all’eventuale definitivo diniego
Sì, salvo che sia diversamente disposto dalla normativa regionale


Dall’8 all’11 luglio 2004
No
No
No

(salva la possibile operatività del favor rei)

Dal 12 luglio 2004 al 1° agosto 2004
No
No, salvo che sia diversamente disposto dalla normativa regionale


Dal 2 agosto 2004 al 10 novembre 2004
No
No
No

Dall’11 novembre al 10 dicembre 2004
Sì, fino all’eventuale definitivo diniego





3. Opere sanabili

3.1 Generalità

Con riferimento ai punti di cui al § 2 A.1, B.1 e B.2, relativi alla determinazione delle opere sanabili, la regione Lazio ha fatto ampio uso dei poteri a lei conferiti dalla legislazione nazionale, come integrata dalla nota pronuncia della Corte Costituzionale.

Tale pronuncia ha in sostanza attribuito alle regioni, nei limiti massimi previsti dalla legge statale, la competenza a delimitare l’ambito oggettivo delle opere sanabili.

Ne consegue che, una volta rispettati i limiti quantitativi statali, da intendersi come limiti massimi, la legge regionale è esaustiva, nel senso che solo ad essa occorre fare riferimento per individuare i presupposti oggettivi quantitativi di sanabilità.

3.2 Requisito temporale

Il requisito temporale dell’abuso rimane quello stabilito dal legislatore nazionale e dunque deve trattarsi di opere ultimate ai sensi dell’articolo 31, secondo comma, della legge 28 febbraio 1985, n. 47, entro il 31 marzo 2003, come espressamente confermato anche dalla legge regionale (art. 2 comma 1 L.R.).

Ciò posto la legge regionale distingue innanzitutto, come quella statale, tra opere conformi e opere non conformi alle norme urbanistiche e alle prescrizioni degli strumenti urbanistici.

A tale proposito la legge regionale assume come riferimento temporale di tali strumenti urbanistici non già la data di entrata in vigore del d.l. 269 del 2003, come era previsto dal legislatore nazionale, ma la data del 31 marzo 2003, relativa all’ultimazione delle opere.

Si fa infatti riferimento alle opere conformi o non conformi alle norme urbanistiche e alle prescrizioni degli strumenti urbanistici approvati o adottati al 31 marzo 2003.

3.3. Opere non conformi alle norme urbanistiche e alle prescrizioni degli strumenti urbanistici approvati o adottati al 31 marzo 2003

Nell’ambito di tali opere la legge regionale distingue ulteriormente tra ampliamenti e nuove costruzioni.

3.3.1 Ampliamenti

3.3.1.1 Limiti generali di sanabilità degli ampliamenti

Sono sanabili le opere di tal fatta realizzate in assenza del o in difformità dal titolo abilitativo edilizio che non abbiano comportato un ampliamento del manufatto superiore al venti per cento della volumetria della costruzione originaria o, in alternativa, superiore a 200 metri cubi (art. 2 lett. a L.R.).

Si tratta di una restrizione del limite quantitativo fissato dal legislatore nazionale, il quale prevedeva la possibilità di sanare ampliamenti del manufatto non superiori al 30 per cento della volumetria della costruzione originaria o, in alternativa, non superiori a 750 metri cubi (art. 32 comma 25 del d.l. 269 del 2003).

Non sono previsti nel caso di specie limiti afferenti alla destinazione d’uso delle opere realizzare, come è invece previsto per le nuove costruzioni.

Peraltro, secondo il citato Comunicato stampa del 1° dicembre 2004 della Regione Lazio - Assessorato urbanistica e Casa, "l’ampliamento può anche non essere in aderenza purché realizzato nella stessa area di pertinenza del fabbricato principale e ad esso legato pertinenzialmente", onde la nozione di ampliamento è stata definita come "ampliamento del manufatto all’esterno della sagoma esistente realizzata in conformità al titolo autorizzativo edilizio", precisandosi che "per sagoma si intende il perimetro che definisce un pieno; i balconi, i portici si intendono vuoti e pertanto non costituiscono sagoma".

Se ne è dedotto che si configura un ampliamento sia in caso di "chiusura di un balcone o di un portico" sia in caso di sopraelevazione.

3.3.1.2 Opere finalizzate a centri che perseguono finalità di assistenza e cura a persone disagiate

Sono altresì sanabili le opere con specifica destinazione d’uso, risultante da atto d’obbligo, a centri che perseguono, senza scopo di lucro, finalità sociali di assistenza e cura a persone disagiate, realizzate in assenza del o in difformità dal titolo abilitativo edilizio, che non abbiano comportato un ampliamento del manufatto superiore al 30 per cento della volumetria della costruzione originaria o, in alternativa, superiore a 750 metri cubi (art. 2 lett. c L.R.).

In altre parole, laddove l’immobile sia strumentale all’attività sociali di assistenza e cura a persone disagiate, svolte senza scopo di lucro, cessano di operare i più restrittivi limiti quantitativi regionali e tornano o applicabili i più ampi limiti previsti dal legislatore nazionale per gli ampliamenti.

I requisiti dell’atto d’obbligo richiesto a tal fine sono contenuti nell’art. 4 comma 3 lett. e) della legge regionale, ove è previsto che la domanda di sanatoria sia corredata da "atto d’obbligo, da trascriversi a cura del richiedente, previo assenso del proprietario dell’immobile, dal quale risulti la destinazione d’uso, per un periodo di 15 anni dalla data della domanda del titolo abilitativo edilizio in sanatoria, a centro che persegue, senza scopo di lucro, finalità sociali di assistenza e cura a persone disagiate, nel caso di cui all’articolo 2, comma 1, lettera c)".

Se ne deve dedurre che:

- non necessariamente l’immobile deve essere di proprietà dell’ente che svolge le attività sociali di assistenza e cura a persone disagiate;

- non è richiesto che detto ente sia il richiedente la sanatoria;

- non è richiesto che la destinazione d’uso in parola sia già esistente al momento della richiesta di sanatoria o di ultimazione dell’opera, essendo sufficiente che detta destinazione sia posta in essere e permanga nei 15 anni successivi alla presentazione della domanda di sanatoria.

E’ previsto che l’atto d’obbligo sia redatto "previo assenso del proprietario dell’immobile".

Ne deriva che, a ben vedere, ove il proprietario dell’immobile non coincida con l’utilizzatore dello stesso, l’obbligo assunto è duplice:


il richiedente si impegna ad assicurare l’utilizzazione dell’immobile per gli usi previsti dalla norma;


il proprietario consente a tale uso per il periodo prescritto.

Non sono chiare peraltro le conseguenze della violazione dell’obbligo assunto. Probabilmente detta violazione dovrebbe essere sanzionata anche sul piano urbanistico con le conseguenze previste per il cambio di destinazione d’uso in assenza del relativo titolo abitativo.

3.3.2 Nuove costruzioni

3.3.2.1 Limiti generali di sanabilità delle nuove costruzioni

Sono sanabili solo le opere di tal fatta a destinazione esclusivamente residenziale realizzate in assenza del o in difformità dal titolo abilitativo edilizio che:

1) non abbiano comportato la realizzazione di un volume superiore a 450 metri cubi per singola domanda di titolo abilitativo edilizio in sanatoria a condizione che la nuova costruzione non superi, nel suo complesso, 900 metri cubi, nel caso in cui si tratti di unità immobiliare adibita a prima casa di abitazione del richiedente nel comune di residenza;

2) non abbiano comportato la realizzazione di un volume superiore a 300 metri cubi per singola domanda di titolo abilitativo edilizio in sanatoria a condizione che la nuova costruzione non superi, nel suo complesso, 600 metri cubi, nel caso in cui non si tratti di unità immobiliare adibita a prima casa di abitazione del richiedente nel comune di residenza (art. 2 lett. b L.R.).

Peraltro, secondo il citato Comunicato stampa del 1° dicembre 2004 della Regione Lazio - Assessorato urbanistica e Casa, "per nuova costruzione si intende la costruzione di manufatti fuori terra o interrati in area inedificata", mentre, come si è detto, la costruzione realizzata, non in aderenza, ma nella stessa area di pertinenza del fabbricato principale e ad esso legato pertinenzialmente rientra nel concetto di ampliamento.

Se ne è dedotto che rientra nel concetto di nuova costruzione la "costruzione di un manufatto anche in aderenza ad altro ma su area esclusiva".

3.3.2.2 Limiti volumetrici

Tali limiti sono stabiliti, come previsto dalla legislazione statale, sia in relazione alla singola domanda di sanatoria sia con riferimento alla costruzione nel suo complesso.

Ma in entrambi i casi si tratta anche questa volta di limiti riduttivi di quelli previsti dalla legge nazionale, che faceva riferimento a nuove costruzioni residenziali non superiori a 750 metri cubi per singola richiesta di titolo abilitativo edilizio in sanatoria, a condizione che la nuova costruzione non superi complessivamente i 3.000 metri cubi.

3.3.2.3 Limiti di destinazione d’uso

Come previsto, sia pure con disposizione ambigua anche dalla legislazione nazionale, la legge regionale è chiara nello stabilire che le nuove costruzioni non conformi alle norme urbanistiche e alle prescrizioni degli strumenti urbanistici sono sanabili solo se a destinazione residenziale e non anche se aventi altra destinazione.

3.3.2.4 Prima casa

La legge regionale inoltre ha ritenuto di porre limiti quantitativi differenziati a seconda che si tratti o meno di "di unità immobiliare adibita a prima casa di abitazione del richiedente nel comune di residenza".

Il concetto di prima casa è ulteriormente specificato dall’art. 4 comma 3 lett. d) della legge regionale.

Tale norma infatti prevede che la domanda di sanatoria deve essere corredata tra l’altro da "certificato di residenza e dichiarazione del richiedente, resa ai sensi dell’articolo 47, comma 1, del d.p.r. 445/2000, comprovante che si tratta di unità immobiliare adibita, alla data del 31 marzo 2003, a prima casa di abitazione nel comune di residenza e che il richiedente stesso non risulti proprietario di altro immobile ad uso residenziale nel territorio del comune stesso, nel caso di cui all’articolo 2, comma 1, lettera b), numero 1)".

Ne consegue che è necessario a tal fine che:


i requisiti prima casa siano posseduti dal richiedente la sanatoria;


il possesso dei requisiti deve sussistere alla data del 31 marzo 2003;


detti requisiti consistono:


nella residenza nel comune in cui si trova l’immobile oggetto di sanatoria;


nell’impossidenza, a titolo di proprietà ("non risulti proprietario"), di altro immobile ad uso residenziale nel territorio del comune stesso.

Quanto al requisito della residenza non è chiaro a prima vista se sia sufficiente che essa sia posta nel comune e ove è ubicato l’immobile da sanare o nell’immobile medesimo (si richiede infatti che l’unità immobiliare da sanare sia adibita, alla data del 31 marzo 2003, a prima casa di abitazione del richiedente).

Ma ad una più approfondita analisi risulta inevitabile concludere per la sufficienza della residenza nel comune e non anche nell’immobile.

Ed invero nel caso di specie trattasi di sanatoria relativa a nuova costruzione ultimata entro il 31 marzo 2003 ed a tal fine l’articolo 31, secondo comma, della legge 28 febbraio 1985, n. 47, espressamente richiamato anche dalla legge regionale (art. 2 comma 1 L.R.), considera sufficiente ai fini dell’ultimazione la realizzazione del rustico con copertura completata.

Orbene, se è sanabile la costruzione al rustico, appare evidente che non può esigersi che, alla stessa data alla quale è sufficiente che sia stato realizzato il solo rustico, il richiedente debba anche abitare un immobile non rifinito e quindi ancora inidoneo ad essere utilizzato come abitazione.

Quanto al requisito nell’impossidenza di altro immobile, la norma non sembra considerare ostativa alla sussistenza dei requisisti prima casa la titolarità di diritti reali diversi dalla proprietà (quali usufrutto, uso o abitazione), ma non chiarisce se la proprietà debba o meno essere esclusiva.

Nondimeno la ratio legis condurrebbe ad escludere che possa costituire causa ostativa alla possidenza del requisito prima casa, ai fini di cui trattasi, la titolarità di una quota indivisa, specie se di lieve entità, poiché essa non necessariamente assicurerebbe al richiedente la possibilità di fruire dell’immobile per adibirlo a propria abitazione.

Per ragioni analoghe non dovrebbe essere ostativa alla possidenza del requisito prima casa la titolarità della sola nuda proprietà perché anch’essa non assicurerebbe al richiedente la possibilità di fruire dell’immobile per adibirlo a propria abitazione.

Non è previsto peraltro alcun divieto di alienazione in capo al richiedente in relazione alla richiesta agevolazione.

Ci si deve chiedere tuttavia se l’alienazione dell’immobile prima del perfezionamento della sanatoria con il rilascio del relativo titolo abilitato possa in qualche modo impedire tale rilascio.

Tuttavia la lettera della legge sembra escludere una siffatta conseguenza, poichè riconduce il requisito soggettivo della prima casa alla sola data del 31 marzo 2003 e non anche al momento del rilascio del titolo abilitativo in sanatoria.

Per la stessa ragione deve escludersi che la successiva alienazione della prima casa per la quale si sia fruito della riduzione del contributo concessorio prevista al riguardo dall’art. 7, primo comma, lett. b) della legge regionale (v. infra § 7.1.) dia luogo alla necessità di versare la differenza degli oneri concessori in parola.

Del resto tale versamento integrativo non è disposto né dalla legge regionale, né dall'art. 32 del d.l. 269 del 2003, né dalla legge 47/85, che pure aveva previsto, per l’oblazione, una riduzione per la prima casa.

Solo l'articolo 39 della legge 23 dicembre 1994, n. 724 nel prevedere al comma 13 una riduzione per le opere realizzate al fine di ovviare a situazioni di estremo disagio abitativo, disponeva al comma 15 che, ove l'immobile sanato con tale agevolazione "venga trasferito, con atto inter vivos a titolo oneroso a terzi, entro dieci anni a decorrere dalla data di entrata in vigore della presente legge, è dovuta la differenza tra l'oblazione corrisposta in misura ridotta e l'oblazione come determinata ai sensi del comma 3, maggiorata degli interessi nella misura legale. La ricevuta del versamento della somma eccedente deve essere allegata a pena di nullità all'atto di trasferimento dell'immobile".

Ma il comma 39 dell’art. 32 del d.l. 269 del 2003 prevede espressamente che, ai fini della determinazione dell'oblazione non si applica quanto previsto dai commi 13, 14, 15 e 16 dell'articolo 39 della legge 23 dicembre 1994 n. 724.

3.3.3 Ristrutturazione

3.3.3.1 Limiti generali di sanabilità delle Ristrutturazioni

Sono sanabili le opere di ristrutturazione edilizia come definite dall’articolo 3, comma 1, lettera d), del T. U. edilizia, realizzate in assenza del o in difformità dal titolo abilitativo edilizio eseguite all’interno della sagoma originaria del fabbricato entro e fuori terra, anche con aumento della superficie utile lorda (art. 2 lett. e L.R.).

Inoltre nel caso di specie la legge prevede che si tratti di opere "non conformi alle norme urbanistiche e alle prescrizioni degli strumenti urbanistici, approvati o adottati" senza riferire detta conformità alla data del 31 marzo 2003.

Ma si tratta probabilmente di un semplice refuso poiché non avrebbe senso nel caso di specie un trattamento diverso rispetto alle altre opere non conformi alla normativa urbanistica e poiché non viene dettato alcun un diverso criterio di riferimento temporale.

Peraltro, secondo il citato Comunicato stampa del 1° dicembre 2004 della Regione Lazio - Assessorato urbanistica e Casa, "per ristrutturazione si intendono i cambi destinazione d’uso, modifiche e aumento della superficie utile lorda, il frazionamento e accorpamento, demolizione e ricostruzione con la stessa volumetria e sagoma della preesistenza".

Ma tale assunto lascia perplessi, perché non sembra coerente con la nozione di ristrutturazione edilizia fornita dall’articolo 3, comma 1, lettera d), del T. U. edilizia, secondo cui rientrano in tale concetto "gli interventi rivolti a trasformare gli organismi edilizi mediante un insieme sistematico di opere che possono portare ad un organismo edilizio in tutto o in parte diverso dal precedente. Tali interventi comprendono il ripristino o la sostituzione di alcuni elementi costitutivi dell'edificio, l'eliminazione, la modifica e l'inserimento di nuovi elementi ed impianti. Nell'ambito degli interventi di ristrutturazione edilizia sono ricompresi anche quelli consistenti nella demolizione e ricostruzione con la stessa volumetria e sagoma di quello preesistente, fatte salve le sole innovazioni necessarie per l'adeguamento alla normativa antisismica".

In caso di ristrutturazione ai fini del condono non sono previsti di regola limiti quantitativi, poiché essi sono dettati dalla legislazione nazionale e regionale con riferimento alla cubatura realizzata, mentre nel caso di specie, dovendo l’intervento essere realizzato "all’interno della sagoma originaria del fabbricato entro e fuori terra", non si potrebbe configurare un aumento della cubatura originaria, ma solo delle superfici utili.

Tale aumento delle sole superfici utili è consentito di regola senza limiti.

Rientra in tale ipotesi, ad esempio, l’"aumento della superficie utile lorda con la realizzazione di un solaio intermedio all’interno della sagoma esistente".

3.3.3.2 Ristrutturazione di immobili ad uso commerciale

Se tuttavia si tratti di opere di ristrutturazione edilizia di immobili ad uso commerciale, è introdotto un limite quantitativo riferito alla superficie utile, nel senso che "l’eventuale ampliamento della superficie utile lorda non può superare il 20 per cento della superficie utile lorda originaria e, comunque, i 200 metri quadrati".

3.3.3.3 Demolizione e ricostruzione

La conclusione cui si è giunti al riguardo va peraltro verificata alla stregua del fatto che il T.U. edilizia, nel testo risultante dalle modifiche apportate dal d.lgs. 27 dicembre 2002 n. 301, ricomprende nella definizione di ristrutturazione anche gli interventi "consistenti nella demolizione e ricostruzione con la stessa volumetria e sagoma di quello preesistente, fatte salve le sole innovazioni necessarie per l'adeguamento alla normativa antisismica"(art. 3 lettera d) T.U. edilizia).

L’attuale nozione di ristrutturazione a seguito di demolizione e ricostruzione è infatti più largheggiante di quella contenuta nel dettato originario del T.U., poiché sono stati espunti i riferimenti alla "fedele ricostruzione di un fabbricato identico, quanto a sagoma, volumi, area di sedime e caratteristiche dei materiali, a quello preesistente".

La disposizione in esame ha inteso certamente risolvere nel senso più liberale la vecchia disputa che aveva contrapposto da un lato la giurisprudenza penale della Cassazione, incline a negare la sussistenza del concetto di ristrutturazione negli interventi di demolizione e ricostruzione, e dall’altro la giurisprudenza amministrativa, propensa invece a far rientrare la demolizione e fedele ricostruzione nell’ambito degli interventi di ristrutturazione.

Tale nozione è stata accolta anche dal citato Comunicato stampa del 1° dicembre 2004 della Regione Lazio - Assessorato urbanistica e Casa, secondo cui, come si è detto, nel concetto di ristrutturazione rientra anche la "demolizione e ricostruzione con la stessa volumetria e sagoma della preesistenza".

Nondimeno l’emendamento apportato dal d.lg.s 301/2002 ha posto l’ulteriore problema della possibilità di includere nel concetto di ristrutturazione anche l’intervento che comporti la ricostruzione del fabbricato demolito in luogo diverso dall’originaria area di sedime.

Ma anche ove si acceda a tale interpretazione permissiva è dubbio che essa possa essere accolta in relazione alle opere di ristrutturazione oggetto di condono nella regione Lazio, ove la previsione che l’intervento debba essere realizzato "all’interno della sagoma originaria del fabbricato entro e fuori terra", pone il problema la sanabilità, come ristrutturazione, della ricostruzione in area di sedime diversa da quella originaria.

Se si accogliesse l’interpretazione restrittiva, detta opera dovrebbe essere sanata secondo le norme relative alle nuove costruzioni di cui all’art. 2 primo comma lett. b) della Legge Regionale.

3.4 Opere conformi alle norme urbanistiche e alle prescrizioni degli strumenti urbanistici approvati o adottati al 31 marzo 2003

Sono sanabili le opere di qualsiasi genere (e quindi, deve ritenersi, sia di ampliamento che di nuova costruzione) realizzate in assenza del o in difformità dal titolo abilitativo edilizio nel rispetto dei limiti massimi di cubatura previsti dall’articolo 32, comma 25, del d.l. 269/2003 e successive modifiche (art. 2 lett. d L.R.) qualora siano conformi alle norme urbanistiche e alle prescrizioni degli strumenti urbanistici approvati o adottati al 31 marzo 2003.

Ne deriva che la conformità alla normativa urbanistica fa cessare l’applicazione dei più restrittivi limiti quantitativi regionali e fa rivivere i più ampi limiti previsti dal legislatore nazionale.

Non è chiaro se siano sanabili nel caso di specie anche le nuove costruzioni non residenziali.

Infatti da un lato la legge regionale non pone limitazioni inerenti alla destinazione d’uso dell’opera realizzata, come invece avviene per le nuove costruzioni non conformi alle norme urbanistiche e alle prescrizioni degli strumenti urbanistici.

Dall’altro il richiamo ai limiti massimi di cubatura previsti dall’articolo 32, comma 25, del d.l. 269/2003 potrebbe essere interpretato come riferito anche alle destinazioni d’uso, atteso che la legge statale consente la sanabilità delle "nuove costruzioni residenziali non superiori a 750 metri cubi per singola richiesta di titolo abilitativo edilizio in sanatoria, a condizione che la nuova costruzione non superi complessivamente i 3.000 metri cubi".

Peraltro deve osservarsi che l’esclusione dalla sanatoria delle nuove costruzioni non residenziali conformi alla normativa urbanistica apparirebbe priva di qualsiasi giustificazione logico – sistematica.

3.5 Altre opere

Sono sanabili anche le opere di minore rilevanza urbanistica già previste dalle tipologie 4, 5 e 6 dell’allegato al d.l. 269 del 2003:

- opere di restauro e risanamento conservativo come definite dall’articolo 3, comma 1, lettera c), del T.U edilizia, realizzate in assenza del o in difformità dal titolo abilitativo edilizio nelle zone omogenee A di cui all’articolo 2 del decreto ministeriale 2 aprile 1968, n. 1444 (art. 2 lett. f L.R.);

- opere di restauro e risanamento conservativo come definite dall’articolo 3, comma 1, lettera c), del T.U edilizia, realizzate in assenza del o in difformità dal titolo abilitativo edilizio (art. 2 lett, g L.R.);

- opere di manutenzione straordinaria, come definite dall’articolo 3, comma 1, lettera b), del d.p.r. 380/2001, realizzate in assenza del o in difformità dal titolo abilitativo edilizio; opere o modalità di esecuzione non valutabili in termini di superficie o di volume (art. 2 lett. h L.R.).

4. Cause ostative alla sanatoria edilizia

4.1. Generalità

L’art. 3 della legge regionale prevede e disciplina le "cause ostative alla sanatoria edilizia".

A tale proposito la norma esordisce dicendo che la disciplina regionale opera "fermo restando quanto previsto dall’articolo 32, comma 27, del d.l. 269/2003 e successive modifiche, dall’articolo 32 della l. 47/1985, come da ultimo modificato dall’articolo 32, comma 43, del citato d.l. 269/2003, nonché dall’articolo 33 della l. 47/1985".

Se ne deve dedurre che la legge regionale ha inteso dettare ulteriori prescrizioni restrittive che si aggiungono a quelle nazionali, riducendo in tal modo l’ambito di concedibilità della sanatoria, anche se, come vedremo, a detto principio le norme regionali apportano non poche deroghe (v. infra §§ 4.3.2. e 4.3.3.).

A tale proposito è previsto che non sono comunque suscettibili di sanatoria:

a) le opere di cui all’articolo 2, comma 1, lettera a), b), c), d), ed e), realizzate su aree appartenenti al demanio dello Stato, della Regione e degli enti locali ovvero realizzate da terzi su aree di proprietà dei suddetti enti;

b) le opere di cui all’articolo 2, comma 1, realizzate, anche prima della apposizione del vincolo, in assenza o in difformità del titolo abilitativo edilizio e non conformi alle norme urbanistiche ed alle prescrizioni degli strumenti urbanistici, su immobili soggetti a vincoli imposti sulla base di leggi statali e regionali a tutela dei monumenti naturali, dei siti di importanza comunitaria e delle zone a protezione speciale, non ricadenti all’interno dei piani urbanistici attuativi vigenti, nonché a tutela dei parchi e delle aree naturali protette nazionali, regionali e provinciali;

c) il cambio di destinazione ad uso non residenziale che interessi una superficie originariamente destinata a parcheggio anche pertinenziale, realizzato anche ai sensi della legge 24 marzo 1989, n. 122 (legge Tognoli), qualora non sia dimostrato il reperimento della medesima quantità di superficie da destinare a parcheggio.

4.2. Opere su aree demaniali

Nella legge statale la condonabilità di tali opere non era esclusa in modo assoluto, ma solo se non fosse stata data la disponibilità di concessione onerosa dell'area di proprietà dello Stato o degli enti pubblici territoriali, con le modalità e condizioni di cui all'articolo 32 della legge 28 febbraio 1985, n. 47, ed al d.l. 269 del 2003 (art. 32 comma 27 lett c di tale ultimo d.l.).

Nella legge regionale, invece, se si tratta di opere realizzate su aree appartenenti al demanio dello Stato, della Regione e degli enti locali ovvero realizzate da terzi su aree di proprietà dei suddetti enti, esse non sono comunque sanabili a prescindere dalla concessione della disponibilità dell’area, laddove dette opere rientrino nella tipologia di cui all’articolo 2, comma 1, lettera a), b), c), d), ed e) della legge regionale (praticamente si tratta di tutte le tipologie di opere escluse soltanto quelle minori, relative al restauro e risanamento conservativo, alla manutenzione straordinaria, ovvero relative ad opere o modalità di esecuzione non valutabili in termini di superficie o di volume).

4.3 Opere su aree vincolate

4.3.1 Vincoli previsti dalla legge regionale

La legge regionale esclude la condonabilità di tutte le tipologie di opere di cui all’articolo 2, comma 1, eseguite su aree vincolate, apparentemente senza alcuna eccezione per determinate tipologie di opere.

Tuttavia, quanto all’individuazione del tipo di vincolo rilevante a tal fine, la legge regionale adopera delle espressioni non puntualmente coincidenti con quelle previste nella normativa statale.

Si tratta infatti di opere realizzate su immobili soggetti a vincoli imposti sulla base di leggi statali e regionali a tutela:


dei parchi e delle aree protette nazionali, regionali e provinciali,


dei monumenti naturali,


dei siti di importanza comunitaria


delle zone a protezione speciale.

L’ipotesi di cui a numero 1 è espressamente contemplata anche dalla norma statale (art. 32 comma 27 lett. d del d.l. 269 del 2003), la quale tuttavia escludeva nella specie la sanabilità solo delle opere di tal fatta non conformi alle norme urbanistiche e alle prescrizioni degli strumenti urbanistici.

La norma regionale nel suo testo originario sembrava invece in tal caso più restrittiva perché dal punto di vista letterale escludeva la sanabilità anche delle opere di cui all’art. 2 comma 1 lett. d) L.R., vale a dire quelle conformi alle norme urbanistiche e alle prescrizioni degli strumenti urbanistici.

In senso contrario si era espresso il Comunicato stampa del 1° dicembre 2004 della Regione Lazio - Assessorato urbanistica e Casa, secondo cui "sono altresì suscettibili di sanatoria ai sensi dell’art. 32 della Legge 28 febbraio 1985 n. 47, le opere ricadenti su immobili soggetti a vincoli se conformi alle norme urbanistiche e alle prescrizioni degli strumenti urbanistici".

Da ultimo tale conclusione è stata accolta dall’art. 35 della legge regionale 9 dicembre 2004 n. 18, il quale ha disposto espressamente che l’esclusione dalla sanatoria nelle aree vincolate riguarda solo le opere realizzate "in assenza o in difformità del titolo abilitativo edilizio e non conformi alle norme urbanistiche ed alle prescrizioni degli strumenti urbanistici".

4.3.2 Vincoli non previsti dalla legge regionale ma dalla legge statale

La legge regionale invece non contempla testualmente le opere, per le quali pure l’articolo 32, comma 27, del d.l. 269/2003 esclude la possibilità di sanatoria; si tratta delle opere:


eseguite dal proprietario o avente causa condannato con sentenza definitiva, per i delitti di cui agli articoli 416-bis, 648-bis e 648-ter del codice penale o da terzi per suo conto;


per le quali non sia possibile effettuare interventi per l'adeguamento antisismico, rispetto alle categorie previste per i comuni secondo quanto indicato dalla ordinanza del Presidente del Consiglio dei Ministri 20 marzo 2003, n. 3274, pubblicata nel supplemento ordinario alla Gazzetta Ufficiale n. 105 dell'8 maggio 2003;


realizzate su immobili soggetti a vincoli imposti sulla base di leggi statali e regionali a tutela degli interessi idrogeologici e delle falde acquifere, dei beni ambientali e paesistici, in assenza o in difformità del titolo abilitativo edilizio e non conformi alle norme urbanistiche e alle prescrizioni degli strumenti urbanistici;


realizzate su immobili dichiarati monumento nazionale con provvedimenti aventi forza di legge o dichiarati di interesse particolarmente rilevante ai sensi degli articoli 6 e 7 del decreto legislativo 29 ottobre 1999, n. 490;


realizzate su aree boscate o su pascolo i cui soprassuoli siano stati percorsi dal fuoco (Agli effetti dell'esclusione dalla sanatoria è sufficiente l'acquisizione di elementi di prova, desumibili anche dagli atti e dai registri del Ministero dell'interno, che le aree interessate dall'abuso edilizio siano state, nell'ultimo decennio, percorse da uno o più incendi boschivi);


realizzate nei porti e nelle aree appartenenti al demanio marittimo, lacuale e fluviale, nonché nei terreni gravati da diritti di uso civico.

Tuttavia, come si è già avuto modo di rilevare, la legge regionale fa comunque salvo quanto previsto dall’articolo 32, comma 27, del d.l. 269/2003 e successive modifiche, dall’articolo 32 della l. 47/1985, come da ultimo modificato dall’articolo 32, comma 43, del citato d.l. 269/2003, nonché dall’articolo 33 della l. 47/1985.

Pertanto in ogni caso le ipotesi di esclusione dalla sanatoria non previste dalla legge regionale, ma contemplate da quelle statale, operano in linea di principio anche nella regione Lazio.

Ma, a ben vedere, anche in tale ambito la legge regionale ha apportato consistenti innovazioni.

Al riguardo viene innanzitutto in rilievo l’art. 11, secondo comma, lett. d) della legge regionale 6 Luglio 1998 n. 24, come modificato dalla legge regionale 9 dicembre 2004 n. 18, secondo cui sono assoggettate a vincolo paesistico "le terre private gravate da usi civici a favore della popolazione locale fino a quando non sia intervenuta la liquidazione di cui agli articoli 5 e seguenti della l. 1766/1927; in tal caso la liquidazione estingue l’uso civico ed il conseguente vincolo paesistico".

Tale ultima disposizione potrebbe essere intesa nel senso che la liquidazione dell’uso civico, estinguendo il vincolo paesistico, consente il condono edilizio.

Inoltre, come vedremo, la citata legge regionale 9 dicembre 2004 n. 18 apporta notevoli modificazioni anche per altre tipologie di vincolo ambientale (v. infra § 4.3.3.).

4.3.3 Monumenti naturali, siti di importanza comunitaria e zone a protezione speciale.

Resta da individuare la nozione, posta dalla legge regionale, di vincoli posti a tutela dei "monumenti naturali", dei "siti di importanza comunitaria" e delle "zone a protezione speciale".

La precisazione di tali nozioni, infatti, è importante perché essa implica la preclusione della sanatoria nella regione Lazio.

In particolare la nozione di "monumento naturale" non coincide con quella di "monumento nazionale", adoperata dalla noma statale (articolo 32, comma 27, lett. e del d.l. 269/2003), poiché essa fa riferimento a beni considerati rilevanti solo per fattori di carattere naturalistico e non anche di tipo storico o artistico.

Per quanto attiene alla legislazione regionale a tale nozione fa riferimento l’art. 6 della L.R. 6 Ottobre 1997 n. 29 (Norme in materia di aree naturali protette regionali), secondo cui "Per monumento naturale si intendono habitat o ambienti di limitata estensione, esemplari vetusti di piante, formazioni geologiche o paleontologiche che presentino caratteristiche di rilevante interesse naturalistico e/o scientifico nonché ambiti territoriali caratterizzati dalla presenza di aspetti paesaggistici rurali e da attività agricole tradizionali".

I monumenti naturali sono sottoposti a vincolo con decreto del Presidente della Giunta regionale. Il decreto, che individua il soggetto cui è affidata la gestione del monumento, è notificato ai proprietari, possessori o detentori a qualunque titolo ed è trascritto sui registri immobiliari, su richiesta del Presidente della Giunta regionale. Il vincolo così apposto ha efficacia nei confronti di ogni successivo proprietario, possessore o detentore a qualsiasi titolo del monumento naturale.

Qualora l'ambito territoriale da vincolare come monumento naturale abbia un'estensione superiore ai trecento ettari, l'istituzione e la disciplina del monumento stesso, sono effettuate con legge regionale.

L’art. 9 della legge regionale 6 luglio 1998, n. 24 (Pianificazione paesistica e tutela dei beni e delle aree sottoposti a vincolo paesistico), nel prevedere che, ai sensi dell'articolo 82, quinto comma, lettera f), del D.P.R. 616/1977, sono sottoposti a vincolo paesistico i parchi e le riserve nazionali o regionali, nonché i territori di protezione esterna dei parchi, dispone che nella categoria dei beni paesistici sono compresi i monumenti naturali, le relative aree contigue rispettivamente istituiti e definite con provvedimento regionale.

Alla nozione di "siti di importanza comunitaria" (SIC), fa riferimento l’art. 6 della citata L.R. 6 Ottobre 1997, n. 29, secondo cui i siti di importanza comunitaria sono "individuati nel territorio regionale in base ai criteri contenuti nella direttiva 92/43/CEE del Consiglio del 21 maggio 1992", attuata nel territorio nazionale con D.P.R. 8 settembre 1997, n. 357, disponendosi inoltre che "I siti di importanza comunitaria sono tutelati a norma della disciplina di attuazione della normativa comunitaria. Ad essi si applicano le previsioni di cui all'articolo 10 della l.r. 74/1991".

Alla nozione di "zone a protezione speciale" (ZPS) fa riferimento la direttiva 79/409/CEE.

Con D.M. 3 aprile 2000 pubblicato nella Gazz. Uff. 22 aprile 2000, n. 95, S.O. è stato approvato l’elenco delle zone di protezione speciale designate ai sensi della direttiva 79/409/CEE e dei siti di importanza comunitaria proposti ai sensi della direttiva 92/43/CEE.

Ciò posto deve sottolinearsi che, in virtù della modifica apportata dalla legge regionale 9 dicembre 2004, n. 18, laddove si tratti di opere realizzate su immobili soggetti a vincoli imposti sulla base di leggi statali e regionali a tutela dei monumenti naturali, dei siti di importanza comunitaria e delle zone a protezione speciale, l’esclusione dalla sanatoria si verifica solo ove esse non siano "ricadenti all’interno dei piani urbanistici attuativi vigenti".

Ne consegue che, ove si tratti di abusi realizzati all’interno dei detti piani urbanistici attuativi vigenti, l’opera sarà sanabile anche se posta in essere su immobili soggetti a vincoli a tutela dei monumenti naturali, dei siti di importanza comunitaria e delle zone a protezione speciale.

Piuttosto la disposizione in esame appare problematica in quanto la sanabilità in presenza di piani urbanistici attuativi, dal punto di vista letterale, è sancita solo con riferimento agli immobili gravati da vincoli a tutela dei monumenti naturali, dei siti di importanza comunitaria e delle zone a protezione speciale.

Ne deriverebbe che, in presenza di altre tipologie di vincolo, che in base alla legge regionale o a quella nazionale impediscono la sanatoria, la sussistenza di piani urbanistici attuativi non varrebbe a consentire la sanatoria.

Ma tale conclusione suscita perplessità poichè possono sussistere vincoli che tutelano interessi omogenei, se non addirittura di minore rilevanza, rispetto a quelli relativi ai monumenti naturali, ai siti di importanza comunitaria e alle zone a protezione speciale.

Anzi può addirittura accadere che sullo stesso bene gravino tali ultimi vincoli e altri vincoli affini (ad es. quelli relativi ai parchi o ai beni ambientali e paesistici).

Il diniego della sanatoria per la presenza di tali ultimi vincoli creerebbe probabilmente una disparità di trattamento di dubbia legittimità costituzionale, perché priva di adeguata giustificazione.

Il problema sembra essere stato in parte risolto dalla medesima legge regionale 9 dicembre 2004 n. 18, la quale ha apportato anche modifiche alla legge regionale 6 Luglio 1998 n. 24, in materia di pianificazione paesistica e tutela dei beni e delle aree sottoposti a vincolo paesistico.

A seguito di dette modificazioni è stato infatti stabilito che:

"1. Nelle aree urbanizzate esistenti come individuate dai PTP o dal PTPR i comuni possono adottare, in conformità alla l.r. 28/1980 e successive modifiche, varianti speciali allo strumento urbanistico generale, al fine del recupero dei nuclei edilizi abusivi perimetrati.

2. Qualora la variante speciale non sia conforme ai PTP o al PTPR, il comune può, contestualmente all’adozione della variante stessa, proporre una modifica del PTP o del PTPR limitatamente al soddisfacimento degli standard di cui all'articolo 3 del d.m. 1444/1968 ed all'eventuale inserimento di lotti interclusi o di edifici adiacenti alle aree urbanizzate esistenti come individuate dai PTP o dal PTPR. In tal caso si applicano le disposizioni di cui all’articolo 27.1.

3. I pareri di cui all'articolo 32 possono essere rilasciati soltanto a seguito della definizione delle procedure relative alla variante speciale previste dai precedenti commi" (art. 31quinquies legge regionale 6 Luglio 1998 n. 24, come introdotto dalla legge regionale 9 dicembre 2004 n. 18).

A fronte di ciò la legge regionale ha in pratica sottratto al vincolo paesaggistico le fasce costiere marittime, le coste dei laghi e i corsi delle acque pubbliche quando esse ricadano in "aree urbanizzate esistenti come individuate dai PTP o dal PTPR, ferma restando la preventiva definizione delle procedure relative alla variante speciale di cui all’articolo 31quinquies, commi 1 e 2, qualora in tali aree siano inclusi nuclei edilizi abusivi condonabili" e "fatto salvo l’obbligo di richiedere l’autorizzazione paesistica ai sensi dell’articolo 25" (artt. 5, quarto comma, 6, quinto comma, 7, settimo comma, della legge regionale 6 Luglio 1998 n. 24, come introdotto dalla legge regionale 9 dicembre 2004 n. 18).

A seguito di tali disposizioni normative, dunque, sembra possibile condonare opere realizzate nella fasce costiere marittime, nelle coste dei laghi e nelle zone di rispetto dei corsi delle acque pubbliche, normalmente soggette a vincolo ambientale, a condizione che esse siano inserite nelle varianti speciali per il recupero dei nuclei abusivi in ambito paesistico.

Peraltro non può farsi a meno di rilevare che la tecnica legislativa utilizzata per ottenere detto risultato appare alquanto singolare e di dubbia coerenza sistematica.

A tal fine, infatti, viene espressamente disapplicata la norma che assoggetta le zone in esame a vincolo paesistico, ma nello stesso tempo si fa salvo l’obbligo di richiedere l’autorizzazione paesistica ai sensi dell’articolo 25 della l.r. 24/98, che presuppose invece la sussistenza di detto vincolo.

4.3.4 Epoca di apposizione del vincolo

In ogni caso in tutte le ipotesi di vincoli ostativi alla sanatoria ai sensi dell’art. 3 lett. b della legge regionale, quest’ultima precisa chiaramente che l’insanabilità sussiste anche se le opere siano state realizzate prima dell’apposizione del vincolo.

Anche in tal caso la norma regionale potrebbe risultare più restrittiva di quelle statale ove si ritenga che l’inciso "qualora istituiti prima della esecuzione di dette opere", contenuto nell’art. 32 comma 27 lett. d) del d.l. 269/2003, si riferisca solo ai parchi ed alle aree protette nazionali, regionali e provinciali e non anche agli altri vincoli previsti da detta norma.

4.3.5 Opere interne su aree vincolate

L’integrale richiamo all’art. 2 comma 1 operato dall’art. 3 lett b) L.R. includerebbe tra le opere escluse dalla sanatoria anche quelle, interne alle costruzioni già esistenti, di ristrutturazione edilizia, di restauro e risanamento conservativo e di manutenzione straordinaria, previste alle lettere da e) ad h) del citato art. 2 comma 1 L.R..

Peraltro l’inclusione delle opere interne tra quelle non sanabili è stata criticata per quanto attiene ai vincoli paesaggistici, atteso che in base all’art. 149 del Codice dei beni culturali e del paesaggio, adottato con D.Lgs. 22-1-2004 n. 42, gli interventi di manutenzione ordinaria, straordinaria, di consolidamento statico e di restauro conservativo che non alterino lo stato dei luoghi e l'aspetto esteriore degli edifici non sono soggetti all'autorizzazione paessagistica, perché non sono idonei a compromettere il bene tutelato da tali norme.

Se ne potrebbe dedurre che, laddove dette opere non abbiano alterato lo stato dei luoghi e l'aspetto esteriore degli edifici, non dovrebbe alle stesse applicarsi il divieto di sanatoria previsto dalle leggi statali e regionali.

In ogni caso si tratterebbe peraltro di abusi che non incidono sulla commerciabilità.

In quest’ottica si è posto anche il citato comunicato stampa del 1° dicembre 2004 della Regione Lazio - Assessorato urbanistica e Casa, secondo cui "anche in mancanza di una espressa previsione nella normativa regionale sono suscettibili di sanatoria edilizia le opere di cui all’art. 2 comma 1 lettera f) g) h) (opere di restauro e risanamento conservativo e opere di manutenzione straordinaria) ricadenti su immobili soggetti ai vincoli di cui all’art. 32 della Legge 28 febbraio 1985 n. 47".

Da ultimo la questione sembra essere stata risolta, a seguito della legge regionale 9 dicembre 2004 n. 18, la quale ha introdotto nella legge regionale 6 Luglio 1998 n. 24, in materia di pianificazione paesistica e tutela dei beni e delle aree sottoposti a vincolo paesistico, l’art. 18ter, secondo cui "1. Fermo restando l’obbligo di richiedere l’autorizzazione paesistica di cui all’articolo 25, nelle zone sottoposte a vincolo paesistico sono comunque consentiti, anche in deroga alle disposizioni contenute nel presente capo:
a) gli interventi di manutenzione ordinaria, straordinaria, di consolidamento statico e di restauro conservativo che alterino lo stato dei luoghi e l’aspetto esteriore degli edifici;

b) gli interventi di ristrutturazione edilizia nonché, limitatamente alle strutture pubbliche, di interesse pubblico o destinate ad attività produttive e agli impianti e alle attrezzature sportive, gli ampliamenti che comportino la realizzazione di un volume non superiore al venti per cento del volume dell’edificio esistente, salvo prescrizioni più restrittive contenute nelle classificazioni di zona dei PTP o del PTPR;

c) gli adeguamenti funzionali e le opere di completamento delle infrastrutture e delle strutture pubbliche esistenti, ivi compresi gli impianti tecnologici, gli impianti per la distribuzione dei carburanti, nonché gli interventi strettamente connessi ad adeguamenti derivanti da disposizioni legislative, previo espletamento della procedura di valutazione di impatto ambientale, ove prevista, ovvero previa presentazione del SIP ai sensi degli articoli 29 e 30; tali adeguamenti ed opere di completamento possono essere effettuati anche in deroga alle disposizioni contenute nelle classificazioni di zona dei PTP o del PTPR;

d) le isole ecologiche per la raccolta differenziata dei rifiuti".

4.4 Cambio di destinazione su superficie originariamente destinata a parcheggio

Altra fattispecie in cui è esclusa la sanabilità è il cambio di destinazione ad uso non residenziale che interessi una superficie originariamente destinata a parcheggio anche pertinenziale, realizzato anche ai sensi della legge 24 marzo 1989, n. 122 (legge Tognoli), qualora non sia dimostrato il reperimento della medesima quantità di superficie da destinare a parcheggio (art. 3 primo comma lett. c L.R.).

La ratio legis è evidente. Si intende evitare che l’abuso edilizio conduca alla sottrazione di spazi a parcheggio alla loro originaria destinazione, con conseguente aggravio della nota situazione di disagio connessa all’indiscriminato parcheggio di autoveicoli nelle strade pubbliche.

Ne deriva che la preclusione alla sanatoria non si verifica ove sia "dimostrato il reperimento della medesima quantità di superficie da destinare a parcheggio".

Il reperimento di tale superficie, infatti, evita il pregiudizio urbanistico temuto dalla legge.

L’accertamento circa l’avvenuto reperimento della superficie di parcheggio sostitutiva sarà effettuato dal competente comune in sede di rilascio del titolo abilitativo in sanatoria.

La legge peraltro non chiarisce in quale momento il richiedente debba dimostrare l’avvenuto reperimento dello spazio di parcheggio sostitutivo.

Ma verosimilmente l’ultimo momento utile a tal fine deve ravvisarsi in quello in cui il competente comune si pronuncia sull’accoglimento o sul rigetto della domanda di sanatoria.

La variazione della superficie originariamente destinata a parcheggio con altra superficie equivalente è infatti una circostanza che deve essere inclusa nel titolo abilitativo in sanatoria, alla stregua dell’orientamento giurisprudenziale secondo cui la modifica dell’ubicazione della superficie da destinare a parcheggio vincolato richiede il rilascio di un premesso di costruire in variante.

Può tuttavia sorgere il dubbio sulla commerciabilità dell’immobile oggetto del cambio di destinazione in esame, laddove a seguito di opere edilizie si sia verificata una totale difformità dall’opera originaria, se si intenda porre in essere un atto di trasferimento in pendenza del rilascio del provvedimento di sanatoria.

In tal caso infatti potrebbe non essere stata ancora resa disponibile l’area da adibire a parcheggio sostitutivo e comunque, quand’anche ciò sia avvenuto, non sussiste alcun atto negoziale o amministrativo che accerti il reperimento del parcheggio sostitutivo e lo individui.

Nondimeno non può ritenersi nella specie che la domanda di sanatoria sia di per sé inidonea a fondare un provvedimento di accoglimento della stessa. Ciò infatti dipende da circostanze che ben possono sopravvenire alla presentazione della domanda.

Ne deriva che l’immobile oggetto di domanda di sanatoria sarà comunque commerciabile nelle more dell’esame della stessa da parte del competente Comune, come in ogni altra ipotesi di sanatoria.

Ma naturalmente, poichè al momento della stipulazione dell’atto traslativo non è affatto certo l’accoglimento della domanda, il notaio rogante, in adempimento dei propri doveri di diligenza professionale, dovrà rendere edotte le parti dei rischi connessi all’esito della domanda di sanatoria in oggetto. In tal modo le parti, ove lo ritengano opportuno, potranno adottare le cautele e le garanzie idonee a evitare che l’acquirente abbia a subire danni in relazione ad un possibile esito negativo della domanda di sanatoria.

Per altro verso la legge regionale esclude la sanabilità del cambio di destinazione d’uso in parola, salvo il reperimento di parcheggio sostitutivo, non solo per i parcheggi assoggettati ai noti vincoli di cui all’art. 18 legge n. 765 del 1967 (legge ponte) o alla legge 24 marzo 1989, n. 122 (legge Tognoli), ma anche per gli spazi non soggetti a tali vincoli, ma in fatto destinati a parcheggio.

Ed anzi la norma si applica anche quando il parcheggio non sia pertinenziale ad altro immobile (la legge parla infatti di parcheggio "anche pertinenziale").

Ma, se i vincoli legali predetti sussistono, non v’è dubbio, stante l’espressa disposizione normativa, che il condono sia idoneo a rimuovere il vincolo legale dal parcheggio oggetto di cambio di destinazione d’uso e, deve ritenersi, ad instaurarlo su quello offerto in sostituzione.

Stranamente la legge regionale preclude il cambio destinazione d’uso in esame solo se esso comporti l’instaurazione di un "uso non residenziale".

Se ne deve dedurre che è invece consentita la sanatoria su aree a parcheggio, anche vincolate, laddove l’abuso comporti la realizzazione di immobile ad uso residenziale, senza che occorra reperire un parcheggio sostitutivo.

Probabilmente in tal caso sull’esigenza di evitare il parcheggio indiscriminato dei veicoli nelle aree pubbliche ha prevalso quella di assecondare la notevole domanda di case di abitazione, a fronte di una situazione di mercato che rende difficile il reperimento di alloggi.

Ciò porta a ritenere che, se oggetto di cambio di destinazione ad uso residenziale è un parcheggio vincolato ex lege Tognoli, che vieta a pena di nullità la circolazione del parcheggio separatamente dal bene principale di cui costituisce pertinenza, anche tale divieto di alienazione separata viene a cadere.

Infatti il cambio di destinazione d’uso, se porta alla realizzazione di un’autonoma casa di abitazione al posto del parcheggio vincolato, implica anche la cessazione della pertinenzialità del bene condonato.

5. Domanda del titolo abilitativo edilizio in sanatoria

5.1 Termine di presentazione

Con riferimento agli ambiti di operatività della legge regionale di cui di cui al § 2, punti A.2 e A.5, relativi alla emanazione di norme per la definizione del procedimento amministrativo afferente al rilascio del titolo abilitativo edilizio in sanatoria ed alla possibilità di prevedere che la domanda di condono sia corredata da ulteriore documentazione rispetto a quella prevista dalla norma statale, l’art. 4 della legge regionale detta una specifica disciplina della domanda del titolo abilitativo edilizio in sanatoria.

A tale fine è previsto che detta domanda è presentata, a pena di decadenza, entro il 10 dicembre 2004, utilizzando il modello di cui all’allegato 1 all’articolo 32 del d.l. 269/2003 e successive modifiche (art. 4 comma 1 L.R.).

Da tale punto di vista dunque la norma regionale non fa altro che confermare quanto già previsto dalla disciplina statale.

5.2 Modalità di presentazione

La domanda, così come ogni successiva integrazione o comunicazione, può essere presentata direttamente al comune competente, o inviata, nei comuni che lo consentano, per via telematica ovvero inviata con raccomandata; in quest’ultimo caso si considera presentata il giorno della consegna al servizio postale (art. 4 comma 2 L.R.).

Tale ultima disposizione è di grande importanza nella pratica, poichè risolve un problema in passato assai dibattuto.

5.3 Documentazione da allegare alla domanda

Il comma 3 dell’art. 4 della legge regionale prevede che la domanda va corredata con la seguente documentazione:

a) attestazione del pagamento dell’anticipazione dell’oblazione e degli oneri concessori ai sensi dell’articolo 7, comma 2;

b) dichiarazione del richiedente, resa ai sensi dell’articolo 47, comma 1, del decreto del Presidente della Repubblica 28 dicembre 2000, n. 445, dalla quale risulti la descrizione delle opere per le quali si richiede il titolo abilitativo edilizio in sanatoria e lo stato dei lavori relativo, con allegata documentazione fotografica;

c) perizia giurata sulle dimensioni e sullo stato delle opere e certificazione redatta da un tecnico abilitato all’esercizio della professione attestante l’idoneità statica delle opere eseguite, qualora l’opera per cui si richiede il titolo in sanatoria presenti un volume complessivo superiore ai 300 metri cubi, ovvero costituisca un edificio autonomo di volume complessivo eccedente i 120 metri cubi;

d) certificato di residenza e dichiarazione del richiedente, resa ai sensi dell’articolo 47, comma 1, del d.p.r. 445/2000, comprovante che si tratta di unità immobiliare adibita, alla data del 31 marzo 2003, a prima casa di abitazione nel comune di residenza e che il richiedente stesso non risulti proprietario di altro immobile ad uso residenziale nel territorio del comune stesso, nel caso di cui all’articolo 2, comma 1, lettera b), numero 1) (v. retro § 3.3.2.4) ;

e) atto d’obbligo, da trascriversi a cura del richiedente, previo assenso del proprietario dell’immobile, dal quale risulti la destinazione d’uso, per un periodo di 15 anni dalla data della domanda del titolo abilitativo edilizio in sanatoria, a centro che persegue, senza scopo di lucro, finalità sociali di assistenza e cura a persone disagiate, nel caso di cui all’articolo 2, comma 1, lettera c) (v. retro § 3.3.1.2).

Quanto alla documentazione di cui alla lettera b), la norma regionale ripete pedissequamente quanto già previsto dall’art 32 comma 35 lett. a) del d.l. 269 del 2003.

Quanto alla documentazione di cui alla lettera c), la norma regionale è anche questa volta più restrittiva di quella statale, poiché, rispetto già previsto dall’art 32 comma 35 lett. b) del d.l. 269 del 2003, la perizia giurata è richiesta qualora l’opera presenti un volume complessivo superiore ai 300 metri cubi, ovvero costituisca un edificio autonomo di volume complessivo eccedente i 120 metri cubi, mentre la norma statale impone la perizia solo se l'opera abusiva supera i 450 metri cubi.

Secondo il citato comunicato stampa del 1° dicembre 2004 della Regione Lazio - Assessorato urbanistica e Casa "è consentito presentare entro il 10 dicembre 2004 esclusivamente la domanda di condono con allegata l’attestazione di cui all’art. 4 comma 3 lettera a) riservandosi di presentare entro i successivi trenta giorni od entro il termine più favorevole indicato dalle amministrazioni comunali l’ulteriore documentazione prevista dallo stesso comma 3".

5.4 Documentazione integrativa

La legge regionale nulla dispone sulla documentazione integrativa che, in base all’allegato al d.l. 269/96, deve essere presentata, in forza della proroga disposta con il D.L. 29 novembre 2004, n. 282, entro il 31 ottobre 2005.

Si tratta della seguente documentazione:

a) denuncia in catasto dell'immobile oggetto di illecito edilizio e della documentazione relativa all'attribuzione della rendita catastale e del relativo frazionamento;

b) denuncia ai fini dell'imposta comunale degli immobili di cui al D.Lgs. 30 dicembre 1992, n. 504;

c) ove dovute denunce ai fini della tassa per lo smaltimento dei rifiuti solidi urbani e per l'occupazione del suolo pubblico.

Malgrado il silenzio della legge regionale sul punto è probabile che le suddette disposizioni si applichino comunque anche nella Regione Lazio, poichè l’art. 6 comma 3 della legge regionale, nel disciplinare il silenzio - assenso richiama espressamente anche la presentazione delle predette denunce.

Inoltre l’art. 1 secondo comma della legge regionale, come si è detto, dispone che "La disciplina sostanziale e procedurale prevista dal citato articolo 32 e dai relativi allegati del d.l. 269/2003 e successive modifiche si applica, in quanto compatibile con la presente legge, alla sanatoria di cui al comma 1".

5.5. Verifica della regolarità della domanda del titolo abilitativo edilizio in sanatoria

L’art. 5 primo comma della legge regionale prevede, inoltre, che il comune verifica la completezza della documentazione allegata alla domanda del titolo abilitativo edilizio in sanatoria e, se del caso, invita l’interessato ad integrarla entro un congruo termine, non inferiore comunque a trenta giorni.

Tale norma sembra porre un principio generale, secondo cui le carenze documentali della domanda di condono non determinano mai da sole il rigetto della domanda, se non dopo che il richiedente sia stato messo in mora, salvo, a nostro avviso, il caso della domanda dolosamente infedele.

Un principio analogo è sancito al secondo comma per il pagamento delle somme dovute per oblazione e contributo concessorio, in quanto è previsto che, qualora il comune accerti che i pagamenti in esame, siano stati eseguiti in misura insufficiente, ne dà comunicazione all’interessato indicando, con provvedimento motivato, l’importo ritenuto dovuto e la differenza da versare. La eventuale ulteriore somma richiesta dal comune deve essere versata entro il termine perentorio di sessanta giorni dal ricevimento della comunicazione.

L’unica differenza con le altre integrazioni documentali risiede nel fatto che, per le integrazioni dei pagamenti, il termine non può essere fissato discrezionalmente dal comune (salvo il minimo di trenta giorni), ma è direttamente fissato dalla legge in sessanta giorni dal ricevimento della comunicazione.

L’ultimo comma dell’art. 5 della legge regionale dispone inoltre che "L’omesso versamento delle somme di cui all’articolo 4, comma 3, lettera a), ovvero il mancato pagamento, entro il termine stabilito, della ulteriore somma richiesta dal comune ai sensi del comma 2 del presente articolo, comportano il non accoglimento della domanda".

Diverso è il dettato dell’art. 32 comma 37 del d.l. 269 del 2003, il quale, peraltro solo con riferimento all’oblazione e non anche al contribuito concessorio, dispone che "Se nei termini previsti l'oblazione dovuta non è stata interamente corrisposta o è stata determinata in forma dolosamente inesatta, le costruzioni realizzate senza titolo abilitativo edilizio sono assoggettate alle sanzioni richiamate all'articolo 40 della legge 28 febbraio 1985, n. 47, e all'articolo 48 del decreto del Presidente della Repubblica 6 giugno 2001, n. 380".

Se ne deduce che, per la normativa regionale, solo il mancato pagamento della prima rata dell’oblazione e degli oneri concessori (previste dall’articolo 4, comma 3, lettera a L.R.) entro la data di presentazione della domanda e il mancato pagamento, entro il termine stabilito, della ulteriore somma come sopra richiesta dal comune determinano il diniego dalla domanda di sanatoria.

Nulla è previsto per il mancato pagamento nei termini di legge delle successive rate delle somme autoliquidate.

Ne consegue che alle successive rate dell’oblazione e degli oneri concessori deve applicarsi il principio generale di cui al primo comma dell’art. 5 della legge regionale, secondo il quale le carenze documentali della domanda di condono non possono determinare il rigetto della domanda, se non dopo che il richiedente sia stato messo in mora.

In tale ottica si collocano anche le disposizioni di cui ai commi primo e secondo dell’art. 6 della legge regionale secondo cui:

- il comune verifica la sussistenza dei presupposti per la concessione del titolo abilitativo edilizio in sanatoria, nonché l’assenza delle cause ostative previste dall’articolo 3 e può, a tal fine, richiedere per iscritto all’interessato ogni opportuno chiarimento, assegnando un congruo termine, non inferiore ai trenta giorni, per comunicare le informazioni richieste;

- qualora, al termine dell’istruttoria, il comune determini che il titolo abilitativo edilizio in sanatoria non può essere concesso, ne dà comunicazione all’interessato con provvedimento motivato. In tal caso, l’interessato può formulare le proprie osservazioni, a pena di decadenza, entro il termine di sessanta giorni.

6. Silenzio - assenso

Con riferimento agli ambiti di operatività della legge regionale di cui al § 2, punti B.3, relativi alla disciplina del silenzio assenso, rileva l’art. 6 terzo comma e quarto comma della legge regionale.

A tal fine è disposto che la presentazione della domanda e della relativa documentazione, il pagamento degli oneri concessori e dell’oblazione, la presentazione delle denunce di cui all’articolo 32, comma 37, del d.l. 269/2003 e successive modifiche, con le modalità e nei termini previsti dalla normativa vigente, nonché la mancata adozione di un provvedimento negativo del comune entro i trentasei mesi successivi alla data del 31 dicembre 2005, equivalgono a titolo abilitativo edilizio in sanatoria.

La norma ricalca quella statale con due differenze.

In primo luogo viene espressamente incluso tra le formalità necessarie per la formazione del silenzio - assenso il pagamento dell’oblazione che invece, almeno dal punto di vista letterale, non era previsto dall’art. 32 comma 37 del d.l. 269/2003 come condizione per la formazione del silenzio assenso medesimo.

In primo luogo il temine per la formazione del silenzio - assenso viene portato dal decorso di ventiquattro mesi dal 30 giugno 2005 (e quindi 30 giugno 2007) al decorso di trentasei mesi dal 31 dicembre 2005 (e quindi 31 dicembre 2008).

Inoltre la norma regionale introduce delle ipotesi di sospensione del termine per la formazione del silenzio – assenso.

E’ infatti stabilito che detto termine resta sospeso nelle ipotesi previste dall’articolo 5, commi 1 e 2 L.R., nonché dall’articolo 6 comma 1 L.R., relativi alla richiesta di integrazione da parte del comune, per tutto il periodo decorrente dal ricevimento della comunicazione del comune e fino alla scadenza del termine dato all’interessato per i relativi adempimenti.

7. Oblazione e oneri concessori

7.1 Aumento della misura dell’oblazione e degli oneri concessori

Con riferimento agli ambiti di operatività della legge regionale di cui al § 2, punti A.3, A.4 e B4, relativi alla possibilità di prevedere un incremento dell'oblazione e di determinare la misura dell’anticipazione degli oneri concessori, nonché le relative modalità di versamento, l’art. 7 della legge regionale detta una specifica disciplina.

A tal fine è previsto che:


gli importi dell’oblazione stabiliti dall’articolo 32, comma 33, del d.l. 269/2003 e successive modifiche, sono aumentati del 10 per cento, fatta eccezione per le opere abusive relative ai centri che perseguono, senza scopo di lucro, finalità sociali di assistenza e cura a persone disagiate (v. retro § 3.3.1.2);


gli importi degli oneri di concessione, calcolati ai sensi della normativa vigente, sono aumentati, fatta eccezione per le opere abusive relative alla prima casa di abitazione nel comune di residenza (v. retro § 3.3.2.4) e ai centri che perseguono, senza scopo di lucro, finalità sociali di assistenza e cura a persone disagiate (v. retro § 3.3.1.2):


del 100 per cento in relazione a nuove costruzioni e ampliamenti;


del 50 per cento in relazione a ristrutturazioni e modifiche della destinazione d’uso e ad opere realizzate in assenza del o in difformità dal titolo edilizio abilitativo, ma conformi agli strumenti urbanistici.

7.2 Termini di versamento

L’oblazione e gli oneri concessori sono versati in tre rate, la prima delle quali è corrisposta, entro la data di presentazione della domanda, a titolo di anticipazione, nella misura del 30 per cento, ferme restando le misure minime previste dall’articolo 32 del d.l. 269/2003 e successive modifiche e dai relativi allegati. La legge regionale inoltre dispone che rimanenti rate sono versate per importi uguali entro le seguenti scadenze:

a) per l’oblazione:

1) seconda rata entro il 20 dicembre 2004;

2) terza rata entro il 30 dicembre 2004;

b) per gli oneri concessori:

1) seconda rata entro il 30 giugno 2005;

2) terza rata entro il 30 dicembre 2005.

Ma il termine di versamento dell’oblazione è stato successivamente prorogato dalla legge statale, con D. L. 29 novembre 2004 n. 282, come segue:

1) seconda rata entro il 31 maggio 2005;

2) terza rata entro il 30 settembre 2005.

Quanto agli oneri concessori i relativi termini di pagamento previsti dalla legge regionale sono più ampi di quelli disposti dalla legge statale, che li fissava al 20 dicembre 2004 e al 30 dicembre 2004 ed ora, a seguito della proroga disposta con D. L. 29 novembre 2004 n. 282, al 31 maggio 2005 e al 30 settembre 2005.

In questo caso tuttavia i termini regionali per il pagamento degli oneri concessori prevalgono sui nuovi termini previsti dal D. L. 29 novembre 2004 n. 282, poiché l’art. 10 comma 2 di tale ultimo provvedimento dispone che "la proroga al 31 maggio 2005 ed al 30 settembre 2005 dei termini stabiliti per il versamento, rispettivamente, della seconda e della terza rata dell'anticipazione degli oneri concessori opera a condizione che le regioni, prima della data di entrata in vigore del presente decreto, non abbiano dettato una diversa disciplina".

7.3 Competenza alla riscossione dell’integrazione dell’oblazione

Di particolare rilievo è la disposizione dell’ultimo comma dell’art. 7 della legge regionale, secondo cui l’eccedenza degli importi dell’oblazione determinata in base alla legge regionale è versata direttamente alla Regione.

Ne deriva che per la prima volta nella storia del condono edilizio una parte della somma a titolo di oblazione non va versata nelle casse dello Stato, ma in quelle della Regione.

In tal senso infatti depone non solo l’ultimo comma dell’art. 7 della legge regionale, laddove di dice che l’eccedenza è versata "direttamente" alla Regione, ma anche l’art. 11 della medesima legge, secondo il quale detta somma confluisce in apposito capitolo del bilancio regionale.

7.4 Determinazione definitiva degli oneri concessori

La legge regionale non precisa, come quella statale, che la somma versata a titolo di oneri concessori costituisce una mera anticipazione di quella effettivamente dovuta secondo le indicazioni fornite dall'amministrazione comunale con apposita deliberazione e che l'importo definitivo degli oneri concessori dovuti deve essere versato entro il 31 dicembre 2006 (allegato 1 al d.l. 269 del 2003).

Ma pare fondata la tesi secondo cui tale norma sia comunque applicabile per un duplice ordine di ragioni.

Innanzitutto la legge regionale prevede che la somma dovuta a titolo di oneri concessori deve essere calcolata "ai sensi della normativa vigente".

In secondo luogo gli importi risultanti a tale titolo dall’allegato 2 alla legge regionale sono fissati, con gli aumenti previsti da tale ultima legge, sulla base della analoga tabella allegata alla legge statale.

In terzo luogo l’art. 1 secondo comma della legge regionale, come si è detto, dispone che "La disciplina sostanziale e procedurale prevista dal citato articolo 32 e dai relativi allegati del d.l. 269/2003 e successive modifiche si applica, in quanto compatibile con la presente legge, alla sanatoria di cui al comma 1".

7.5 Conseguenze del mancato pagamento

Quanto alle conseguenze del mancato pagamento dell’oblazione e degli oneri concessori v. retro § 5.5.

8. Domande di concessione del titolo abilitativo edilizio in sanatoria presentate anteriormente alla data di entrata in vigore della legge regionale

8.1 Disciplina applicabile alle domande anteriori

Con riferimento agli ambiti di operatività della legge regionale di cui al § 2, punti C.1 e C.2, relativi alla disciplina della sorte delle domande di concessione del titolo abilitativo edilizio in sanatoria presentate anteriormente alla data di entrata in vigore della legge regionale, quest’ultima ha dettato una specifica disposizione all’art. 10.

E’ stato a tale riguardo disposto, al primo comma, che "le domande di concessione del titolo abilitativo edilizio in sanatoria presentate ai comuni competenti ai sensi dell’articolo 32 del d.l. 269/2003 e successive modifiche antecedentemente alla data di entrata in vigore della presente legge, qualora non sia stata comunicata rinuncia nei termini previsti dal comma 3, sono valide ed efficaci ai fini della legge stessa".

Tale norma sembrerebbe a prima vista prevedere che le domande presentate anteriormente alla data di entrata in vigore della legge regionale siano disciplinate dalla legge statale e non da quella regionale.

Ma a ben vedere, quantunque la formula legislativa sia contorta, l’interpretazione corretta della norma sembra essere di segno opposto.

Nel senso dell’applicabilità alle domande presentate anteriormente alla data di entrata in vigore della legge regionale delle norme da quest’ultima dettate depongono infatti:


la disposizione di cui al secondo comma dell’art 10 della legge regionale, secondo cui "la differenza tra le somme già corrisposte dall’interessato in applicazione delle disposizioni dell’articolo 32 del d.l. 269/2003 e successive modifiche e gli importi dovuti in applicazione della presente legge, va versata, a pena del non accoglimento della domanda, entro il 10 dicembre 2004. Entro la medesima data vanno inoltre presentate al comune le integrazioni documentali conseguenti all’applicazione della presente legge"; detta norma infatti non può che presupporre una applicabilità della legge regionale alle domande già presentate;


la disposizione di cui al terzo comma dell’art 10 della legge regionale, secondo cui "Coloro che hanno presentato la domanda di concessione del titolo abilitativo edilizio in sanatoria antecedentemente alla data di entrata in vigore della presente legge hanno facoltà di rinunciarvi, entro il 30 novembre 2004, mediante comunicazione scritta inviata con raccomandata al comune di competenza. In caso di successiva presentazione di una nuova domanda, in conformità alle disposizioni della presente legge, le somme già corrisposte in occasione della domanda originaria vanno a scomputo di quanto dovuto in applicazione della legge stessa; per le eventuali relative integrazioni si applicano le disposizioni del primo periodo del comma 2"; la rinuncia alla domanda presentata prima della legge regionale e la ripresentazione della stessa non avrebbero senso se alla domanda precedente non si applicasse la disciplina della legge regionale, atteso che quest’ultima è più restrittiva di quella statale.

La norma di cui al primo comma dell’art. 10 della legge regionale ha dunque una diversa funzione.

Essa infatti fa sì che:


i cittadini che abbiano presentato la domanda di sanatoria fino al 7 luglio 2004 non siano obbligati a ripresentarla dopo l’entrata in vigore della legge regionale (come sarebbe stato possibile in base all’art. 5 comma 2-bis del decreto legge 12 luglio 2004, n. 168), senza che tuttavia a tali domande si applichino i più tolleranti limiti di condonabilità della legge statale, come sarebbe avvenuto in base al citato art. 5 comma 2-bis, se la legge regionale nulla avesse disposto al riguardo;


i cittadini che abbiano presentato la domanda di sanatoria dal 12 luglio 2004 al 1° agosto 2004 non siano obbligati a ripresentarla dopo l’entrata in vigore della legge regionale (come sarebbe stato necessario in base all’art. 5 comma 2-ter del decreto legge 12 luglio 2004, n. 168), senza che tuttavia a tali domande si applichino i più tolleranti limiti di condonabilità della legge statale, come avrebbe potuto espressamente disporre il legislatore regionale in base al citato art. 5 comma 2-ter;


probabilmente restino salve anche le domande eventualmente presentate dall’8 all’11 luglio 2004 e dal 2 agosto 2004 al 10 novembre 2004, che prima della legge regionale erano prive di qualunque supporto normativo, beninteso con applicazione integrale alle stesse dei più ristretti limiti di condonabilità previsti dalla legge regionale.

Tale ultima conclusione a nostro avviso si impone perché le differenze, operate dal decreto legge 12 luglio 2004 n. 168, tra il trattamento delle domande in base alla data di presentazione delle stesse (v. retro 2.C), erano state rese necessarie dalla sopravvenuta parziale declaratoria di incostituzionalità dell'art. 32 del d.l. 269 del 2003 ed anche al fine di evitare che la presentazione di domande prima dell’emanazione delle leggi regionali fondasse affidamenti dei cittadini sull’applicazione dei più benevoli limiti di condonabilità previsti dalla legge statale.

Ma, una volta che la legge regionale Lazio ha fornito il supporto normativo richiesto dalla Corte Costituzionale alla sanatoria edilizia e ha previsto che tutte le domande siano trattate allo stesso modo, con applicazione dei più ristretti limiti regionali di condonabilità, non v’è più ragione di costringere i cittadini a ripresentare la domanda di condono, ma ben può il legislatore regionale accettare le domande già presentate ai soli effetti dell’acquisizione dell’aspettativa al condono e non anche agli effetti del radicamento dei limiti di condonabilità.

8.2 Integrazione dei versamenti per le domande anteriori

A qualche problema dà luogo la disposizione di cui al secondo comma dell’art 10 della legge regionale, secondo cui "la differenza tra le somme già corrisposte dall’interessato in applicazione delle disposizioni dell’articolo 32 del d.l. 269/2003 e successive modifiche e gli importi dovuti in applicazione della presente legge, va versata, a pena del non accoglimento della domanda, entro il 10 dicembre 2004. Entro la medesima data vanno inoltre presentate al comune le integrazioni documentali conseguenti all’applicazione della presente legge".

A prima vista infatti potrebbe sembrare che coloro che abbiano presentato la domanda di sanatoria anteriormente all’entrata in vigore della legge regionale debbano versare entro il 10 dicembre 2004 la differenza tra le somme già corrisposte dall’interessato in applicazione delle disposizioni dell’articolo 32 del d.l. 269/2003 e successive modifiche e tutti gli importi dovuti in applicazione della legge regionale (vale a dire il 100% della somma dovuta in base alla legge regionale).

Ma un’interpretazione logica di tale legge porta a ritenere che la differenza vada calcolata con riferimento alle sole somme dovute in base alla legge regionale che debbano essere versate al momento della presentazione della domanda (la differenza dunque andrebbe versata con riferimento agli acconti del 30%).

Una diversa interpretazione infatti porrebbe ingiustificatamente coloro che abbiano presentato la domanda prima dell’entrata in vigore della legge regionale in una posizione deteriore rispetto a quelli che l’abbiano presentata dopo.

Inoltre la lettera della norma in esame sembra legittimare la conclusione che il mancato versamento dell’integrazione delle somme come sopra determinate comporti il diniego della sanatoria.

Il legislatore regionale ha in tal modo inteso operare una perfetta equiparazione tra coloro che presentino la domanda dopo l’entrata in vigore della legge regionale, che devono pagare, a pena di inaccoglibilità della domanda, la prima rata dell’oblazione e degli oneri concessori come aumentati dalla norma regionale, e coloro che abbiano presentato la domanda in precedenza.

Costoro, infatti, se non fosse disposta la necessità dell’integrazione, a pena di non accoglimento della domanda, si troverebbero in una posizione di privilegio rispetto ai primi, poichè conserverebbero il diritto alla sanatoria, pur avendo versato una somma minore di quella dovuta in base alla norma regionale.

La conseguenza del non accoglimento della domanda non è invece disposta a carico di chi ometta di presentare al comune, entro il 10 dicembre 2004, le integrazioni documentali conseguenti all’applicazione della legge regionale.

A costoro dunque non potrà che applicarsi il principio di cui all’art. 5 primo comma della legge medesima, secondo il quale le carenze documentali della domanda di condono non possono determinare il rigetto della domanda, se non dopo che il richiedente sia stato messo in mora.

8.3 Rinuncia alle domande anteriori

Del pari singolare è la possibilità per coloro che abbiano presentato la domanda anteriormente alla entrata in vigore della legge regionale, e che evidentemente, in base alle più restrittive norme della stessa, non possano conseguire la sanatoria, di rinunciare alla domanda stessa entro il 30 novembre 2004 mediante comunicazione scritta inviata con raccomandata al comune di competenza.

Ancorchè la legge regionale non lo dica espressamente, tale disposizione lascia supporre che il competente comune dovrebbe, a seguito di detta rinuncia, considerare la domanda come mai presentata e pertanto non potrebbe utilizzare, o comunque non utilizzerebbe in fatto, gli elementi ivi esposti per provvedere alla repressione dell’abuso denunciato.

Ma appare impossibile ipotizzare che, a seguito di quanto sopra, il comune perda i propri poteri sanzionatori amministrativi in materia edilizia.

Certamente poi l’immobile non condonabile in base ai più restrittivi limiti regionali rimarrebbe urbanisticamente irregolare.

Quanto alla facoltà di ripresentazione della domanda in conformità alla legge regionale, tale facoltà evidentemente presuppone che il richiedente abbia provveduto a modificare l’opera abusiva per renderla conforme ai più restrittivi limiti regionali ovvero che egli intenda condonare solo una porzione della stressa, che rientri nei limiti regionali di condonabilità.

Resta salva peraltro la possibilità che le parti dell’opera non sanabili possano essere assoggettate, ove ne ricorrano i presupposti, all’applicazione, in luogo della riduzione in pristino, di una sanzione pecuniaria ai sensi dell’art. 34 del T.U. edilizia, semprechè beninteso si tratti di piccole difformità non inquadrabili nell’ambito della totale difformità o della variazione essenziale.

Può peraltro accadere che, a seguito della rinuncia alla domanda presentata antecedentemente all’entrata in vigore della legge regionale ed alla ripresentazione ex novo, si intenda successivamente alienare l’immobile condonato.

In tal caso, ove di tratti di abuso totale, si pone il problema di individuare le condizioni in presenza delle quali l’atto di alienazione può essere stipulato.

A tale riguardo occorre distinguere:


se oggetto di alienazione sia la sola porzione dell’immobile che rientri nei più ristretti limiti regionali di condonabilità e la domanda di condono sia stata ripresentata con esclusivo riferimento a tale porzione autonomamente individuata, essa sarà commerciabile a prescindere dall’avvenuta demolizione della porzione eccedente non oggetto dell’atto di alienazione; quest’ultima porzione peraltro rimarrà abusiva ed incommerciabile;


in alternativa, ove la nuova domanda di condono non possa essere riferita solo ad una porzione autonomamente individuata del bene, occorrerà che prima del rogito sia stata modificata l’opera per renderla conforme ai nuovi limiti regionali ed alla domanda ripresentata;


in alternativa occorrerà che il richiedente abbia ottenuto, per la porzione eccedente i limiti regionali di condonabilità e ricorrendo i presupposti di cui all’ art. 34 del T.U. edilizia, un provvedimento del dirigente o del responsabile dell'ufficio ex art. 34 citato, che accerti che la demolizione non può avvenire senza pregiudizio della parte eseguita in conformità alla domanda di condono ed applichi una sanzione pari al doppio del costo di produzione, stabilito in base alla legge 27 luglio 1978, n. 392, della parte dell'opera realizzata in difformità dal permesso di costruire in sanatoria, se ad uso residenziale, e pari al doppio del valore venale, determinato a cura della agenzia del territorio, per le opere adibite ad usi diversi da quello residenziale. L’avvenuto pagamento di tale sanzione, secondo l’opinione preferibile, renderebbe di fatto legalizzato l’immobile sul piano urbanistico.